Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9667 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. I, 13/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 13/04/2021), n.9667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20434/2016 proposto da:

N.M., in proprio e quale titolare dell’impresa individuale

Edil N. di N.M., nonchè N.E., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Bafile n. 5, presso lo studio dell’avvocato

Lombardo Carmine, rappresentati e difesi dall’avvocato Massella

Michele, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Cassa Rurale Bassa Vallagarina Banca di Credito Cooperativo –

Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Romanelli Guido Francesco, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Chelodi Carlo, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 10/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – N.M., quale titolare dell’impresa individuale Edil N., ed N.E., quale garante, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei loro confronti su ricorso di Cassa Rurale Bassa Vallagarina – Banca di Credito Cooperativo soc. coop.. Il provvedimento monitorio, emesso dal Tribunale di Rovereto, aveva ad oggetto la somma di Euro 36.357,43: a tanto ammontava, secondo l’ingiungente, il proprio credito per il rimborso residuo di due mutui chirografari e per il saldo di un conto corrente.

Il Tribunale di Rovereto, in esito al giudizio di opposizione, in cui si costituiva la banca, respingeva l’opposizione.

2. – Il gravame spiegato avverso la pronuncia di primo grado era rigettato dalla Corte di appello di Trento con sentenza del 10 febbraio 2016.

3. – N.M. ed E. hanno impugnato per cassazione quest’ultima decisione. Il ricorso è articolato in quattro motivi. Cassa Rurale Bassa Vallagarina resiste con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo sono denunciate per cassazione la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. Deducono i ricorrenti che la banca aveva prodotto gli estratti conto con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 e che essi opponenti avevano provveduto a impugnare immediatamente il contenuto di tale documentazione. E’ affermato che si era “provveduto a contestare il calcolo degli interessi sin dall’inizio del rapporto e conseguentemente degli importi richiesti con l’invio degli estratti conto che non (risultavano) consegnati”.

2. – Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1857 e 1832 c.c.. E’ lamentato che la sentenza di appello sia stata emessa su presupposti erronei, in violazione di legge, in quanto ha considerato tardive le contestazioni proposte dall’odierna parte ricorrente avverso gli estratti conto: estratti conto che la banca non aveva provato essere stati recapitati al destinatario.

I due motivi sono inammissibili.

Le censure investono la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello, a fronte del motivo di gravame incentrato sulla contestazione, sollevata dagli appellanti, circa l’avvenuta comunicazione degli estratti conto, ha rilevato che la detta contestazione non aveva avuto ad oggetto la ricezione di tali documenti, quanto, piuttosto, le date di invio dei medesimi (pag. 7 della sentenza).

Ora, le risultanze degli estratti conto allegate a sostegno della domanda di pagamento dei saldi hanno efficacia fino a prova contraria, potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, non già attraverso il mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere (Cass. 15 settembre 2000, n. 12169; Cass. 7 marzo 1992, n. 2765); inoltre, nel rapporto di conto corrente, gli estratti conto non contestati dal correntista costituiscono piena prova del credito della banca anche nei confronti del fideiussore, ove questi non li assoggetti ad alcuna specifica contestazione (Cass. 15 settembre 2003, n. 14234; Cass. 2 maggio 2002, n. 6258; nel senso che l’estratto conto comunicato dalla banca al debitore principale, e dal medesimo non impugnato nel termine di cui all’art. 1832 c.c., assume carattere di incontestabilità, sicchè è idoneo a fungere da mezzo di prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato nei confronti del fideiussore, cfr. più di recente: Cass. 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass. 19 gennaio 2016, n. 817).

Il valore probatorio degli estratti conto non è tuttavia condizionato dal preventivo invio degli stessi al correntista, in quanto anche la produzione in giudizio dell’estratto conto costituisce “trasmissione” ai sensi dell’art. 1832 c.c., ed onera perciò il correntista stesso di provvedere alle necessarie contestazioni specifiche ove voglia superare l’efficacia probatoria della produzione (Cass. 28 luglio 2006, n. 17242; Cass. 15 settembre 2000, n. 12169, cit.).

Considerata, quindi, l’efficacia che assume il dato, appena richiamato, della produzione in giudizio degli estratti conto, va osservato che gli odierni ricorrenti non spiegano quale rilievo assumesse, nell’economia del giudizio di merito, il dato del mancato invio degli stessi in epoca anteriore alla data di introduzione del procedimento. In tal senso, i motivi risultano carenti di autosufficienza e non consentono di dar ragione della decisività delle censure svolte.

D’altro canto, gli istanti non hanno impugnato la sentenza nell’argomento con cui è stata disattesa la contestazione circa l’ammontare della pretesa azionata: argomento incentrato, in buona sostanza, sulla genericità di tale contestazione, oltre che sulla “tardività e novità di rilievi od eccezioni in tema di tasso ultralegale degli interessi, di interessi anatocistici, ovvero di “nullità, annullabilità, inefficacia, illiceità” di un non meglio precisato “negozio”” (sentenza, pag. 9).

2. – Col terzo motivo è sollevata una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 244 c.p.c.. Parte ricorrente si duole del rigetto delle proprie istanze istruttorie. Viene dedotto, in particolare, che i giudici di merito avrebbero dovuto accogliere l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio, la quale risultava necessaria stante la non esaustività delle altre prove acquisite al processo.

Il motivo è inammissibile.

Anche a voler prescindere dalla considerazione per cui la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario (da ultimo: Cass. 13 gennaio 2020, n. 326), va osservato che il motivo non si misura con la decisione impugnata, nella quale è osservato come la consulenza tecnica non potesse trovare ingresso proprio in ragione della mancata contestazione del credito (contestazione che, si è detto, era risultata generica, e dunque inammissibile). Ciò detto, la ravvisata mancata aderenza della censura al decisum destina la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. 7 settembre 2017, n. 20910, che nel pronunciarsi in tali termini, richiama il principio già enunciato da Cass. 7 novembre 2005, n. 21490, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio).

3. – Il quarto mezzo lamenta la violazione degli artt. 1362,1363 e 2697 c.c., con riferimento all’interpretazione dell’art. 12 della convenzione stipulata tra le parti. E’ dedotto che tale clausola “doveva essere letta nel contesto integrale della suddetta convenzione che interessava le imprese artigiane per poter rilevare il carattere del tutto residuale della possibilità di agire nei confronti dei garanti”. Si sostiene che sia mancata la prova del fatto che la banca avesse agito “preventivamente nei confronti del solo debitore principale e/o sul patrimonio della Cooperativa” e si lamenta, in conseguenza, che la banca abbia richiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo contemporaneamente nei confronti dei Edilnicoli e del suo titolare, nonchè del garante, nonostante le pattuizioni contrattuali prevedessero la preventiva escussione di tali soggetti.

Anche tale motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha escluso che l’obbligazione del garante potesse qualificarsi sussidiaria rispetto a quella del debitore principale (mutuatario e correntista): essa ha preso in esame l’art. 12 della convenzione che regolava, per quanto qui rileva, l’azione delle banche nei confronti dei fideiussori, statuendo – secondo quanto ricordano i ricorrenti – che le banche stesse, prima di escutere coloro che avevano prestato fideiussione, avrebbero potuto agire su eventuali (non meglio identificate) garanzie, “nonchè a loro giudizio sul restante patrimonio della cooperativa”. Sul punto, il giudice distrettuale ha evidenziato che la clausola individuava una “mera possibilità di tentare vie alternative” e che, comunque, la Cassa Rurale non poteva, nella fattispecie, “esperire le azioni alternative in quanto già esaurite”.

Ciò detto, la doglianza che ha ad oggetto la violazione delle regole ermeneutiche è carente di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non riproducono le parti della convenzione che assumerebbero rilievo sul piano interpretativo e mancano finanche di chiarirne il contenuto; gli istanti nemmeno precisano la localizzazione, all’interno dei fascicoli di causa, dello scritto con cui sarebbe stata documentata la detta convenzione. E’ da ricordare, al riguardo, che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469). Anche in ragione di tale carenza, poi, le doglianze della società istante che investono l’attività interpretativa si risolvono in una enunciazione critica delle conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito che prescinde, però, da una puntuale rappresentazione delle ragioni poste a fondamento della doglianze basate sulla errata applicazione dei criteri posti dagli artt. 1362 e 1363 c.c.. Occorre qui considerare che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato (Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 7 marzo 2007, n. 5273; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Per come proposta, la censura si risolve, quindi, in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice del merito (per l’inammissibilità di censure siffatte: Cass. 15 novembre 2013, n. 25728; Cass. 4 giugno 2010, n. 13587; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899; Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690; Cass. 2 maggio 2006, n. 10131).

Quanto alla deduzione vertente sulla contestata non esperibilità, da parte della banca, di altre azioni, essa concerne una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella basata sull’interpretazione della richiamata clausola convenzionale. Infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 31 agosto 2020, n. 18119; Cass. 18 aprile 2017, n. 9752). Oltretutto, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

4. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. – per le spese di giudizio vale il principio di soccombenza.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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