Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9666 del 19/04/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 19/04/2018, (ud. 23/01/2018, dep.19/04/2018),  n. 9666

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005 S.C., C.G. e Ci.Gi. convennero dinanzi al Tribunale di Ferrara F.L., la società O. Circorama di R.O. & c. s.a.s. e la società Assicurazioni Generali s.p.a., assumendo che il primo di essi, alla guida di un veicolo di proprietà della O. Circorama ed assicurato dalla Assicurazioni Generali, il (OMISSIS) causò un sinistro stradale che provocò la morte del loro parente C.F..

Chiesero perciò la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.

Le attrici dedussero altresì che la società Generali, colposamente ritardando il pagamento dell’indennizzo, si fosse resa inadempiente al contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato con l’assicurata O. Circorama, e l’avesse di conseguenza esposta al rischio di restare priva di copertura per i danni eccedenti il massimale. Chiesero perciò, ai sensi dell’art. 2900 c.c., che la società Generali fosse condannata al pagamento dell’indennizzo anche oltre il massimale, per c.d. mala gestio propria, e che il relativo importo fosse ad esse attribuito in via surrogatoria.

2. Con sentenza 31.3.2008 n. 476 il Tribunale condannò i due responsabili F.L. e O. Circorama a pagare alle attrici la complessiva somma di Euro 650.000; ma condannò la Generali a tenerli indenni solo nella minor somma di Euro 40.000, a causa dell’esaurimento del massimale.

3. La sentenza venne appellata da S.C., C.G. e Ci.Gi. le quali si dolsero – per quanto in questa sede ancora rileva – dell’omessa pronuncia sulla domanda di condanna dell’assicuratore oltre il massimale, per mala gestio propria, da esse formulata in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., attesa l’inerzia dell’assicurata nel far valere le proprie ragioni nei confronti del proprio assicuratore.

4. Con sentenza 12.6.2015 n. 1107 la Corte d’appello di Bologna esaminò tale domanda e ritenne che, se l’assicuratore fosse stato adempiente e solerte, i responsabili avrebbero potuto invocare dall’assicuratore una garanzia superiore di 15.000 Euro rispetto a quella effettivamente ottenuta; e di conseguenza in pari misura si sarebbe ridotto il loro debito verso le danneggiate.

Di conseguenza condannò l’assicuratore a pagare direttamente alle danneggiate, ex art. 2900 c.c., la suddetta somma.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.C., C.G. e Ci.Gi., sulla base di un solo motivo.

Ha resistito la Generali con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo di ricorso le ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1175,1176,1218,1224,1375,1917 e 2900 c.c.. Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente liquidato il danno da mala gestio propria.

Espongono che la Corte d’appello ha determinato la misura di tale danno in un importo pari alla differenza tra il debito risarcitorio ancora gravante sull’assicurato, e la minor somma che questi sarebbe invece oggi obbligato a pagare ai parenti della vittima, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto le sue obbligazioni, giungendo alla conclusione che tale danno fosse pari alla rivalutazione del massimale garantito, e maggiorato degli interessi legali.

Così giudicando, proseguono le ricorrenti, la Corte d’appello ha tuttavia trascurato di considerare che il loro difensore sin dal 1981 aveva rivolto all’assicuratore una proposta transattiva; che questa proposta era stata ingiustificatamente rifiutata dalla Generali; che l’adesione a quella proposta transattiva avrebbe avuto l’effetto di estinguere ogni obbligazione dell’assicurato verso le danneggiate.

Pertanto, concludono le ricorrenti, il danno patito dall’assicurata O. Circorama (il cui credito è stato da esse azionato in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.) era pari non già alla mera rivalutazione del massimale garantito, ma era pari all’intero importo che essa è oggi tenuta a pagare alle vittime del sinistro: se, infatti, l’assicuratore avesse immediatamente transatto la lite, il danno non sarebbe lievitato, l’assicurata sarebbe stata liberata, e nessuna obbligazione residua oggi graverebbe sulla O. Circorama.

1.2. Il motivo è infondato.

L’affermazione delle ricorrenti, secondo cui quando vi sia mala gestio dell’assicuratore della r.c.a., l’assicurato può pretendere dal proprio assicuratore di essere tenuto indenne integralmente dalle pretese del terzo danneggiato, come se il limite del massimale non esistesse, è solo in parte corretta.

Sono nel vero le ricorrenti quando deducono che l’assicuratore della responsabilità civile, avendo assunto l’obbligo contrattuale di tenere indenne l’assicurato dalle pretese del terzo danneggiato, ha altresì l’obbligo di attivarsi per salvaguardare gli interessi di quello: e dunque costituisce una condotta inadempiente rispetto agli obblighi scaturenti dal contratto di assicurazione, rifiutare una vantaggiosa offerta transattiva proveniente da parte del terzo danneggiato.

E che nel caso di specie tale condotta inadempiente sussista è già stato accertato dalla Corte d’appello, e sul punto si è formato il giudicato interno.

Errano, invece, le ricorrenti, quando assumono che, una volta accertata tale condotta inadempiente, per ciò solo il limite del massimale venga meno del tutto.

In realtà, per stabilire quali siano le conseguenze dell’inadempimento dell’assicuratore della responsabilità civile all’obbligo di tenere indenne il proprio assicurato dalle pretese del terzo (c.d. mala gestio propria), occorre distinguere tre ipotesi.

1.2.1. La prima eventualità è che, nonostante la mala gestio ed il ritardato adempimento, il massimale resti capiente.

In tal caso ovviamente nulla quaestio: si applicheranno le regole sulla mora nelle obbligazioni di valore (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995), e nella materia della r.c.a. l’assicuratore potrà andare incontro unicamente alle sanzioni amministrative previste dall’art. 315 cod. ass..

1.2.2. La seconda eventualità è che il massimale, capiente all’epoca dell’illecito, sia divenuto incapiente al momento del pagamento: vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno.

In tal caso l’assicurato, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto l’obbligo indennitario, avrebbe beneficiato d’una copertura integrale della propria responsabilità. Di conseguenza, nel caso di mala gestio, l’assicurato potrà pretendere dall’assicuratore una copertura integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacchè l’assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio al diritto di garanzia dell’assicurato, derivato dal colposo ritardo nell’adempimento.

1.2.3. La terza eventualità è che il massimale assicurato già all’epoca del sinistro fosse incapiente.

In tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, l’assicurato non avrebbe giammai potuto ottenere una copertura integrale della propria responsabilità. Di conseguenza, se l’assicuratore incorre in mala gestio, in questo caso egli sarà tenuto a pagare gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex art. 1224 c.c., comma 2), sul massimale. In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non è possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un “maggior danno”, cioè un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, ed allora avrà diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, ed allora gli spetteranno i soli interessi legali.

1.3. Tutti questi principi sono già stati affermati da questa Corte: in particolare, tra le tante, da Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014, e poi ribaditi da questa stessa Sezione con l’ordinanza pronunciata da Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10221 del 26/04/2017.

1.4. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato, con valutazione non impugnata e passata in giudicato (p. 4, decimoultimo rigo, e p. 8, primo capoverso, punto (c), della sentenza impugnata) che il danno causato dall’assicurato eccedeva il massimale già al momento del sinistro.

Ricorreva dunque la terza ipotesi sopra elencate, e correttamente la Corte d’appello ha stimato il danno da mala gestio limitandosi a rivalutare il massimale.

Ed infatti, eccedendo il danno la misura del massimale già nel 1977, anche se l’assicuratore avesse pagato il terzo danneggiato illico et immediate, l’assicurato sarebbe comunque rimasto esposto alle pretese risarcitorie per la parte eccedente. Nè, ovviamente, l’assicuratore era tenuto ad accettare una proposta transattiva che, per quanto detto, esigeva il pagamento non solo d’una somma eccedente il massimale, ma eccedente anche il massimale rivalutato: ovvero la misura massima dell’indennizzo esigibile dall’assicuratore, quando già al momento del sinistro il massimale sia incapiente.

2. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

;

(-) condanna S.C., C.G. e Ci.Gi., in solido, alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 7.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.C., C.G. e Ci.Gi., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte di cassazione, il 23 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2018

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