Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9665 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8350/2018 proposto da:

P.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIOVANNI LAURO;

– ricorrente –

contro

F.A., A.P.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 224/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 19 dicembre 1997, la società Compack Intenational evocava in giudizio A.P.G. e F.A. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per aver acquistato dagli stessi un’imbarcazione equipaggiata con motori difettosi;

il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 gennaio 2001 n. 2183 ritenuti sussistenti i vizi lamentati dall’attrice condannava i convenuti al pagamento della somma di Lire 150 milioni, oltre interessi. In forza di tale titolo la società notificava precetto e successivo atto di pignoramento presso terzi;

con atto di citazione in appello del 27 luglio 2001 A.P.G. e F.A. impugnavano la decisione. Il giudice dell’esecuzione di Milano assegnava alla creditrice Compack l’importo di Lire 208 milioni oltre interessi e quest’ultima comunicava al terzo pignorato di avere ceduto il credito a P.M., moglie dell’ex amministratore della società, invitando l’istituto di credito, terzo pignorato, a corrispondere alla cessionaria le somme. La banca corrispondeva a P.M. l’importo di Euro 113.527,66;

la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 27 ottobre 2005, n. 4600, in accoglimento dell’appello proposto da A.P.G. e F.A., respingeva la domanda proposta dalla società Compack International;

con ricorso per decreto ingiuntivo A.P.G. e F.A. chiedevano al Tribunale la restituzione dell’importo corrisposto alla cessionaria;

con atto di citazione del 15 gennaio 2007, P.M. proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Roma le aveva ingiunto di pagare in favore di A.P.G. e F.A. la somma di Euro 113.527 oltre interessi a titolo restitutorio del credito cedutole dalla società Compack Internationale Srl, da quest’ultima vantato in ragione della sentenza del Tribunale di Roma n. 2183 del 2001, poi riformata in appello, con sentenza n. 4600 del 2005;

a sostegno dell’opposizione deduceva il difetto di titolarità passiva in quanto il decreto non richiamava con esattezza il nome della opponente e l’assenza di prova, in quanto la sentenza da cui originava l’obbligo di restituzione, era stata emessa tra A.P.G. e F.A. e la società Compack International. Nel merito, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso monitorio, P.M. deduceva di essere una semplice mandataria all’incasso e non la cessionaria del credito. Infine, A.P.G. e F.A. non avrebbero potuto opporre a P.M. eccezioni relative alle vicende successive alla notificazione della cessione del credito;

si costituivano A.P.G. e F.A. chiedendo il rigetto dell’opposizione e la correzione dell’errore materiale relativo al nominativo della debitrice ingiunta, ai sensi dell’art. 287 c.p.c.;

il Tribunale di Roma, con sentenza del 20 gennaio 2010, disponeva la correzione dell’errore materiale riguardo al nome dell’ingiunta e rigettava l’opposizione proposta da quest’ultima;

con atto di citazione notificato il 25 gennaio 2011 P.M. impugnava tale statuizione chiedendo la nullità o comunque al revoca del decreto ingiuntivo e, in via subordinata, previa eventuale integrazione del contraddittorio nei confronti della creditrice originaria, accertare l’insussistenza del contratto di cessione del credito;

si costituivano A.P.G. e F.A. rilevando l’infondatezza dell’appello;

la Corte d’Appello di Roma con sentenza del 16 gennaio 2017 respingeva l’impugnazione;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.M. affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso A.P.G. e F.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e artt. 2697 e 1260 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato tali disposizioni ad una fattispecie non regolata da tali norme, ritenendo che tra P.M. e la società Compack fosse stata conclusa una cessione di credito e ciò sulla base della copia della Delib. Assembleare 26 ottobre 1998, ed in assenza del consenso della cessionaria P.M., che non avrebbe avuto conoscenza della proposta. Ciò troverebbe riscontro nella successiva Delib. Assembleare 17 gennaio 2002, nella quale la società avrebbe dato mandato per l’incasso della somma alla odierna ricorrente, attraverso un comportamento incompatibile con la volontà di cedere il credito nei confronti di quest’ultima. Conseguentemente, soltanto la società avrebbe potuto essere evocata in giudizio, in quanto titolare del diritto di credito originariamente riconosciuto dal Tribunale e successivamente annullato in appello;

il motivo è inammissibile perchè non si confronta con l’articolata argomentazione della Corte territoriale la quale, a fronte di analogo motivo di appello ha precisato che il Tribunale “ha ritenuto P.M. cessionaria del credito sulla base della nota del 24 gennaio 2002, a firma del liquidatore della società, inviata da quest’ultimo alla Banca Intesa, terzo pignorato nel procedimento esecutivo”. Nella predetta nota il liquidatore comunicava che “il pagamento dell’intero importo sopra specificato dovrà essere effettuato direttamente alla signora P.M…. cessionaria del credito”. La presunta mancata conoscenza da parte della cessionaria di tale operazione sarebbe superata, secondo la Corte territoriale, dalla circostanza che quest’ultima non avrebbe fornito la prova di avere successivamente corrisposto alla società quanto pacificamente ricevuto da A.P.G. e F.A.. La prova positiva di avere trasferito tali somme difetterebbe. Rispetto a tale argomentazione nulla viene dedotto in ricorso;

ma soprattutto la ricorrente non prende in esame la specifica valutazione operata dalla Corte d’Appello riguardo al valore del contenuto della Delib. Assembleare 17 gennaio 2002. A riguardo, la Corte ha escluso la valenza probatoria di tale documento per l’assenza della data certa di tale verbale (che secondo la ricorrente conterrebbe dichiarazioni contrarie alla tesi dei giudici di merito), quanto meno sino alla data del 12 marzo 2007 (quella dell’estratto autentico notarile del libro dei verbali d’assemblea), successiva all’incasso della somma in contestazione;

analogamente non viene contrastata la seconda e autonoma argomentazione della Corte territoriale secondo cui la cessione del credito risalirebbe comunque all’assemblea del 26 ottobre 1998, per cui gli atti successivi riguarderebbero un credito che non era più nella titolarità della società;

con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 782 e 783 e 1421 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Riguardo al presupposto della forma dell’atto pubblico ad substantiam, trattandosi di atto di liberalità del cedente nei confronti del cessionario, difetterebbe la forma negoziale richiesta per la donazione;

il motivo è inammissibile per difetto di interesse della ricorrente a porre la questione della forma dell’atto in quanto, per le ragioni indicate nel precedente motivo, le somme oggetto del contendere sono state ricevute dalla P.. A prescindere da ciò, il titolo originariamente costituito dalla decisione di primo grado, è stato annullato e superato dalla decisione di appello;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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