Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9665 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 13/04/2021), n.9665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17841/2019 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati PAOLA

MASSAFRA, e ANGELO GUADAGNINO;

– ricorrente –

contro

C.M., domiciliato ope legis in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato SERGIO FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6712/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/11/2018 R.G.N. 2966/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLA MASSAFRA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso di C.M. e, dichiarata illegittima la sospensione cautelare dal servizio disposta dall’Istituto con Det. n. 26 del 2015, aveva condannato l’ente al pagamento della differenza fra retribuzione tabellare e assegno alimentare.

2. La Corte territoriale, premesso che l’appellante aveva ricevuto il 18 ottobre 2017 formale comunicazione del provvedimento presidenziale di fissazione dell’udienza ex art. 435 c.p.c., ha rilevato che solo il 13 novembre 2018 l’Inps aveva avviato il procedimento notificatorio sicchè, sulla base dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20604/2008, andava dichiarata l’improcedibilità del gravame perchè all’udienza del 12 novembre 2018, fissata per la discussione della causa, l’appello non risultava notificato e nessuna efficacia sanante dell’improcedibilità poteva assumere la circostanza che l’udienza stessa fosse stata rinviata per esigenze organizzative dell’ufficio.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Inps sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali ha replicato con tempestivo controricorso C.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’istituto ricorrente denuncia “violazione e/falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, dell’art. 435 c.p.c., in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost., ed in particolare del comma 7, in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU” e sostiene che l’udienza, inizialmente fissata per il 12 novembre 2018 era stata rinviata d’ufficio, per esigenze organizzative, dapprima al 15 novembre e successivamente al 22 novembre, sicchè la notifica effettuata non poteva essere ritenuta inesistente, trattandosi invece di atto affetto da nullità in conseguenza del mancato rispetto del cosiddetto termine a difesa.

2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost., in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU, e ribadisce che l’esistenza della notifica andava verificata rispetto all’udienza di discussione del 15 novembre 2018.

3. Preliminarmente il Collegio rileva che non sussiste pregiudizialità in senso tecnico-giuridico fra il giudizio avente ad oggetto la legittimità del licenziamento intimato al C. in data 7 febbraio 2014 e la presente controversia, nella quale si discute della sospensione cautelare dal servizio disposta il 26 gennaio 2015, in pendenza della causa di impugnazione della sanzione espulsiva. Il nesso che lega fra loro i due giudizi rileva solo sul piano della pregiudizialità logica, che non giustifica la sospensione del processo, asseritamente pregiudicato, giacchè il rischio di conflitto di giudicati in tal caso è scongiurato dalla previsione dell’art. 336 c.p.c., comma 2, secondo cui la riforma o la cassazione della sentenza produce effetti sugli atti e sui provvedimenti, ivi compresi quelli giudiziali, che dipendono dalla sentenza riformata o cassata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 12999/2019).

Non può neppure essere accolta la richiesta di rinvio formulata dall’INPS nella memoria ex art. 378 c.p.c., perchè il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, e pertanto nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso di ufficio, l’istanza di differimento, così come quella di trattazione congiunta, può trovare accoglimento solo qualora, e non è questo il caso, emergano ragioni di opportunità idonee a bilanciare gli inevitabili ritardi che conseguirebbero all’accoglimento della richiesta (cfr. Cass. n. 14365/2019).

4. Il ricorso è inammissibile, perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Il requisito imposto dal richiamato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto ai quali la Corte è giudice del “fatto processuale”, perchè l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012 e Cass. S.U. n. 20181/2019).

La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti e di indicare la sede processuale nella quale l’atto è rintracciabile, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019).

4.1. Nel caso di specie le censure si incentrano sull’avvenuto differimento dell’udienza di discussione ex art. 437 c.p.c., dal 12 al 15 novembre 2018, differimento sul quale l’Istituto fa leva per sostenere che la notifica dell’appello, effettuata il 13 novembre sebbene il decreto ex art. 435 c.p.c., fosse stato comunicato il 18 ottobre 2017, sarebbe nulla, per mancato rispetto del termine di comparizione, ma non inesistente, come affermato dalla Corte territoriale.

Il ricorrente, pur avendo allegato al ricorso numerosi atti processuali, fra questi non ha inserito il decreto di differimento dell’udienza di discussione, pur trattandosi dell’unico atto sul quale sostanzialmente si fonda la censura, atto che non può essere surrogato dal richiamo alla motivazione della sentenza, perchè in quest’ultima se, da un lato, si fa riferimento alla irrilevanza del rinvio “per esigenze organizzative dell’ufficio” (pag. 3 della sentenza), dall’altro si afferma che all’udienza del 12 novembre l’appellante, regolarmente comparso, chiedeva termine per il deposito dell’appello notificato (pag. 2 dello svolgimento del processo).

Lo stesso ricorrente, nell’argomentare sulla fondatezza della censura, afferma che “all’udienza di discussione del 12/11/18 – ove non vi è stata alcuna attività di rilievo processuale – il Collegio col provvedimento di rinvio, che esso stesso qualifica disposto “per esigenze organizzative” ha sostanzialmente revocato il precedente provvedimento di fissazione di udienza” (pag. 12-13 del ricorso), il che smentirebbe la tesi di un rinvio d’ufficio adottato prima dell’udienza, inducendo a ritenere, invece, che quest’ultima sia stata celebrata e che solo all’esito la decisione della causa sia stata differita ad altra data, appunto, dal Collegio con ordinanza, non già dal Presidente, con decreto, come sarebbe avvenuto nell’ipotesi di un rinvio d’ufficio.

In via conclusiva, poichè ai fini della valutazione sulla decisività e sulla fondatezza dell’error in procedendo, non si può prescindere dal contenuto dell’atto con il quale è stato disposto il rinvio dell’udienza dal 12 al 15 novembre, il ricorso si rivela privo dei requisiti prescritti dai richiamati art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, ed il mancato rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione impedisce la valutazione sulla fondatezza della censura, che la Corte deve innanzitutto compiere ex actis, perchè l’esame del fascicolo processuale, finalizzato a verificare se la rappresentazione emergente dal ricorso trovi in questo riscontro, è consentito solo a condizione che si sia in presenza di censura ammissibile.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna dell’istituto ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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