Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9660 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16423-2018 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO ORLANDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISABETTA MIZZAU;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 162,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MEINERI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI ORTIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M. convenne in giudizio C.L., davanti al Tribunale di Udine, chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto di riscatto agrario, quale proprietario di fondo confinante e coltivatore diretto, in relazione ad alcuni terreni che il convenuto aveva acquistato senza che ne fosse data notizia all’attore ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione.

Si costituì in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto della domanda, sul rilievo che egli stesso esercitava l’attività di coltivatore diretto sui fondi in questione.

Istruita la causa con prova documentale e testimoniale, il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l’inefficacia dell’atto di acquisto del C. ed il subentro del B. nella proprietà del fondo, dietro condizione di versamento del relativo prezzo.

2. La pronuncia è stata impugnata dal convenuto soccombente e la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 30 gennaio 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Trieste ricorre C.L. con atto affidato a un solo motivo.

Resiste B.M. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis – c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo.

Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe considerato l’esistenza di documenti che, unitamente alle deposizioni dei testimoni, dimostrerebbero l’esistenza di un contratto di affitto agrario, stipulato verbalmente, tra il ricorrente e la dante causa dei venditori; la sentenza non avrebbe tenuto conto della data certa delle quietanze di pagamento e sarebbe perciò pervenuta ad una ricostruzione del fatto errata.

1.1. Il motivo di ricorso è inammissibile per una serie di convergenti ragioni.

1.2. La Corte di merito – dopo aver correttamente riportato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’insediamento di un coltivatore diretto è ostativo all’insorgere del diritto di prelazione solo a condizione che si tratti di un insediamento legittimo e caratterizzato dalla stabilità – ha ritenuto che le prove offerte dall’appellante non fossero sufficienti a ritenere raggiunta detta prova. La sentenza ha specificato, infatti, che le ricevute di pagamento che avrebbero dovuto costituire prova dell’esistenza del contratto verbale di affitto erano prive di data certa e, come tali, inutilizzabili ai fini della dimostrazione dell’avvenuto pagamento del canone; ed inoltre, non risultava che quelle ricevute si riferissero effettivamente ai fondi oggetto di compravendita, per cui era irrilevante la sussistenza o meno della qualifica di coltivatore diretto dell’appellante, stante la mancanza di prova dell’esistenza della qualità di affittuario. Nessun valore presuntivo, infine, poteva essere ricondotto all’attestazione contenuta nell’atto di compravendita secondo cui il C. era affittuario del fondo, cosa che lo stesso appellante aveva riconosciuto nell’appello.

1.3. A fronte di questa ricostruzione dei fatti, non più modificabile in sede di legittimità, il ricorrente sostiene che l’esistenza del contratto di affitto risulterebbe dal contratto di compravendita e che le quietanze dovevano essere valutate alla luce delle deposizioni testimoniali, cosa che la Corte di merito non avrebbe fatto, per cui vi sarebbe un’omissione decisiva ai fini dell’accoglimento del ricorso.

Rileva questo Collegio che il ricorso è redatto in modo non pienamente rispettoso dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), poichè fa riferimento genericamente ad una serie di documenti senza indicare se e dove essi siano stati localizzati e messi a disposizione di questa Corte. In secondo luogo, la censura di omessa motivazione è formulata senza tenere nel dovuto conto la formulazione vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), perchè la sentenza impugnata ha tenuto in considerazione le deposizioni dei testi e le quietanze prodotte, ritenendo queste ultime inidonee a supportare la tesi del convenuto, per cui non si profila un’omissione rilevante in questa sede ai fini della sussistenza del vizio di motivazione. Oltre tutto, la contestazione è formulata in modo generico e dimostra di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata nella sua globalità. In ultimo, e ad abundantiam, il Collegio rileva che la censura è finalizzata a sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.

2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Non sussistono, però, le ragioni per la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. invocata nel controricorso dalla difesa del B.. Sussistono, invece, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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