Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9660 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. III, 22/04/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 22/04/2010), n.9660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10729/2009 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI

LOMBARDI 4, presso lo studio dell’avvocato TURCO ALESSANDRO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RINALDI OLIVO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 180,

presso lo studio dell’avvocato BRASCHI FRANCESCO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROMANO ALESSANDRO, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 752/2 0 08 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

12/12/07, depositata il 10/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore

Dott. SCARANO Luigi Alessandro;

udito l’Avvocato Braschi Francesco, difensore del controricorrente

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che concorda con la relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Avverso la pronunzia del 10/3/2008 della Corte d’Appello di Milano, di parziale riforma -in accoglimento del gravame proposto dal sig. L.L. – della pronunzia del Tribunale di Lodi del 14/6//2004 di condanna del sig. F.L. al pagamento del compenso dovutogli per la progettazione di una palazzina ad uso di abitazione, quest’ultimo propone ricorso per cassazione affidato a 4 motivi.

Resiste con controricorso il L..

Con il 1^ MOTIVO il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 194, 61, 62, 156, 157 e 159 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ MOTIVO denunzia omessa ed insufficiente motivazione su fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 4^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, avuto riguardo all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass. 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dai motivi con i quali si denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto risultano nel caso formulati in termini tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v.

Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519;

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui salutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366~Jbis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso sia il motivo (3) con il quale si denunzia vizio di motivazione, non reca invero la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle “ragioni” dei denunziati vizi di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

Non può infine sottacersi che in base al principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione dell’art. 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -e non anche come nella specie in termini di violazione di legge-, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria; considerato che il P.G. ha condiviso la relazione; rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

 

 

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