Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9659 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. III, 22/04/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 22/04/2010), n.9659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10324/2009 proposto da:

INA ASSITALIA SPA di Massimiliano D’Andrea e Mario Paglia Sdf in

persona del legale rappresentante dell’agenzia generale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio

dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ZIVERI MARCELLO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A. già titolare della cessata ditta individuale

Facsimile, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VENTURA SERGIO, giusta

mandato a lite a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 445/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

10.7.07, depositata il 05/03/2008; udita la relazione della causa

svolta nella camera di consiglio del 28/01/2010 dal Consigliere

Relatore Dott. SCARANO Luigi Alessandro;

udito per la controricorrente l’Avvocato Contaldi Gianluca (per

delega avv. Contaldi Mario) che si riporta agli scritti;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Avverso la pronunzia del 5/3/2008 della Corte d’Appello di Bologna di accoglimento del gravame proposto dalla sig. S. A., in proprio e quale titolare della cessata impresa individuale Facsimile, nei confronti della pronunzia del Tribunale di Parma del 7/12//2001 di reiezione della domanda di condanna della INA ASSITALIA Agenzia Generale di M. D’ANDREA e M. PAGLIA s.d.f. al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’allagamento di locali dell’unità immobiliare condotta in locazione, quest’ultima propone ricorso per cassazione affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso la S., in proprio e nella qualità.

Con il 1^ MOTIVO la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 2, art. 163 bis c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2^ MOTIVO denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, avuto riguardo all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dal 1 motivo di ricorso risultano formulati in termini tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v.

Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519;

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso sia il motivo con il quale si denunzia vizio di motivazione, non recano invero la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle “ragioni” dei denunziati vizi di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

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