Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9659 del 03/05/2011

Cassazione civile sez. III, 03/05/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 03/05/2011), n.9659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato SERRA FAUSTO giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

CITIFIN CITICORP FINANZIARIA S.P.A. (OMISSIS), in persona del Suo

Presidente Dott. D.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PIETRO GIANNONE 27 (SC. G INT 8), presso lo studio dell’avvocato

CAPUTO SIMONETTA, rappresentata e difesa dall’avvocato SCULCO NICOLA

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 420/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Terza Civile, emessa il 7/02/2006, depositata il 21/02/2006,

r.g.n. 4090/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine rigetto.

Fatto

IN FATTO

Il tribunale di Milano, decidendo della controversia promossa da B.M. nei confronti della Citifin Citicorp Finanziaria s.p.a., e rigettate le eccezioni preliminari, confermò il decreto ingiuntivo opposto dalla B., condannandola alle spese del grado.

La sentenza fu impugnata dall’opponente dinanzi alla corte di appello di Milano, la quale, nel respingerne il gravame, osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:

1) che il credito vantato e azionato in executiviis dalla società appellata aveva ad oggetto i canoni della locazione finanziaria concessa all’opponente per l’acquisto di un’apparecchiatura comprata dalla concedente, su indicazione della B., dalla società Hi Tech di C.P.;

2) che, secondo quanto sostenuto dall’appellante, il contratto era affetto da nullità perchè le firme da lei apposte sul verbale di consegna e sulla proposta negoziale le erano state carpite con l’inganno dal C. e dall’agente della società di questi, P.M., perchè la documentazione non era sottoscritta dalla Citifin e non era accompagnata dalla certificazione di conformità dei beni, perchè non le era stata consegnata l’apparecchiatura laser prescelta ma altra (sottoposta a sequestro penale a seguito di denuncia per truffa presentata alla procura della Repubblica di Cagliari a carico dei predetti), perchè, infine, le indicazioni contenute nella proposta di locazione finanziaria e nei citati documenti erano generiche e imprecise, non consentendo per l’effetto la individuazione del bene;

3) che l’assunto dell’appellante era del tutto infondato in diritto poichè, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la mancanza di un’operazione giuridica unitaria e di un rapporto trilatero con riguardo al contratto di leasing e a quello, collegato, di fornitura impediva di ritenere che l’inadempimento del venditore alla consegna del bene pattuito (l’indicazione, in sentenza, al f. 6, del bene come “autovettura” deve ritenersi frutto di un evidente lapsus calami) potesse riverberarsi sul contratto di leasing cagionandone l’inefficacia;

4) che il mero collegamento negoziale tra i due contratti comportava, per l’utilizzatore, l’onere di esperire le azioni di garanzia per vizi della cosa direttamente nei confronti del fornitore; la conseguente illegittimità dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. eventualmente opposta al concedente; la speculare illegittimità del rifiuto di adempimento all’obbligazione di pagamento assunta nei confronti del concedente;

5) che tutte le questioni aventi ad oggetto l’acquisto del bene dal fornitore non potevano, pertanto, essere dedotte dalla B. nei confronti della società finanziatrice che, versato il prezzo della cosa al fornitore stesso, aveva legittimamente attivato il meccanismo previsto nel piano finanziario così adempiendo definitivamente alle proprie obbligazioni contrattuali.

B.M. ha impugnato la sentenza di appello con ricorso per cassazione sorretto da un unico, complesso motivo.

Resiste con controricorso la Citifin.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso (ammissibile in rito, attesa la rilevanza, ai fini della tempestività della notificazione, della data di consegna del plico all’ufficiale giudiziario, e non di quella di ricezione dell’atto da parte dell’intimato, ed attesa altresì la irrilevanza di ogni vizio di competenza dell’ufficiale giudiziario procedente, sanato dalla proposizione del controricorso) è infondato.

Con il primo ed unico motivo, si denuncia violazione di norme di diritto (artt. 1322, 1325, 1353, 1356, 1375, 1418, 1427, 1498, 2697 c.c.; artt. 112 e 115 c.p.c.); difetto di motivazione.

Il motivo – che riproduce pedissequamente, in questa sede, doglianze già svolte dinanzi al giudice di appello – è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dalla corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che ogni questione inerente al bene oggetto della pattuita fornitura non potesse introdursi, in sede giudiziaria, nei confronti del concedente, ma andasse proposta nei confronti del fornitore.

Il principio, conforme a quanto ripetutamente e consonantemente affermato da questa corte di legittimità (per tutte, Cass. 17767/05), deve essere in questa sede ribadito, con conseguente declaratoria di conformità a diritto della decisione della corte di appello milanese, le cui argomentazioni in iure e la cui ricostruzione fattuale che questo collegio interamente condivide – si sottraggono tout court alle censure oggi nuovamente mosse dalla ricorrente, mentre del tutto precluso in questa sede risulta il riesame dei fatti storici che la ricorrente, sotto le spoglie del vizio di motivazione, surrettiziamente mostra di invocare a questa corte nel ripercorrere nuovamente il complesso e tormentato iter della vicenda processuale che ancora la riguarda.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2011

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