Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9658 del 03/05/2011

Cassazione civile sez. III, 03/05/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 03/05/2011), n.9658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15474-2006 proposto da:

V.A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato

BONAIUTI DOMENICO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BORROMEO ANTONELLA giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F.I. (OMISSIS), B.F.

(OMISSIS), C.G.F.P.

(OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 19299-2006 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UMBERTO

BOCCIONI 4, presso lo studio dell’avvocato CASSIANO ANTONIO, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

V.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA R.

GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato BONAIUTI DOMENICO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORROMEO

ANTONELLA giusta delega in calce al ricorso principale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2258/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 20/9/2005, depositata il 28/09/2005, R.G.N.

2940/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato DOMENICO BONAIUTI;

udito l’Avvocato ANTONIO CASSIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso

per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso

incidentale.

Fatto

IN FATTO

V.A., nel convenire in giudizio B.M. e V.O. dinanzi al tribunale di Milano, rappresentata in limine la propria qualità di effettivo conduttore di un immobile adibito a sua stabile abitazione – pur essendo stato il contratto di locazione stipulato, per esigenze transitorie, tra suo zio, V. O. (residente fuori (OMISSIS)) e il locatore B.M., così eludendo le norme imperative sulla determinazione legale del canone – chiese, previo accertamento dell’interposizione fittizia di V.O., che il giudice adito dichiarasse la locazione soggetta alla legge dell’equo canone con conseguente rideterminazione della misura legale del corrispettivo, e la condanna del locatore alla restituzione della somma di oltre L. 65 milioni.

Il giudice di primo grado accolse la domanda, dichiarando la simulazione del contratto di locazione tra B.M. e V. O. e la dissimulazione del contratto tra il B. e V. A., dopo aver accertato che il genero del locatore, Be.

S., aveva in realtà condotto personalmente le trattative intestando il contratto ad V.O. ed agendo quale rappresentante del B. il quale, con la sottoscrizione della scheda negoziale, avrebbe poi ratificato tout court l’operato del mandatario, facendo proprio ogni elemento dell’atto, comprese le trattative pre-contrattuali (cui aveva costantemente presenziato l’attore, nella qualità di reale interessato alla locazione).

La sentenza fu impugnata dagli eredi di B.M. dinanzi alla corte di appello di Milano, che ne accolse il gravame, respingendo in toto l’originaria domanda attorea.

V.A. ha impugnato la pronuncia con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi.

B.F. ha resistito con controricorso, corredato da ricorso incidentale condizionato (cui resiste con controricorso V.A.).

Le parti hanno entrambe depositato memorie illustrative.

Con ordinanza interlocutoria resa all’esito dell’udienza pubblica tenutasi il 22.4.2010, la Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di V.O., ritenuto litisconsorte necessario del processo, e la rinnovazione della notificazione nei confronti di ciascuna delle eredi B., anch’esse litisconsorti necessarie.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso principale è infondato.

Esso va, pertanto, rigettato.

Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello incidentale, espressamente gualificato come condizionato dalle parti contro ricorrenti.

Con il primo motivo, si denuncia violazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 19; omessa motivazione in punto di applicabilità alla fattispecie della disciplina del cd. “equo canone”.

Il motivo (la cui formulazione in rito lascia adito a non poche perplessità, omettendo del tutto il ricorrente di indicare ai sensi di quale delle ipotesi di cui alla norma ex art. 360 c.p.c. egli ritiene di sollevare le proprie doglianze) è comunque privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il locatore B.M. fosse del tutto all’oscuro dell’intera vicenda interpositoria, essendo stato arbitrariamente ed erroneamente chiamato a risponderne sulla base della sola circostanza della sua personale sottoscrizione apposta al contratto, onde la illegittima riconduzione del meccanismo dissimulatorio alla sua volontà con riguardo al momento genetico del rapporto negoziale.

Trattasi di accertamento di fatto che, correttamente motivato ed esente da vizi logico-giuridici, si sottrae tout court a qualsiasi censura in sede di giudizio di legittimità.

Tutte le ulteriori questioni oggi sollevate dinanzi alla corte, funzionali all’accertamento di una asserita nullità negoziale per contrarietà a norme imperative, risultano del tutto inammissibili perchè volte ad introdurre un tema di giudizio nuovo e diverso rispetto a quello, oggetto del dibattito di merito, avente ad oggetto un negozio di cui si è sinora predicata la simulazione soggettiva parziale per interposizione di persona (con conseguente validità del negozio dissimulato tra interponente e terzo contraente), dovendosi – come pacifico nella giurisprudenza di questa corte di legittimità – il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale coordinare con quello della preclusione da giudicato implicito.

Con il secondo motivo, si denuncia falsa applicazione degli artt. 1388, 1391 e 1393 c.c.; motivazione contraddittoria.

Il motivo (che desta le medesime perplessità di formulazione si come rappresentate in occasione dell’esame della prima doglianza) è anch’esso infondato.

La corte d’appello, con indagine di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto applicabile alla fattispecie le norme sulla rappresentanza – del tutto correttamente, va soggiunto (ad integrazione del corpus motivazionale della sentenza di merito), atteso che, al di là e a prescindere dalla non rilevante circostanza dell’apposizione della firma al contratto di locazione da parte del rappresentato-mandante, certa ed incontestata emerge in atti la circostanza che il contratto stesso ebbe effetto, ab origine, tra il B. ed il V., senza che alcun atto di ritrasferimento degli effetti negoziali si rendesse necessario, come pure d’uopo nella erroneamente predicata ipotesi di mandato senza rappresentanza, ed ha altrettanto correttamente opinato, con indagine di fatto sottratta istituzionalmente a qualsiasi vaglio critico da parte del giudice di legittimità, che, per giungere alla richiesta condanna del B., occorresse certamente di più che la mera sottoscrizione del contratto, posto che la prova della scienza di determinate circostanze ad esso inerenti da parte del Be. non poteva costituire speculare prova a carico del firmatario della scheda negoziale.

Con il terzo motivo, si denuncia, infine il vizio di insufficiente motivazione per avere errato la corte di appello nel ritenere che la prova per testimoni, contraria a circostanze risultanti da prova documentale, valesse a superare detta prova.

Il motivo non ha giuridico fondamento.

La corte d’appello ha evidenziato, del tutto correttamente, la irrilevanza dei fatti sopravvenuti al momento genetico del contratto (momento idoneo, esso solo, a fissare definitivamente gli stati soggettivi rilevanti della parti contraenti) specificando poi, ad abundantiam, ed altrettanto condivisibilmente, che le stesse circostanze di fatto, relativi ad assegni non trasferibili versati sul conto corrente del locatore, venivano in concreto movimentati da parte della figlia del B. (moglie del mandatario Be.) fornita di apposita delega ad operare sul conto medesimo.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, come da dispositivo, il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorso e rigetta il ricorso principale (assorbito quello incidentale condizionato). Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 4200, di cui Euro 200 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2011

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