Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9653 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11394-2018 proposto da:

AGRICOLA P.A. E C. S.S., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERDINANDO PREVIDI;

– ricorrente –

contro

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MAURO FILIPPINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 308/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Reggio Emilia, Sezione specializzata agraria, S.D. convenne in giudizio la Società agricola P.A., chiedendo che fosse dichiarata l’inesistenza di un contratto agrario tra le parti o, in subordine, la cessazione degli effetti del contratto, in entrambi i casi con ordine al convenuto di rilasciare i terreni di proprietà dell’attore e conseguente condanna al risarcimento dei danni.

A sostegno della domanda espose di aver affidato alla convenuta, affinchè li custodisse, alcuni terreni di sua proprietà, con espressa pattuizione che la consegna fosse precaria e revocabile in qualsiasi momento. Rientrato in possesso dei terreni a seguito di riconsegna da parte della convenuta, egli dichiarava di averli affittati a terzi, aggiungendo che la società convenuta aveva commesso atti di intrusione, sostenendo che fosse stato stipulato con esso attore un contratto di affitto, in forma orale, in data 11 novembre 2000.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Bologna, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 7 febbraio 2018, ha accolto il gravame ed ha condannato la società appellata al rilascio dei terreni al termine dell’annata agraria corrente ed al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale che l’appellante aveva prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado nella parte in cui essa aveva ritenuto dimostrata l’esistenza di un contratto di affitto di fondo rustico con decorrenza 10 novembre 2000, destinato a scadere in data 10 novembre 2015; per cui il compito del giudice di appello era solo quello di stabilire se le lettere inviate dal S. alla società agricola P. fossero o meno rappresentative della volontà del primo di esercitare il diritto al rilascio del fondo. Ed ha ritenuto la Corte di merito – andando di contrario avviso rispetto al Tribunale – che la lettera raccomandata del 27 ottobre 2014, la quale riprendeva il contenuto della precedente lettera del 10 dicembre 2012, negando in modo espresso l’esistenza di un contratto di affitto di fondo rustico, fosse di per sè indice della “volontà di escludere la ricorrenza di qualsivoglia diritto in capo a controparte a disporre dei terreni litigiosi”. D’altra parte, ha rilevato la Corte, poichè l’assunto dell’appellante era che non vi fosse alcun contratto, non aveva senso esigere da lui anche l’espressa negazione del consenso alla rinnovazione di un rapporto asseritamente inesistente.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna ricorre la Società agricola P.A. con atto affidato ad un motivo.

Resiste S.D. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e la società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 1 e 4.

Sostiene la società ricorrente che l’accertamento dell’esistenza di un contratto agrario, da ritenere ormai passato in giudicato, comporterebbe la necessità di una manifestazione di volontà, chiara e non equivoca, indirizzata dal proprietario all’affittuario per impedire la rinnovazione di tale contratto, restando irrilevanti i diversi comportamenti delle parti interessate.

1.1. Il motivo non è fondato.

La L. n. 203 del 1982, art. 4 dispone che, in mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto si intende tacitamente rinnovato e che la disdetta deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

La giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamata dalla Corte d’appello, ha interpretato tale norma nel senso che la disdetta dal contratto di affitto di fondi rustici, intimata ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 4, costituisce atto negoziale unilaterale di volontà di una parte del rapporto contrattuale, diretta all’altra, non soggetta a forme rigorose, salvo quella di essere formulata per iscritto, e tale da esprimere, sotto il profilo contenutistico, la volontà inequivoca del concedente di avvalersi del relativo diritto teso all’ottenimento del rilascio del fondo (sentenza 18 ottobre 2005, n. 20145).

La Corte di merito, interpretando gli atti processuali alla luce di questo principio, ha rilevato che il comportamento tenuto dal proprietario S. era nel senso di negare affatto l’esistenza di un qualsivoglia contratto di affitto di fondo rustico; per cui l’intimazione che aveva avuto luogo con la lettera raccomandata del 27 ottobre 2014, pur non contenendo un’espressa volontà di intimare la cessazione del contratto (in quanto considerato inesistente), era comunque indice della chiara volontà di intimare la disdetta per la successiva scadenza legale. E l’acquiescenza prestata in ordine alla parte della sentenza di primo grado che riconosceva l’esistenza del contratto non andava ad inficiare la volontà di cessazione.

Tale ragionamento appare pienamente coerente; e comunque, posto che l’interpretazione degli atti processuali e la valenza dei comportamenti assunti dalle parti sono rimesse alla valutazione del giudice di merito, è chiaro che il giudizio della Corte d’appello non può essere sovvertito in questa sede.

1.2. La parte ricorrente ha insistito nella memoria sul fatto che il ricorso non tende al riesame del merito, quanto piuttosto a sindacare se sia o meno corretta la tesi della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la contestazione dell’esistenza del diritto altrui sia sufficiente ad integrare una manifestazione di volontà negoziale recettizia volta ad impedire la successiva rinnovazione del contratto. Osserva però il Collegio, integrando in tal modo la motivazione della sentenza impugnata, che il vizio di sussunzione rappresentato nella memoria non sussiste; pacifico essendo, infatti, che il S. inviò la lettera di cui parla la sentenza in esame e che il reingresso dell’affittuario fosse, nella prospettazione del concedente, abusivo, ne deriva che l’interpretazione fatta propria dalla Corte d’appello appare conforme al principio di buona fede, trattandosi della interpretazione di una volontà comunque finalizzata ad impedire la prosecuzione del rapporto agrario.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione della particolarità della vicenda e degli esiti alterni dei due giudizi di merito, ritiene la Corte di dover compensare per intero le spese del giudizio di cassazione.

Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, trattandosi di causa esente per legge (sentenza 31 marzo 2016, n. 6227, e ordinanza 22 maggio 2018, n. 12577).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 26 maggio 2020

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