Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 965 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 17/01/2020), n.965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIA Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15835-2018 proposto da:

ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI TRIESTE, in persona del Capo

Ispettorato pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

EXPRESS SOCIETA’ COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE, P.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 773/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

MARCHESE GABRIELLA.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 773 del 2017, respingeva l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste (n. 109 del 2016) proposto dal Ministero in epigrafe nei confronti della Express Società Cooperativa in liquidazione e di P.M.;

la Corte di appello, pur condividendo la valutazione del Tribunale in ordine “alla insufficienza nella specie dei progetti per difetto di specificità”, assumeva, poi, la natura relativa della presunzione di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato posta dal D.Lgs n. 276 del 2003, art. 69, ratione temporis applicabile, ed escludeva, in fatto, che l’esecuzione dei rapporti controversi avesse avuto le caratteristiche della subordinazione;

ha proposto ricorso per cassazione, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Trieste (succeduto alla Direzione Territoriale del Lavoro di Trieste – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), fondato su un unico motivo;

sono rimasti intimati la società Express Società Cooperativa in liquidazione e P.M.;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RILEVATO

CHE:

con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, nella formulazione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, per aver la Corte di appello, pur confermando l’accertamento di “insufficienza nella specie dei progetti per difetto di specificità” qualificato come relativa piuttosto che assoluta la presunzione citato D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 69;

il motivo è fondato;

soccorre il principio di questa Corte secondo cui: ” in tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (ratione temporis applicabile nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (Cass. n. 17127 del 2016; in motivazione, Cass. n. 4337 e 16580 del 2018);

all’espresso principio occorre assicurare continuità in questa sede;

allo stesso, invece, non si è attenuta la sentenza della Corte di appello di Trieste che, erroneamente qualificando come relativa la presunzione posta dall’art. 69 cit., prima dell’intervento legislativo del 2012, ha proceduto all’accertamento del concreto atteggiarsi dei rapporti mentre avrebbe dovuto disporre l’automatica conversione degli stessi in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

la sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’opposizione all’ordinanza ingiunzione;

le spese dell’intero processo, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione all’ordinanza ingiunzione; condanna i soccombenti alle spese dell’intero processo che liquida in Euro 2.500,00 per il primo grado, Euro 3.000,00 per l’appello ed Euro 3.500,00 per il giudizio di legittimità, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 gennaio 2020

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