Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9648 del 12/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9648 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 1006-2013 proposto da:
CAPUANO ANNA ( CPNNNA82B61D390Q) elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13, presso lo studio
dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO (presso il Centro CAF),
rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta procura
a margine del ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE in persona del Direttore Centrale della Direzione
Prestazioni a Sostegno del Reddito, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

2t03

Data pubblicazione: 12/05/2015

VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO
STUMPO, giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 82/2012 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito per la ricorrente l’Avvocato Felice Amato che si riporta ai motivi
del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si
riporta agli scritti.
Fatto e diritto
Anna Capuano, premesso di essere stata erroneamente cancellata
dall’elenco dei lavoratori agricoli, conveniva l’INPS dinanzi al Giudice
del lavoro di Salerno e chiedeva che fosse accertato che essa aveva
intrattenuto un rapporto di lavoro subordinato per 51 giornate con
l’azienda agricola Rastelli Giuseppe nell’anno 2006 e che l’Istituto fosse
condannato a reiscriverla nell’elenco dei lavoratori agricoli ed a
corrispondere alcune prestazioni assicurative.
Rigettata la domanda da parte del Tribunale, la Corte di appello,
invece, l’accoglieva compensando però le spese del doppio grado di
giudizio.
Propone ricorso per cassazione la Capuano e deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt 91 e 92 secondo comma c.p.c. anche in
relazione all’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970 (all’epoca vigente) in relazione
all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; erronea valutazione e travisamento dei
fatti di causa e dei documenti depositati in giudizio in relazione agli
artt. 360 comma 1 nn. 3,4 e 5 c.p.c.vizio di motivazione e
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SALERNO del 18.1.2012, depositata il 31/01/2012;

contraddittorietà della stessa in relazione ad un fatto decisivo anche
con riguardo al citato art. 22 d.l. n. 7 del 1970 in relazione all’art. 360
comma 1 n. 5 c.p.c..
L’INPS si è costituito con tempestivo controricorso insistendo per la
conferma della sentenza della Corte di appello in ogni sua parte.

conclusioni già prese.
Tanto premesso le censure, che investono la compensazione delle
spese dei due gradi di giudizio, sono infondate.
La Corte territoriale nel riformare la sentenza di primo grado, che
aveva respinto la domanda dell’odierno ricorrente di iscrizione negli
elenchi dei lavoratori agricoli per cinquantuno giornate nell’anno 2006,
ha condannato l’INPS al pagamento dell’indennità di disoccupazione
degli assegni familiari dopo aver accertato che la prova testimoniale
assunta nel corso del primo grado di giudizio era idonea a dimostrare
l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato presso l’azienda agricola
nel periodo ottobre — dicembre 2006 e non era stata adeguatamente
contraddetta dai verbali ispettivi allegati e prodotti dall’INPS.
Ha poi compensato le spese di entrambi i gradi di merito evidenziando
che la controversia si inseriva in un contesto fattuale in cui erano stati
necessari accertamenti ispettivi complessi e complesse inchieste
giudiziarie per porre rimedio alla proliferazione di rapporti agricoli
inesistenti gravanti sulle casse dell’Istituto costretto a pagamenti di
prestazioni indebite.
Tutto ciò ha richiesto all’INPS di procedere ad una estesa e scrupolosa
verifica dei suoi archivi ma ha reso necessaria, in sede giudiziale e
nell’ambito dei rispettivi oneri probatori, una approfondita indagine
probatoria.

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La Capuano ha depositato memoria illustrativa insistendo nelle

Tutto ciò premesso rileva il Collegio che al procedimento si applica
l’art. 92 c.p.c. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla
legge n. 69 del 2009.
Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è stato infatti
depositato il 18 febbraio 2008 mentre la formulazione dell’art. 92 c.p.c.

controversie introdotte in primo grado dopo l’entrata in vigore della
novella e dunque dal 4 luglio 2009.
Il secondo comma dell’art. 92 nel testo introdotto dalla L. 28 dicembre
2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), dispone che ” Se vi è
soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente
indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o
per intero, le spese tra le parti”.
Va precisato che nel caso esaminato pur non esistendo una
soccombenza reciproca, tuttavia, non è stato violato il principio della
soccombenza, in quanto tale violazione si ha solo se viene condannato
a pagare le spese di lite un soggetto che sia vincitore e non anche in
caso di compensazione ove, come nella specie è avvenuto, sulle ragioni
della compensazione la corte territoriale ha idoneamente motivato (cfr.
in termini analoghi Cass. 3.4.2015 n. 6816).
Tanto premesso va poi rammentato che le sezioni unite di questa
Corte (Cass. s.u. n. 20598 e 20599 del 2008), nel comporre un
contrasto giurisprudenziale insorto in seno alle sezioni semplici,
hanno affermato, con specifico riguardo al regime delle spese
introdotto con la legge n. 263 del 2005, che ” alla stregua del dato
letterale della novella (….) il giudice abbia l’obbligo di esprimere
motivazioni specifiche, e cioè espressamente riferite al provvedimento
di compensazione “.

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come modificata dalla citata legge n. 69 del 2009 trova applicazione alle

Pertanto, a differenza delle fattispecie ricadenti nel regime anteriore,
per quelle regolate dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), il
provvedimento di compensazione delle spese “per giusti motivi” rende
necessaria l’esplicitazione di ragioni specificamente riferite a detta
statuizione.

sindacato di legittimità, rientrando nel potere discrezionale del giudice
di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in
parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia
nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni.
La valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in
cassazione se le spese, come si è già ricordato, sono poste a carico della
parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione si palesi
illogica e contraddittoria, tale da inficiare, per inconsistenza o
erroneità, il processo decisionale (cfr. Cass. 29.9.2014 n. 20530).
In tali vizi non è tuttavia incorsa la Corte di appello che ha con
linearità e logicità preso atto della complessità della vicenda sottostante
la controversia e della necessità di approfondite indagini probatorie
indicando nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio
convincimento. Poiché oltre tale limite non si può spingere l’indagine
di questa Corte né la critica al ragionamento espresso dal giudice di
merito il ricorso, conclusivamente, deve essere rigettato.
Quanto alle spese del presente giudizio di legittimità queste vanno
dichiarate non ripetibili, nel ricorso dei presupposti richiesti dall’art.
152 disp. att. c.p.c..
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e dichiara non ripetibili le spese del giudizio
di legittimità.
Così deciso in Roma il 9 aprile 2015
Ric. 2013 n. 01006 sez. ML – ud. 09-04-2015

Ciò chiarito, deve comunque ribadirsi che continua a restare estranea al

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