Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9642 del 19/04/2018


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Cassazione civile, sez. III, 19/04/2018, (ud. 31/01/2018, dep.19/04/2018),  n. 9642

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

1. Nel 2010 il sig. L.M. e l’avv. D.M.D. convenivano davanti al Giudice di Pace di Roma la società Poste Italiane spa.

Il sig. L. – premesso in fatto che: aveva notificato con raccomandata 28/1/2010 a Poste Italiane, con le cure dell’avv. D.M., un atto di precetto per Euro 678,38; il relativo avviso di ricevimento risultava privo di data e firma dell’addetto al recapito della raccomandata – chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento di Euro 5,60 a titolo di danno patrimoniale.

L’avv. D.M., invece, chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da stress, da stabilirsi in via equitativa.

Si costituivano in giudizio le Poste Italiane, contestando in fatto e in diritto le domande avversarie, delle quali chiedevano il rigetto con vittoria delle spese processuali.

2. Il Giudice di pace di Roma con sentenza 13275/2013 rigettava la domanda, condannando gli attori alla rifusione delle spese processuali in favore della società convenuta.

Il sig. L. e l’avv. D.M. proponevano appello avverso la sentenza del giudice di primo grado, chiedendo nel merito di accertare e dichiarare la responsabilità delle Poste italiane spa e, per l’effetto, condannare quest’ultima al risarcimento di Euro 5,60 a titolo di danno patrimoniale.

Si costituivano le Poste, ribadendo l’eccezione preliminare e le contestazioni di merito svolte nel giudizio di primo grado.

3. Il Tribunale di Roma, con la impugnata sentenza, respingeva l’appello condannando gli appellanti alla rifusione delle spese processuali relative al grado.

4. Il sig. L. e l’avv. D.M. proponevano ricorso avverso la sentenza del Giudice di appello, articolando 6 motivi di doglianza.

Si costituivano le Poste che resistevano con controricorso.

CONSIDERATO CHE:

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Si premette che il Giudice di appello:

– ha respinto l’appello del sig. L., argomentando sul fatto che: a) la L. n. 890 del 1982, art. 6, nell’ambito della disciplina della spedizione degli atti giudiziari a mezzo posta, prevede che lo smarrimento dell’avviso di ricevimento non dà diritto ad alcuna indennità e disciplina compiutamente il caso, anche relativamente alle restituzioni; b) lo smarrimento dell’avviso di ricevimento è equiparabile, quanto alle conseguenze, al ritorno dell’avviso di ricevimento privo delle prescritte annotazioni: invero, sia nel caso in cui non torna l’avviso di ricevimento a colui che aveva chiesto la notificazione a mezzo posta, sia nel caso in cui l’avviso di ricevimento torna, ma privo delle prescritte indicazioni, il notificante si trova nella impossibilità di produrre l’avviso in giudizio, ma ha facoltà di ricevere senza spese il duplicato (compilato dalle stesse Poste sulla base delle risultanze dei registri in suo possesso e, quindi, munito delle indicazioni relative all’attività di notificazione previste dalla L. n. 890 del 1982, art. 7); c) nel caso di specie il L. aveva il diritto di ottenere un avviso di ricevimento relativo alla notificazione richiesta, ma tale diritto, in forza della speciale normativa relativa al servizio da lui liberamente scelto, poteva trovare soddisfazione soltanto mediante la richiesta di rilascio gratuito di duplicato (in concreto non presentata);

– ha respinto l’appello dell’avv. D.M., sulla base del rilievo che nelle conclusioni dell’atto di appello non era stata dallo stesso riproposta la domanda relativa al preteso danno dallo stesso subito.

3.1 ricorrenti censurano la impugnata sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5:

– per violazione o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., nella parte in cui il Giudice di appello ha ritenuto non riproposta nel secondo grado la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno, patrimoniale e non, da stress, formulata in primo grado dall’avv. D.M.;

– per violazione o falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 359 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6, nella parte in cui il Giudice di appello ha assegnato alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c.;

– per violazione della L. n. 890 del 2012, e dell’art. 2049 c.c., nonchè per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, nella parte in cui il Giudice di appello ha equiparato la riconsegna in bianco dell’avviso di ricevimento allo smarrimento dello stesso;

– per violazione dell’art. 2059 c.c., nonchè per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, nella parte in cui il Giudice di appello, ritenendo non riproposta la relativa domanda in appello, nulla ha riconosciuto all’avv. D.M. a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da stress;

– per violazione del combinato disposto di cui all’art. 244 c.p.c. e ss., e art. 2697 c.c., nella parte in cui il Giudice di appello ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice di Pace aveva ritenuto non ammissibili i mezzi istruttori, richiesti da essi attori, difettando la specifica allegazione e prova dei fatti costitutivi della somma richiesta e non comprovando i documenti prodotti il diritto a percepire il credito azionato;

– per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 92 e 96 c.p.c., nella parte in cui il Giudice di appello non ha ritenuto sussistere giusti motivi per addivenire ad una integrale compensazione delle spese, mentre ha ritenuto sussistenti i presupposti per una pronuncia di condanna ai sensi dell’art. 96 u.c..

4. I motivi sono tutti inammissibili:

– il primo, in quanto – nonostante i riferimenti contenuti nell’atto di appello, nelle memorie ex art. 183 e nella comparsa conclusionale – la domanda di condanna del risarcimento del danno non patrimoniale da stress non risulta riproposta nelle conclusioni dell’atto di appello (peraltro non riportate in ricorso, come pur sarebbe stato necessario ai fini dell’autosufficienza dello stesso);

– il secondo, in quanto i ricorrenti, da un lato, avrebbero dovuto eccepire l’erronea concessione dei termini alla prima occasione utile, circostanza che non risulta, mentre risulta che i ricorrenti si sono avvalsi dei termini concessi per il deposito di memorie;

– il terzo, in quanto il Tribunale, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha ritenuto equiparabile la fattispecie del mancato ritorno dell’avviso alla fattispecie del ritorno dell’avviso di ricevimento privo delle prescritte annotazioni e quindi ha correttamente ritenuto applicabile anche nel caso di specie la L. n. 890 del 1982, art. 6, al caso di specie; e, d’altra parte, in caso di richiesta di duplicato (e di presentazione della ricevuta di spedizione), i ricorrenti avrebbero potuto chiedere alle Poste di integrare i dati mancanti sulla base delle risultanze del registro mod. 28 (che per legge viene conservato per tre anni presso l’Ufficio Postale competente per il recapito);

– il quarto, in quanto, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da stress, si è formato il giudicato; e, d’altra parte, secondo ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, non sono meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana, che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato tutela la giustizia di prossimità;

– il quinto, in quanto entrambi i giudici di merito – con motivazione in fatto, insindacabile in sede di legittimità – hanno ritenuto che nell’originario atto di citazione non erano stati specificatamente allegati e provati i fatti costitutivi della somma richiesta ed i documenti prodotti non comprovavano il diritto a percepire il preteso credito;

– il sesto, in quanto la condanna di spese consegue al generale principio per cui le spese seguono la soccombenza; e, d’altra parte, la valutazione sulla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c., u.c., appartiene del giudice di merito (e, in quanto tale, è sottratta al sindacato di questa Corte, sempre che sia motivato, come per l’appunto nel caso di specie nel quale è stato giustificato implicitamente in considerazione del fatto che i ricorrenti avrebbero potuto evitare il giudizio, chiedendo alle Poste il rilascio di duplicato, in ipotesi, anche integrato con i dati mancanti) e la domanda di risarcimento danni non patrimoniale non era stata riproposta dall’avv. D.M..

5. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

Alla declaratoria di inammissibilità, ricorrendone i presupposti di legge, consegue altresì la condanna dei ricorrenti al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 900, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2018

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