Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9640 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 26/05/2020), n.9640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29661-2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 25,

presso lo studio dell’avvocato DEBORA MAGARAGGIA, rappresentato e

difeso dagli avvocati FIAMMETTA CINCINELLI, ALEXIA PAOLOCCI;

– ricorrente –

contro

MA. & S. SNC, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASTEUR 70,

presso lo studio dell’avvocato MARIO MENGHINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONELLA GINANNESCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 862/2018 del TRIBUNALE di VITERBO, depositata

il 30/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G. propose appello avverso la sentenza del Giudice di pace di Viterbo n. 1235/16, con la quale era stata rigettata l’opposizione, dal medesimo presentata, avverso il d.i. emesso da quel Giudice e con il quale gli era stato ingiunto di pagare la somma di Euro 2.048,57, oltre spese ed interessi, in favore di Ma. & S. S.n.c., a titolo di corrispettivo per riparazioni meccaniche effettuate al furgone del M., riparazioni da quest’ultimo contestate.

L’appellante reiterò in quella sede quanto dedotto ed eccepito in primo grado (in particolare l’inefficacia del d.i. opposto per aver la Ma. & S. omesso di indicare il suo codice fiscale sul ricorso monitorio, l’omessa specificazione delle ragioni della domanda, il già intervenuto pagamento delle somme richieste, la prescrizione del credito azionato).

L’appellata resistette all’appello e ne chiese il rigetto.

Il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 1312/208, pubblicata il 30 maggio 2018, rigettò il gravame, condannò l’appellante alle spese di quel grado e diede atto “della responsabilità del suddetto appellante in ordine alla reiterazione del pagamento del contributo unificato versato in…(quel) grado di giudizio”.

Avverso la sentenza del Tribunale M.G. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi, cui ha resistito Ma. & S. S.n.c. con controricorso illustrato da memoria.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta (v. controricorso, n. 5, penultima pagina) dalla controricorrente, secondo cui la procura speciale rilasciata dal M. al suo difensore non avrebbe conferito a quest’ultimo il potere di proporre ricorso in cassazione.

Al riguardo si rileva che, con la procura posta in calce al ricorso, il ricorrente ha conferito espressamente al suo difensore Alexia Paolocci (successivamente affiancata da altro difensore, come da comparsa di costituzione dello stesso e procura speciale rilasciata su foglio separato ma congiunto all’atto cui si riferisce) “delega” a rappresentarlo e difenderlo nel corso del presente giudizio di cassazione richiamando pure la sentenza impugnata in questa sede, sicchè la procura deve ritenersi rituale (Cass. 7/03/2012, n. 3602; Cass. 17/03/2017, n. 7014; Cass. 14/11/2011, n. 23777; Cass. 6/04/2000, n. 4326).

2. Con il primo motivo, rubricato “Omessa pronuncia sul motivo d’appello consistente nella reiterazione dell’eccezione che, l’atto giudiziario, nel caso di specie il ricorso per D.I. n. 427/2015 emesso dal Giudice di pace di Viterbo, senza l’indicazione del codice fiscale della parte che agisce, sia regolarmente effettuato e redatto e non dia adito a nullità dell’atto giudiziario stesso. Violazione dell’art. 112 c.p.c., in merito al principio del rispetto tra chiesto e pronunciato. Violazione dell’art. 346 c.p.c.. Violazione dell’art. 163 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 164,125, 316 e 318 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)”, il ricorrente sostiene che, pur avendo egli specificamente riproposto in appello tutte le eccezioni, deduzioni, richieste istruttorie e conclusioni già proposte in primo grado, tra cui l’eccezione di omessa indicazione del codice fiscale del creditore nel ricorso per d.i., tuttavia, il Giudice dell’appello non si sarebbe pronunciato su tale eccezione.

2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 6, non essendo stato riprodotto lo specifico tenore dell’atto di appello sul punto, al fine di evidenziare che il Giudice di secondo grado aveva il dovere di pronunciare al riguardo, e neppure è stato indicato se e in quali termini l’eccezione di nullità è stata formulata in primo grado agli effetti dell’art. 164 c.p.c..

Si osserva, per completezza, che il motivo all’esame è, comunque, infondato, alla luce del principio già affermato da questa Corte, sia pure con riferimento al ricorso per cassazione, ma che risulta ben applicabile anche al ricorso per d.i. e che va ribadito in questa sede, secondo cui la violazione della previsione contenuta nell’art. 125 c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. n. 193 del 2009, art. 4, comma 8, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 24 del 2010, secondo la quale “il difensore indica il proprio codice fiscale”, non è causa di nullità del ricorso, non essendo, tale conseguenza, espressamente comminata dalla legge, e non potendo ritenersi che siffatta omissione integri la mancanza di uno dei requisiti formali indispensabili all’atto per il raggiungimento dello scopo cui è preposto (Cass. 19/01/2016, n. 767; Cass., ord., 23/11/2011, n. 24717).

3. Il secondo motivo è così rubricato: “Infondatezza dell’assunto secondo cui le fatture non sarebbero prescritte perchè è avvenuta diffida ad adempiere come stabilito dal Giudice di pace di Viterbo e perchè sarebbero sottoposte alla prescrizione decennale, secondo quanto stabilito dal giudice d’appello. Violazione dell’art. 2955 c.c., comma 1, n. 2, in materia di prescrizioni di prestatori di lavoro in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Sostiene il ricorrente che, nella specie, sarebbe applicabile il termine di prescrizione di un anno a decorrere dall’esecuzione del lavoro, ai sensi dell’art. 2955 c.c., comma 1, n. 2, rientrando, a suo avviso, il meccanico nella figura del prestatore di lavoro ai sensi della L. n. 122 del 1992. Inoltre, secondo il M., al diritto vantato ex adverso non si applicherebbe la prescrizione decennale ordinaria, come ritenuto dal Giudice di appello, in quanto, pur a non voler ritenere il meccanico un prestatore di lavoro ma un prestatore d’opera, il diritto in parola si prescriverebbe in ogni caso in tre anni, ai sensi dell’art. 2956 c.c., (prescrizione presuntiva). Infine, il ricorrente deduce che il rigetto, in entrambi i gradi merito/delle richieste istruttorie da lui formulate, non avrebbe consentito di provare quanto eccepito, sicchè il difetto di qualsiasi allegazione a tale ultimo riguardo (prescrizione presuntiva) ritenuta dal Tribunale non sarebbe a lui addebitabile.

3.1. Il motivo va disatteso.

Ed invero, il mezzo all’esame, oltre a difettare di specificità, non essendo stato riportato il tenore testuale delle richieste istruttorie proposte, è comunque infondato, dovendosi nella specie applicare il termine ordinario di prescrizione decennale, come correttamente ritenuto dal Tribunale.

4. Con il terzo motivo si lamenta “Infondatezza dell’assunto secondo il quale la mancata esposizione dei fatti della domanda sul ricorso per decreto ingiuntivo è sanata facendo riferimento all’elenco delle fatture insolute il cui pagamento era stato richiesto dalla ditta creditrice con una raccomandata e la pretesa sia correttamente identificata o la modalità espositiva sia adempiuta sulla base delle controdeduzioni contenute nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, come invece, ritenuto dal giudice d’appello. Violazione dell’art. 163, comma 1), n. 4), in combinato disposto con gli artt. 164 e 125 c.p.c., e con l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5). Violazione dell’art. 634 c.p.c., comma 2, in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5). Violazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”.

4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stato riportato il tenore letterale del ricorso per d.i., per la parte che rileva in questa sede, nè delle richieste istruttorie formulate. Per completezza si evidenzia che le doglianze sono pure infondate, ben potendo il contenuto della documentazione integrare la domanda monitoria ed essendo i requisiti di forma-contenuto ex art. 156 c.p.c., comma 2, da cui dipende la validità del ricorso monitorio, quelli necessari a dedurre il credito nell’ambito di una chiara causa petendi, riconducibile alle condizioni di ammissibilità dettate dall’art. 633 c.p.c., ben potendo i fatti secondari, per la loro funzione di prova dei fatti principali, essere indicati successivamente, entro i termini di decadenza stabiliti per la trattazione probatoria (arg. ex Cass. 27/03/2013, n. 7786).

5. Con il quarto motivo si deduce “Infondatezza dell’assunto secondo cui la fattura utilizzata per ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo di pagamento rappresenterebbe prova scritta del debito nell’ambito del processo di opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento e, dunque, non ammissibile la prova testimoniale contraria avente ad oggetto l’avvenuta remissione del debito per corresponsione, come, invece, stabilito dal giudice d’appello. Violazione della giurisprudenza di legittimità che non ritiene prova scritta la fattura nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento. Violazione del principio del contraddittorio. Violazione del principio della parità processuale delle parti. Violazione dell’art. 2721 c.c., in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)”.

5.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo stati riportati i capitoli di prova, i testi e le ragioni per le quali questi ultimi siano qualificati a testimoniare (Cass., ord., 10/08/2017, n. 19985; Cass. 23/04/2010, n. 9748; Cass., sez. un., 22/12/2011, n. 28336, Cass., ord., 30/07/2010, n. 17915; 13085/07; Cass. 12/06/2006, n. 13556); si evidenzia, peraltro, che il Tribunale, con riferimento all’exceptio de soluto, ha ribadito la motivazione del primo Giudice basata “sul divieto frapposto in proposito dall’art. 2726 c.c., in mancanza di elementi tali da giustificare la deroga ex art. 2721 cit.” e si richiama, con riferimento al potere discrezionale del giudice di merito di ammettere prove testimoniali oltre i limiti di cui all’art. 2721 c.c., il cui esercizio o mancato esercizio è insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, motivato, sia pure sinteticamente, i principi espressi da Cass. 18/10/1999, n. 11695 e Cass. 22/05/2007, n. 11889.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.935,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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