Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 964 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 17/01/2020), n.964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIA Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13286-2018 proposto da:

BELLONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso

lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO BORRI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE,

GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dagli avvocati RAFFAELA FABBI, LORELLA FRASCONA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 190/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

MARCHESE GABRIELLA.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

la Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 190 del 2018, respingeva il gravame proposto dalla società BELLONI SRL avverso la sentenza n. 596 del 2016 del Tribunale di Arezzo che, a sua volta e per quanto qui solo rileva, aveva respinto il ricorso, proposto dalla medesima società nei confronti dell’INPS e dell’INAIL, per sentire dichiarare l’inesistenza di contributi e premi, oltre sanzioni e somme aggiuntive di legge, in relazione al compenso versato a due amministratori, non soci, per il lavoro prestato;

a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha osservato come, sulla base delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, emergesse lo svolgimento da parte dei due amministratori, non soci, di un’attività caratterizzata dall’abitualità dell’impegno esecutivo, incompatibile con l’ufficio di amministratore; in particolare, era emerso lo svolgimento di un’attività puramente materiale, consistente nella non occasionale realizzazione di opere edili, svolta sulla base delle mutevoli esigenze dell’organizzazione aziendale, come apprezzate dal legale rappresentante della società e con mezzi e materiali aziendali;

a giudizio della Corte di merito, l’attività, priva di qualunque contenuto gestorio o direttivo, era soggetta al potere conformativo del legale rappresentante della società che disponeva modi e tempi della sua realizzazione e, senz’altro qualificabile come di lavoro subordinato, era, dunque, da assoggettate alla relativa contribuzione;

ha proposto ricorso per cassazione la società Belloni srl, affidato a due motivi;

hanno resistito, con controricorso, l’INPS e l’INAIL;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto

di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RILEVATO

CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2380 bis c.c. in relazione alla (qualificazione della) natura del rapporto degli amministratori con la società;

secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe erroneamente valutato l’attività esecutiva, non considerando che lo svolgimento di attività edile con mezzi e materiali aziendali non costituisce svolgimento oggettivo di attività estranea alle funzioni inerenti al rapporto organico;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. in relazione all’onere della prova sulla subordinazione nelle azioni di accertamento negativo degli obblighi contributivi; si imputa alla sentenza di non aver operato alcuna distinzione tra le funzioni di amministratore e quelle di dipendente e di aver ravvisato la subordinazione da elementi di per sè equivoci;

i due motivi, strettamente connessi, possono congiuntamente esaminarsi e sono inammissibili;

in realtà, le censure in essi sviluppate, al di là della formale rubricazione, si risolvono, nella sostanza, in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito espresse dalla Corte di appello che, attenendo al piano della ricostruzione della fattispecie concreta, esulano dal vizio riconducibile allo schema dell’art. 360 c.p.c., n. 3; esse (id est: le censure), infatti, non investono in alcun modo il significato e la

portata applicativa dell’art. 2094 c.c. o dell’art. 2380 bis c.c. ma sono integralmente volte a censurare l’accertamento di fatto operato dalla Corte di appello e schermano, dunque, vizio di motivazione;

è solo il caso di aggiungere come la Corte di appello non abbia messo in discussione che lo svolgimento di attività esecutive possa essere compatibile (anche) con il ruolo di amministratore di società ma ha piuttosto accertato che i rapporti de quibus si caratterizzassero per lo svolgimento ” di un’attività puramente materiale (…) priva di qualunque contenuto gestorio o direttivo (…) solo esecutiva (..) e soggetta al potere conformativo del legale rappresentante della società che disponeva modi e tempi della sua realizzazione”;

l’accertamento della natura subordinata dei rapporti in esame è stato, dunque, condotto alla stregua dei principi di questa Corte; all’evidenza, i giudici hanno adottato quale criterio di qualificazione dei rapporti quello della soggezione alle direttive ed al controllo del datore di lavoro, così facendo applicazione del costante insegnamento di questa Corte, secondo cui “elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato -e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo – è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro (…)” (ex plurimis, Cass. n. 8883 del 2017);

inconferente è, altresì, il richiamo all’art. 2697 c.c.; la violazione della norma viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova;

nell’ipotesi di causa la Corte territoriale ha ritenuto provata la subordinazione sicchè non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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