Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9638 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/04/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 13/04/2021), n.9638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 9818/2014, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 50/23/13 della Commissione tributaria

regionale della Puglia, Sezione distaccata di Lecce, depositata il

20/02/2013 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2021

dalla Dott.ssa Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento IRPEF con il quale l’Ufficio, per l’anno 1996, avvalendosi dei parametri del settore previsti dal d.p.c.m. 29 gennaio 1996 e 26 marzo 1997, rettificava in aumento i ricavi dichiarati dal contribuente, P.V.. Con l’impugnazione, il contribuente eccepiva il difetto di motivazione dell’atto impositivo per essersi l’Ufficio riferito esclusivamente ai parametri di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, senza esporre le ragioni di fatto in base alle quali si era proceduto all’accertamento; rilevava inoltre che l’Ufficio aveva proceduto all’applicazione di tali parametri senza una preventiva verifica dei libri contabili dell’impresa.

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e la decisione veniva confermata in appello con la sentenza in epigrafe.

3. Rileva il giudice di appello che il maggior reddito era stato accertato avvalendosi, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, dei parametri per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume di affari previsti dal successivo art. 184 e poi specificati nel d.p.c.m. 29 gennaio 1996, parametri che, tuttavia, disapplica d’ufficio ritenendo che essi non giustificano da soli la pretesa impositiva, imponendo all’Ufficio “di considerare in concreto la specifica situazione in cui si trova il contribuente”; in particolare, secondo la commissione tributaria regionale, tali parametri “non possono assurgere automaticamente a livello di presunzione, aventi i requisiti di gravità precisione e concordanza, in assenza di un riscontro contabile o di valutazione della congruità del reddito dichiarato rispetto alla realtà reddituale del soggetto.”.

4. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi.

5. P.V. rimane intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo mezzo, l’Agenzia delle entrate deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del regime di applicazione dei parametri contabili di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 181-184, come specificati dal d.p.c.m. 29 gennaio 1996 e 26 marzo 1997, ai fini dell’accertamento, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), del maggior reddito ai fini Irpef a carico del contribuente. Sotto altro profilo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

2. Con il secondo mezzo, deduce la violazione o falsa applicazione del regime derivante dal combinato disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 181-184.

3. I due motivi si esaminano congiuntamente, in quanto costituiscono frammentazioni di una stessa censura che attiene, essenzialmente, alla violazione del regime di applicazione dei parametri contabili ai fini dell’accertamento, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), del maggior reddito, per l’anno 1996, ai fini Irpef.

4. Essi sono fondati.

5. Come da tempo rilevato da questa Corte (v. Sez. 5, Sentenza n. 3288 del 11/02/2009) “L’ufficio che procede ad accertamento dell’imposta sui redditi ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), avvalendosi, ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, dei parametri per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari previsti dal successivo comma 184, e poi specificati dal d.p.c.m. 29 gennaio 1996, non deve apportare alcun elemento atto a confortare il proprio diverso accertamento, perchè gli elementi considerati nell’elaborazione dei parametri stessi e l’applicazione di questi ai dati esposti dal singolo contribuente hanno già i caratteri della presunzione legale, quali richiesti dal comma 1 dell’art. 2728 c.c., e sono di per sè idonei a fondare un corrispondente accertamento, restando comunque consentito al contribuente di provare, anche con presunzioni, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, l’inapplicabilità dei parametri alla sua posizione reddituale”.

6. Tali principi, ribaditi dalla giurisprudenza recente (ex plurimis, cfr. Sez. 6-5, Ordinanza,06/05/2014 n. 9727; Sez. 5, Sentenza, 26/04/2017, n. 10242), cui s’intende dare seguito, evidenziano l’erroneità dell’assunto dei giudici di appello che, non solo hanno, d’ufficio, disapplicato i parametri previsti dal regime normativo come integrato dai decreti del presidente del consiglio dei ministri del 1996 e del 1997, ma hanno negato il carattere di presunzione legale di essi, violando, altresì, le regole dell’onere probatorio ad essi conseguenti. Dalla motivazione della sentenza impugnata risultano stravolti i principi in materia di prova presuntiva, nella parte si è affermato il dovere dell’Ufficio di supportare detti parametri con riscontri contabili e con specifiche valutazioni di congruità del reddito dichiarato dal contribuente senza neppure accennare all’onere di prova contraria gravante sul contribuente.

7. I secondi giudici avrebbero dovuto considerare che i parametri disciplinati dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181 e dal successivo d.p.c.m. del 29 gennaio 1996 sono fondati su una presunzione legale relativa (art. 2728 c.c.) e sono di per sè idonei a fondare un corrispondente accertamento per la determinazione del volume di affari riferita al singolo settore economico; inoltre, nel rapporto probatorio tra le parti, il contribuente può sempre dimostrare le specifiche circostanze che rivelino il conseguimento di un ammontare di ricavo inferiore e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dei maggiori indici di reddito ivi previsti.

8. Il ricorso va, dunque, accolto con cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi esposti.

9. Il giudice di rinvio è tenuto a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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