Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9633 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 26/05/2020), n.9633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13433-2018 proposto da:

G.S., G.A. e I.F.M., rappresentati e

difesi dall’avvocato Salvatore Lorenzo Campo e domiciliati ex art.

366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

FBS S.P.A., quale mandataria di ORTA S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1075/2018 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 15/02/2018;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo

D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

I.F.M. e i figli G.S. e G.A., eredi di G.P.M., proponevano opposizione avverso l’esecuzione immobiliare promossa dall’Istituto Bancario San Paolo di (OMISSIS) (nella cui posizione, nel corso del tempo, è subentrata la Italfondiario s.p.a., mandataria della S.P.V. Ieffe s.r.l.), nella quale era intervenuta la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio soc. coop. a r.l. (posizione oggi ceduta a Orta s.r.l., mandante della FBS s.p.a.). L’opposizione riguardava la sola posizione dell’interveniente.

Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione.

La sentenza veniva appellata in via principale dagli opponenti e in via incidentale dall’opposta. La Corte d’appello di Roma rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale.

Contro tale decisione gli eredi G. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c., (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

I ricorrenti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, facendo erronea applicazione dell’art. 342 c.p.c., ha dichiarato inammissibile per difetto di specificità il primo motivo di appello, concernente la mancata imputazione al credito azionato di alcuni pagamenti effettuati da coobbligati in solido del G..

Il motivo è fondato.

La Corte d’appello, infatti, ha dichiarato l’inammissibilità del gravame pretendendo un tasso di specificità ed autosufficienza dell’atto di appello in misura maggiore di quanto richiesto dall’art. 342 c.p.c..

In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che fosse onere, rimasto inadempiuto, degli appellanti “indicare i crediti e, soprattutto, i documenti contabili in ipotesi ignorati dal primo giudice”. Inoltre, ha rilevato gli stessi avevano contestato “il criterio di imputazione degli altri pagamenti senza specificare dove sarebbe stato compiuto l’errore di imputazione”.

In realtà, dalla lettura dell’atto d’appello è agevole individuare i pagamenti dei quali si richiede l’imputazione a deconto del debito del de cuis e le contestazioni mosse dagli appellanti all’operato del c.t.u. Ciò che, pertanto, la Corte d’appello ha richiesto – anche in modo esplicito – non consiste solo nella “chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze” (così Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991), ma anche nella vera e propria “autosufficienza” dell’atto di appello, ossia nella specifica enucleazione, nell’ambito dell’atto d’impugnazione, dei documenti comprovanti gli avvenuti pagamenti. Un simile livello di specificità, tuttavia, non è richiesto dall’art. 342 c.p.c., diversamente da quanto previsto, per il ricorso in cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. L’appello resta pur sempre un’impugnazione “a forma libera” e, pertanto, in parte qua la sentenza impugnata deve essere cassata.

Il secondo ed il terzo motivo sono, invece, inammissibili.

Quanto al secondo motivo, non vi è corrispondenza fra le argomentazioni, anche in fatto, esposte dai ricorrenti e le ragioni della decisione impugnata. La Corte di merito afferma che gli appellanti avrebbero sostenuto che il giudicato formatosi (sulla legittimità del tasso degli interessi convenzionali) in esito alla causa di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe travolto dalla sopravvenienza della disciplina antiusura; tesi difensiva che la stessa Corte disattende in iure.

I ricorrenti prospettano, invece, una questione affatto diversa, ossia che non vi sarebbe corrispondenza fra l’oggetto di quel giudicato e quello della presente lite, quantomeno con riferimento al tasso degli interessi. Si tratta di una doglianza che non risulta essere stata sottoposta alla Corte d’appello e che, pertanto, deve considerarsi nuova ed inammissibile.

Il terzo motivo concerne la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il motivo d’appello relativo all’omesso riconoscimento della sussistenza del concorso del creditore interveniente nell’aggravamento del danno (consistito, a dire dei ricorrenti, nel lungo tempo impiegato per individuare gli eredi del defunto G.P.M.).

In relazione al contenuto dell’atto di appello, così come illustrato in ricorso, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la doglianza fosse stata formulata in termini assolutamente generici. Infatti, gli appellanti si limitarono ad eccepire genericamente il concorso colposo del creditore, con conseguente domanda di decurtamento dal credito della Orta s.r.l. (pag. 23 del ricorso). Una più compiuta articolazione delle ragioni si ritrova soltanto nella domanda subordinata proposta con l’atto di citazione (ancora pag. 23 del ricorso), ma non risulta che una simile argomentazione difensiva sia stata formulata in termini di motivo di appello.

Il motivo è quindi inammissibile

Il quarto motivo, concernente le spese processuali, è invece assorbito dall’accoglimento del primo motivo, ai sensi dell’art. 336 c.p., trattandosi di capo dipendente da quello cassato.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo, nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibili il secondo e il terzo, assorbito il quarto. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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