Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9630 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 26/05/2020), n.9630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4086-2018 proposto da:

S.A.M., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe

Fevola ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Ruggero

Leoncavallo, n. 2, presso lo studio dell’avvocato Maurizio Cenci;

– ricorrente –

contro

F.M., B.P., BA.PA. e B.F.,

rappresentati e difesi dall’avvocato Carlo Bassoli ed elettivamente

domiciliati in Roma, Viale Regina Margherita, n. 290, presso lo

studio dell’avvocato Adriano Casellato;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4133/2017 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 21/06/2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo

D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

S.A.M. convenne in giudizio Ba.Fr. innanzi al Tribunale di Latina, chiedendone la condanna alla restituzione di una somma percepita a titolo di caparra per l’acquisto di un immobile. Separatamente, il Ba. convenne a sua volta la S., chiedendone la condanna al rilascio del medesimo immobile e al risarcimento del danno per occupazione sine titulo.

Riuniti i giudizi, si costituirono F.M. e i figli B.P., Ba.Pa. e B.F., eredi di Ba.Fr., deceduto nelle more.

il Tribunale di Latina dichiarò improponibile la domanda proposta dagli eredi del Ba. e assorbita quella della S..

La decisione venne appellata in via principale dagli eredi Ba. e in via incidentale dalla S..

La Corte d’appello, con sentenza non definitiva, condannò la S. al rilascio dell’immobile e, con separata ordinanza, rimise la causa sul ruolo per la determinazione dell’indennizzo dalla stessa dovuto.

Tale decisione venne fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte della S.. Questa Corte, in parziale accoglimento del ricorso, cassò la sentenza impugnata con rinvio.

La S. ha quindi riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’appello di Roma, che ha condannato gli eredi Ba. al pagamento della somma di Euro 28.405,13, oltre accessori e spese legali.

La S. ha proposto un nuovo ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c., (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

La S., da un lato, e gli eredi Ba., dall’altro, hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Il ricorso non rispetta il requisito dell’esposizione, ancorchè sommaria, dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Tale requisito di validità del contenuto e della forma del ricorso deve consistere in un’esposizione che garantisca alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito, quindi, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma è funzionale alla conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso in esame la ricorrente ha totalmente omesso di riferire il contenuto della prima pronuncia d’appello e della precedente sentenza della Cassazione, così impedendo di verificare l’eventuale formazione di un giudicato interno nonchè l’ampiezza del potere di accertamento in fatto e in diritto residuato in capo al giudice del rinvio.

Il difetto genetico del ricorso non può essere colmato, come invece pretende di fare la ricorrente, con le memorie depositate ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto con le stesse non è possibile rimediare a difetti dell’atto introduttivo che ne determinino l’originaria inammissibilità.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, a carico della parte impugnante e soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, che distrae in favore in favore dell’avv. Carlo Bassoli.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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