Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9628 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/04/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 13/04/2021), n.9628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14192/14 R.G. proposto da:

BDG HOLDING S.R.L., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta delega a margine del ricorso, dagli

avv.ti Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, con domicilio eletto

presso il loro studio, in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 103/18/13 depositata in data 3 dicembre 2013

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 dicembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa

Paola Mastroberardino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A seguito di verifica fiscale – incentrata su una operazione di prestito di azioni garantito stipulato dalla BDG, in qualità di borrower, e dalla società DFD Czech s.r.o., lender, avente ad oggetto n. 2500 azioni del valore nominale di 1 Euro cadauna della società Mont Bazon, con sede nella zona franca di (OMISSIS), controllata al 100 per cento dalla DFD – l’Agenzia delle entrate emetteva tre distinti avvisi di accertamento a carico della BDG Holding s.r.l., per gli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007, in qualità di società consolidata, rideterminando il reddito imponibile.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, a fondamento della pretesa fiscale l’Ufficio deduceva la nullità del contratto di prestito di azioni, intercorso tra la BDG Holding e la società DFD Czech di (OMISSIS).

2. Proposti autonomi ricorsi dalla contribuente, la Commissione provinciale adita, previa riunione, li rigettava.

All’esito dell’appello della contribuente, la Commissione tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.

In particolare, i giudici di appello osservavano che:

a) la DFD Cezch, prestatore delle azioni della Mont Bazon in favore della ricorrente, era azionista al 100 per cento della Mont Bazon stessa, che a sua volta possedeva partecipazioni nella Selected Capital Opportunity Lmd, società dalla quale provenivano i dividendi successivamente attribuiti alle società che acquisivano le azioni in prestito;

b) oggetto del contratto era “il conseguimento di ottimizzazione finanziaria attraverso investimenti di liquidità societaria in strumenti finanziari sofisticati e di ottimizzazione fiscale per effetto della esenzione dei dividendi al 95% e della deduzione dei costi del prestatario, in particolare le commissioni pagate al prestatore”;

c) nel caso di specie, l’ottimizzazione finanziaria non era stata conseguita attraverso l’esercizio di attività speculative, ma al verificarsi della distribuzione dei dividendi da parte della società di Madeira, il cui ammontare era stato determinato in maniera tale da evitare il verificarsi di conseguenze dannose per ciascuna delle parti concorrenti;

d) l’obiettivo della ottimizzazione fiscale era stato conseguito attraverso la sottrazione ad imposizione dei dividendi, nella misura del 95 per cento, in base alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89, e la integrale deduzione delle commissioni versate a controparte.

I giudici di merito, disattese le eccezioni di violazione degli obblighi di contraddittorio preventivo previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, e di violazione dei principi di imparzialità, buona fede e collaborazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, ritenevano nullo il contratto per mancanza di causa e non deducibili dall’imponibile IRES le commissioni pagate dalla BDG Holding.

3. Per la cassazione della suddetta decisione ricorre la DBG Holding s.r.l., con cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 37-bis e 41-bis, e chiede la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto inconferente il motivo di gravame concernente la violazione, da parte dell’Ufficio, degli obblighi di contraddittorio preventivo previsti, a pena di nullità, dalla norma indicata in rubrica.

Lamenta che i giudici di appello non hanno accertato se l’Ufficio, prima di notificare l’avviso di accertamento impugnato, abbia espressamente precisato l’oggetto della propria contestazione e, soprattutto, se abbia domandato quali fossero le ragioni economiche sottese all’operazione.

Formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “si domanda a Codesta Ecc.ma Corte di stabilire se: in un caso in cui, come nella specie, l’Ufficio abbia notificato un avviso di accertamento emesso ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 41-bis, nei confronti di una società con cui ha ritenuto a sè inopponibile un’operazione in quanto a suo dire priva di valide ragioni economiche e finalizzata unicamente a conseguire un indebito risparmio di imposta; violi e falsamente applichi il D.P.R. n. 600, artt. 37-bis e 41-bis, la sentenza di secondo grado la quale abbia rigettato il motivo di appello con cui il contribuente ha eccepito che l’Ufficio, sulla base del contenuto delle contestazioni elevate, avrebbe dovuto far applicazione della prima delle predette disposizioni ed adempiere a tutti gli obblighi di contraddittorio ivi previsti, affermando che tale violazione non sarebbe conferente al caso di specie in quanto l’avviso di accertamento è stato emesso ai sensi dell’art. 41-bis, ed in quanto il processo verbale di constatazione farebbe espresso riferimento alle osservazioni prodotte dalla parte; anzichè ritenere sussistente la violazione denunziata dal contribuente in quanto le disposizioni di cui all’art. 37-bis, e dell’art. 41-bis, operano su piani completamente distinti e non precludono affatto che un avviso di accertamento emesso ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 41-bis, possa contenere una contestazione di elusione fiscale ai sensi del medesimo D.P.R., art. 37-bis, senza che tali obblighi possano considerarsi adempiuti per il solo fatto che il processo verbale di constatazione farebbe espresso riferimento alle osservazioni prodotte dalla parte; e, pertanto, ritenere palesemente violato, nel caso di specie, il citato art. 37-bis, in quanto è fatto pacifico che non siano stati rispettati da parte dell’Ufficio gli obblighi di contraddittorio preventivo sanciti dalla predetta disposizione antielusiva”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, artt. 37-bis, 41-bis e 42, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e degli artt. 1325,1343,1344 e 1345 c.c., e dell’art. 12 preleggi.

Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, i contratti conclusi per scopi esclusivamente fiscali non possono reputarsi nulli per mancanza di causa o per illiceità della causa o perchè conclusi in frode alla legge e che, laddove questa Corte ha ritenuto contestabile la nullità del negozio per frode alla legge tributaria (Cass., sez. 5, 26/10/2005, n. 20816; Cass., sez. 5, 26/06/2009, n. 15029), lo ha fatto con riguardo a operazioni poste in essere prima della entrata in vigore della norma antielusiva del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis; lo specifico regime d’inopponibilità dei negozi conclusi in frode alla legge tributaria introdotta da tale ultima norma preclude l’applicazione per le materie ed operazioni così individuate del principio di nullità dei negozi per frode alla legge sancito dall’art. 1344 c.c..

Aggiunge che la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, non consente di contestare la nullità dei contratti conclusi in elusione dalla legge tributaria con effetto dalla sua entrata in vigore.

Assume, inoltre, che la norma antielusiva del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, ed i relativi obblighi di contraddittorio preventivo devono sempre trovare applicazione ogniqualvolta sia contestata l’integrazione dei relativi presupposti di applicabilità, ponendosi altrimenti la norma in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., poichè legittimerebbe l’Ufficio a negare le garanzie così individuate, ricorrendo all’espediente di contestare la nullità dei negozi posti in essere dal contribuente.

In via subordinata all’accoglimento del presente motivo di ricorso, solleva questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-bis, 39 e 41-bis, nella parte in cui non obbliga l’Amministrazione finanziaria a rispettare gli oneri procedimentali di cui ai commi 4 e 5, della prima di tali disposizioni nel caso in cui contesti la nullità per frode alla legge di fatti, atti e negozi di cui al comma 3 della prima di tali disposizioni sulla base delle medesime contestazioni che l’avrebbero legittimata a formulare un rilievo antielusivo ai sensi del predetto art. 37-bis.

Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto: “nel caso in cui, come nella specie, l’Ufficio contesti ad una Società fiscalmente residente la nullità del contratto di prestito delle azioni concluso con altra società residente nell’Unione Europea sul presupposto che tale contratto sarebbe stato concluso unicamente allo scopo di garantire alla società residente indebiti vantaggi tributari, esorbitando dalla normale logica commerciale, violi e falsamente applichi il D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, artt. 37-bis, 39, 41-bis e 42, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, nonchè gli artt. 1325,1343,1344 e 1345 c.c., e l’art. 12 preleggi, la sentenza della CTR che, come quella impugnata nel presente giudizio, stabilisca che tale contratto sarebbe nullo perchè volto esclusivamente a perseguire vantaggi di carattere fiscale; anzichè ritenere che la violazione delle disposizioni di carattere fiscale non comporta mai la nullità del contratto posto in essere dal contribuente, in quanto l’Amministrazione finanziaria, per eccepire l’inopponibilità degli effetti di tale contratto, è tenuta altresì a dimostrare l’aggiramento di specifici divieti ed obblighi tributari nonchè il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito perchè ottenuto in elusione di tali divieti e obblighi”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1343,1344,1345,1362,1367,1414,1418,181,1815 e 1933 c.c., per avere i giudici di secondo grado negato di poter sussumere il contratto di prestito di azioni nella tipologia del mutuo disciplinato dall’art. 1815 c.c., ritenendo che configurasse invece un contratto aleatorio.

I giudici, ad avviso della ricorrente, hanno in tal modo violato non solo l’art. 1362 c.c., perchè hanno interpretato il contratto in modo opposto alla comune intenzione delle parti contraenti desumibile dal tenore letterale delle clausole, ma anche l’art. 1815 c.c., avendo ritenuto che la determinazione del corrispettivo costituisca elemento essenziale del contratto di mutuo, come tale idoneo ad incidere sulla sua causa.

Le parti, aggiunge la ricorrente, in realtà, avevano inteso concludere un contratto di mutuo, come emergeva dalle clausole del contratto e dal loro comportamento.

La circostanza che la commissione annuale fosse commisurata ai dividendi distribuiti dalla Mont Bazon non mutava la natura del contratto, essendo ben possibile nel contratto di mutuo la pattuizione di un corrispettivo non prefissato, ma variabile; neppure tale contratto aveva causa di scommessa, posto che la scommessa postula l’assunzione da parte di entrambi i contraenti del rischio contrapposto ed equivalente di eseguire una prestazione, che poi dovrà essere eseguita da uno solo dei due, caratteristica questa non rinvenibile nel contratto di prestito di azioni da essa concluso.

La nullità del contratto per mancanza o illiceità della causa neppure può farsi discendere dal fatto che esso, a prescindere dagli effetti fiscali, generi per una delle parti una perdita economica, essendo esclusa l’esistenza di un principio di equivalenza delle prestazioni nei contratti a prestazioni corrispettive.

Formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Stabilisca Codesta Ecc.ma Corte se: nel caso di contratto di prestito di azioni regolato dal diritto italiano che preveda una remunerazione variabile per il mutuante in dipendenza dell’ammontare dei dividendi distribuiti dalle azioni oggetto del prestito, tale per cui detta remunerazione, in ipotesi, potrebbe risultare superiore all’ammontare dei dividendi medesimi ma che tuttavia, nel caso di specie, è risultata inferiore a quello dei dividendi ricevuti, con la conseguenza che il mutuatario ha conseguito un risultato economico complessivamente positivo; viola e falsamente applica gli artt. 1325,1343,1344,1345,1362,1367,1813,1815 e 1933 c.c., la sentenza della CTR che, come nel caso di specie, ritiene che tale contratto abbia natura di negozio aleatorio tipico e lo ritenga perciò nullo sia per assenza dell’elemento essenziale costituito da un’alea effettiva sia per illiceità ovvero per assenza della causa, in quanto volto esclusivamente ad attribuire vantaggi tributari a favore del mutuatario, oltre che meramente simulato non essendosi dato luogo alla consegna materiale delle azioni in quanto costituite in pegno presso il mutuante; anzichè ritenere tale contratto configurare un negozio tipico di mutuo regolato dagli artt. 1813 e ss. c.c., di talchè non soltanto nè l’alea sottostante la determinazione del corrispettivo a favore del mutuante nè la materiale consegna delle azioni ne costituiscono elementi essenziali, ma non ne è consentito neppure il sindacato circa la meritevolezza della relativa causa assegnata per legge, essendo peraltro lecito sotto il profilo civilistico, ed in disparte ogni considerazione di carattere fiscale, tenere conto nella determinazione dei corrispettivi dei negozi traslativi degli effetti fiscali di tale negozio nella misura in cui incidono sul valore economico dei beni e dei diritti trasferiti”.

4. Con il quarto motivo la ricorrente censura la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Precisa, al riguardo, che la CTR ha omesso di esaminare sia il fatto che l’utile di esercizio di Mont Bazon dipendeva esclusivamente dai risultati realizzati dall’organismo di investimento indipendente Selected Capital Opportunity, sia le ulteriori prove fornite a dimostrazione del fatto che la DFD non era in grado di predeterminare l’ammontare dei dividendi distribuiti da Mont Bazon e quindi l’ammontare della commissione da versare, dipendendo l’utile della società portoghese a sua volta interamente dai proventi ricevuti dall’organismo di investimento, terzo e indipendente, in cui deteneva una partecipazione per l’acquisto della quale aveva investito l’intero patrimonio.

Con la documentazione prodotta (certificato azionario classe B, emesso dalla Selected Capital Opportunity a favore di Mont Bazon, bilancio di Mont Bazon relativo all’esercizio 1 dicembre 2004- 30 novembre 2005 e relativa nota integrativa) aveva dimostrato che la predeterminazione del risultato di esercizio di Mont Bazon sarebbe potuta avvenire soltanto laddove avesse potuto influire sulla distribuzione di Selected Capital Opportunity, situazione questa esclusa dal fatto che la partecipazione di Mont Bazon in tale organismo di investimento era rappresentata da una azione di classe B, incorporata nel certificato, che non assicurava alcun diritto di voto nell’assemblea della Selected Capital Opportunity

La sentenza impugnata aveva pure trascurato di considerare che la BDG aveva conseguito un guadagno di circa il 65,40 per cento, dato che l’ammontare dei dividendi percepiti era risultato superiore a quello delle commissioni pagate a DFD.

L’esame dei fatti rappresentati avrebbe dovuto indurre il giudice di merito a ritenere che DFD non aveva potuto influire in maniera decisiva sull’ammontare dei dividendi della Mont Bazon e che le parti non avevano posto in essere clausole contrattuali che eliminavano il rischio del contratto di prestito di titoli, rendendolo così nullo per mancanza di causa aleatoria.

5. Preliminarmente, va rilevato che l’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica ratione temporis ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del medesimo decreto) e fino al 4 luglio 2009 (data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47) (Cass., sez. 5, 19/11/2014, n. 24597).

Ne consegue che non trova applicazione nel presente giudizio.

6. Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente perchè connessi, sono infondati, anche se la motivazione della decisione impugnata deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

6.1. E’ opportuno esaminare la figura negoziale di cui si discute.

La fattispecie in esame ha ad oggetto la stipula di un contratto denominato (OMISSIS) tra la odierna ricorrente e la società ceca DFD s.r.o., che consiste in un prestito di titoli contro pagamento di una commissione (fee) e contestuale costituzione da parte del mutuatario (borrower) di una garanzia, rappresentata da denaro o da altri titoli di valore complessivamente superiore a quello dei titoli ricevuti in prestito, chiamata Collaterale, a favore del mutuante (lender), a garanzia dell’obbligo di restituzione dei titoli ricevuti.

Alla scadenza il mutuatario restituisce al mutuante altrettanti titoli della stessa specie e quantità dei titoli ricevuti e il mutuante ritrasferisce al mutuatario i beni oggetto della garanzia. Se il collaterale è costituito da cash, il lender ha il dovere di remunerarlo al borrower ad un tasso di mercato. Se invece il collaterale fornito è Non-cash non viene richiesta alcuna remunerazione.

Il contratto si caratterizza altresì per il fatto che è necessario che il rapporto esistente tra il valore dei titoli mutuati e il valore dei beni costituiti a garanzia rimanga inalterato nel corso della durata dell’operazione; ne consegue che entrambe le parti saranno obbligate ad integrare la garanzia originariamente prestata (in caso di apprezzamento dei titoli oggetto del prestito) o a restituire l’eccedenza (in caso di deprezzamento).

Con riguardo alla durata, possono aversi due diverse tipologie di contratto: a) prestiti aperti (on open basis), che non hanno durata stabilita, per cui il borrower può chiudere l’operazione in qualsiasi momento (return) e il lender può chiedere la restituzione dei titoli in qualunque momento (recali); oppure b) prestiti chiusi, che hanno una durata stabilita a priori, per cui i contraenti non possono chiudere l’operazione in anticipo e neppure rinegoziare il tasso; le fee maturate sui prestiti, come pure gli interessi sulla garanzia cash (rebate), vengono pagati e incassati mensilmente e non alla scadenza di ogni singola operazione.

6.2. I vantaggi che il contratto di stock lending consente di conseguire al soggetto che presta i titoli vanno individuati nella possibilità di beneficiare di margini reddituali senza assumere ulteriori rischi di mercato rispetto a quelli già presenti in portafoglio, mantenendo inalterata la flessibilità nella gestione dell’investimento senza ostacolare in alcun modo le scelte operative.

Autorevole dottrina, occupandosi dell’argomento, ha posto in rilievo che la fattispecie in esame è di norma caratterizzata dall’assenza di qualsiasi alea contrattuale in ordine al versamento della commissione, ben sapendo le parti sin dalla conclusione del contratto che il prestatario dovrà pagare la fee, sia che l’importo di tale commissione sarà più o meno equivalente al valore dei dividendi distribuiti. Si è, pertanto, ritenuto che, sul piano civilistico, l’operazione sia sostanzialmente “neutrale” per il prestatario che ottiene unicamente un vantaggio fiscale, che gli deriva dalla intassabilità dei dividendi riscossi e dalla integrale deducibilità della commissione versata al prestatore.

6.3. Le caratteristiche del contratto hanno indotto a mettere in dubbio la liceità di questa figura negoziale, che è stata ricondotta alternativamente al contratto simulato, al contratto nullo perchè privo di causa (per mancanza ab origine dell’alea) e a quello in frode alla legge, tanto che si è ipotizzato che l’operazione potesse farsi rientrare tra le fattispecie delittuose previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, ed in particolare nell’ipotesi di reato di dichiarazione fraudolenta qualificata di cui al citato D.Lgs., art. 3.

La Terza sezione penale di questa Corte, tuttavia, con la sentenza n. 40272 del 7 ottobre 2015, ha escluso che tale operazione possa integrare una condotta penalmente rilevante, in quanto la L. 27 giugno 2000, n. 212, nuovo art. 10-bis aggiunto, cd. Statuto del contribuente, dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, esclude espressamente che le operazioni che siano prive di sostanza economica e realizzino vantaggi fiscali indebiti possano dar luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie.

Nella pronuncia, in particolare, dopo avere dato atto che con “l’emanazione di tale disposizione si è data attuazione alla disposizione della L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5, che aveva delegato il Governo ad attuare la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, fornendo una definizione onnicomprensiva delle operazioni abusive” – dovendosi considerare tali le operazioni che, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali”, sono “prive di sostanza economica” in quanto sono “inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali” e che realizzano “essenzialmente vantaggi fiscali” qualificabili come “indebiti” in quanto “in contrasto con le finalità delle norme fiscali e con i principi dell’ordinamento tributario” – si afferma che l’operazione in esame “non è nè inesistente, nè simulata, ma esistente e voluta” e che presenta “tutti gli elementi che lo Statuto dei diritti del contribuente, nuovo art. 10-bis, considera essenziali per la configurabilità di un’operazione abusiva, laddove considera tali, le operazioni che “pur nel rispetto formale delle norme fiscali”, siano prive di sostanza economica e volte essenzialmente alla realizzazione di un vantaggio fiscale indebito”.

Si è, pertanto, ritenuto che la condotta non può che essere considerata come penalmente irrilevante in forza della statuizione di irrilevanza penale delle operazioni abusive sancita dallo Statuto dei diritti del contribuente, art. 10-bis, comma 13, ma che la scelta del legislatore di depenalizzare le operazioni integranti abuso del diritto non è stata accompagnata dalla previsione della asanzionabilità assoluta delle predette operazioni, essendo rimasta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

7. Tanto premesso, nella specie, sulla base di quanto emerge dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, risulta pacifico che:

a) in data 14 ottobre 2004 la odierna ricorrente ha concluso con la società ceca DFD s.r.o. un contratto di prestito avente ad oggetto n. 2500 azioni che la seconda deteneva nella Mont Bazon, società portoghese fiscalmente residente a Madeira – controllata al 100 per cento dalla DF Czech;

b) per effetto del contratto di stock lending, la DFD si è obbligata a trasferire alla BDG la proprietà delle azioni ricevute in prestito, riservandosi l’esercizio dei diritti di voto, mentre la BDG si è obbligata a corrispondere, a fronte del prestito delle azioni, una commissione annuale di importo variabile commisurata ai dividendi annualmente distribuiti dalla Mont Bazon;

c) al prestito dei titoli era legata una pattuizione in forza della quale, laddove l’ammontare dei dividendi distribuiti in ciascun anno da Mont Bazon fosse risultato inferiore a Euro 550.000,00, la BDG non avrebbe dovuto corrispondere alcuna commissione a DFD s.r.o.; nel caso, invece, in cui l’ammontare dei dividendi distribuiti in ciascun anno fosse risultato superiore a Euro 550.000,00, ma inferiore a Euro 750.000,00, avrebbe dovuto corrispondere a DFD s.r.l. una commissione pari ai dividendi diminuiti di 30.000,00 Euro; nel caso in cui l’ammontare dei dividendi distribuiti in ciascun anno da Mont Bazon fosse risultato superiore a Euro 750.000,00, la BDG avrebbe dovuto corrispondere a DFD una commissione pari all’ammontare di tali dividendi aumentati di una percentuale pari al 9 per cento, ma, in ogni caso, non superiore a Euro 1.150.000,00;

d) al fine di assicurare l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di prestito di azioni, la BDG si è altresì obbligata a depositare sul proprio conto corrente intrattenuto presso la Banca di Gestione Patrimoniale S.A., appartenente al gruppo Credit Suisse, una garanzia in denaro pari alla perdita massima realizzabile di Euro 95.000,00 (cd. collateral) ed a conferire mandato irrevocabile a tale Banca di pagare a DFD l’ammontare della commissione che le sarebbe spettata, escutendo la garanzia in denaro;

e) la BDG si è altresì obbligata a concedere in pegno a DFD le azioni ricevute in prestito, onde garantire la loro restituzione alla relativa scadenza;

e) le parti hanno fissato al 31 gennaio 2007 la scadenza del contratto di prestito delle azioni, stabilendo che BDG avrebbe ritrasferito a DFD la proprietà delle azioni della stessa quantità e qualità di quelle ricevute in prestito alla predetta scadenza.

Dando esecuzione al contratto, la DFD ha trasferito la proprietà delle partecipazioni azionarie emesse dalla Mont Bazon alla BDG, la quale nell’anno 2005 ha riscosso dividendi e pagato la commissione, conseguendo un guadagno economico netto, pari ad Euro 30.000,00

Nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2005 la BDG ha imputato alla formazione dell’imponibile IRES i dividendi percepiti, limitatamente al 5 per cento del relativo ammontare, ai sensi dell’art. 89 t.u.i.r., comma 3, mentre l’intero importo della commissione versata è stato esposto quale costo.

Nel corso del periodo d’imposta 2006, temendo che un eventuale risultato negativo potesse annullare i guadagni economici precedentemente ottenuti, aveva deciso di recedere anticipatamente dal contratto prima della scadenza, esercitando la facoltà accordatale dal contratto di prestito di azioni, art. 9, ed ha pertanto comunicato, in data 14 settembre 2006 la propria intenzione a DFD che le ha confermato, con lettera, l’intervenuta risoluzione del contratto.

8. La Commissione tributaria, con la decisione impugnata in questa sede, nel valutare la complessiva operazione sopra descritta, ha affermato che con il contratto in esame la contribuente intendeva conseguire l’esclusione da tassazione del 95 per cento dei dividendi distribuiti dalla Mont Bazon e la deduzione integrale dal reddito fiscalmente imponibile della fee corrisposta ed ha ritenuto la nullità del contratto “per mancanza di causa”.

I giudici di appello, in particolare, prendendo le mosse dalla tesi difensiva dell’Amministrazione finanziaria, hanno ritenuto che, in concreto, non era ravvisabile aleatorietà, ma che il contratto era stato posto in essere con l’esclusivo scopo di realizzare un risparmio di imposta mediante la riduzione dell’imponibile, i cui effetti non erano opponibili all’Amministrazione finanziaria.

I giudici di merito hanno, quindi, negato validità al contratto per mancanza di causa, trascurando, tuttavia, di considerare che la fattispecie in esame integra una ipotesi di evasione d’imposta.

Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare in fattispecie analoga a quella in esame (Cass., sez. 5, 12/05/2017, n. 11872), risulta del tutto irrilevante ricondurre la fattispecie in esame a figure negoziali nulle sotto il profilo civilistico, come sostenuto dall’Agenzia delle entrate, ovvero ad ipotesi elusive (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis), poichè l’operazione, da inquadrarsi nel contratto di stock lending di cui si è detto, è piuttosto finalizzata a consentire l’applicazione ai dividendi del citato art. 89 t.u.i.r., con conseguente concorso alla formazione dell’imponibile nella sola misura del 5 per cento degli utili, ed a realizzare un indebito risparmio di imposta discendente dalla integrale deduzione deì costi di commissione, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 8, ratione temporis applicabile, con conseguente variazione dell’imponibile IRES, che costituisce l’autentico fondamento del recupero a tassazione.

Occorre quindi ribadire che “l’operazione di stock lending, ossia di prestito di azioni che preveda a favore del mutuatario il diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente o meno all’ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che nell’un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetto ai limiti previsti dall’art. 109 t.u.i.r., comma 8, restando il versamento della commissione costo indeducibile” (Cass., sez. 5, 12/05/2017, n. 11872, cit.; Cass., sez. 5, 28/09/2020, n. 20424).

Poichè, dunque, l’operazione di stock lending non è ascrivibile al fenomeno dell’elusione, ma integra una evasione di imposta, non è richiesto il contraddittorio endoprocedimentale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, ed invocato dalla ricorrente e deve contestualmente ritenersi non rilevante ai fini della decisione la questione di legittimità costituzionale sollevata con il medesimo motivo.

9. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 t.u.i.r., e della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, commi 4 e 4-bis, per avere i giudici di appello escluso la deducibilità delle commissioni pagate alla DFD s.r.o.

Sostiene che il citato art. 109, comma 5, considera i componenti negativi di reddito come inerenti alla determinazione dell’imponibile IRES per il fatto che si riferiscono ad attività e beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che fruiscano di un regime di esclusione; tale presupposto risulta pienamente integrato nel caso di specie per il fatto che la commissione è stata sostenuta per il prestito di azioni che sono produttive di proventi imponibili per il 5 per cento del relativo ammontare.

Peraltro, la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, commi 4 e 4-bis, confermano la deducibilità dei costi derivanti da contratti illeciti.

Formula il seguente quesito di diritto: “Stabilisca Codesta Ecc.ma Corte se in un caso in cui, come nella specie, l’Ufficio recuperi a tassazione gli oneri sostenuti in relazione ad un contratto di prestito di azioni, nonchè disconosca la parziale esclusione dall’imponibile dei dividendi percepiti in base alle azioni oggetto di prestito, in quanto ritiene civilisticamente nullo tale contratto di prestito; viola e falsamente applica gli art. 109 TUIR, e della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, commi 4 e 4-bis, la sentenza della CTR che, come nella specie, confermi l’operato dell’Ufficio ritenendo applicabile il divieto di deduzione dei costi da reato in quanto la deduzione di tali costi ha comportato una denuncia alla procura della Repubblica; anzichè ritenere che il divieto in questione scatti soltanto laddove i costi derivino da acquisti di beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti per i quali il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale, e che da tale divieto derivi il corollario secondo cui sono pienamente rilevanti agli effetti fiscali i componenti negativi di reddito derivanti da atti e contratti solo civilisticamente illeciti”

9.1. Il motivo è infondato.

9.2. L’art. 109 t.u.i.r., comma 5, prevede che ” 5. Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui all’art. 96…, commi 1, 2, 3″.

Il successivo comma 8, poi, dispone: “8. In deroga al comma 5, non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’art. 89”.

Come chiarito da questa Corte con le pronunce già citate (Cass., sez. 5, 12/05/2017, n. 11872; Cass., sez. 5, 28/09/2020, n. 20424), alle quali si deve dare continuità, in ragione dell’insussistenza, nella fattispecie in esame, di presupposti di fatto e di diritto diversi che possano giustificare una diversa valutazione, “L’usufrutto di azioni è una operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un’altra società a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili. Il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l’entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell’usufrutto e il cessionario iscrive in bilancio, nell’attivo patrimoniale immateriale, il corrispondente onere”.

Il citato art. 109, comma 8, dispone l’indeducibilità tributaria del costo così sostenuto quando vengano in rilievo partecipazioni societarie da cui derivino utili esclusi da tassazione: individua, in altri termini, un parallelismo tra la deducibilità del costo dell’usufrutto su azioni e l’imponibilità dei dividendi derivanti dalla sottostante partecipazione e “nel contratto di stock /ending, corrispondentemente, il prestito dei titoli si associa al diritto di percepire i relativi dividendi da parte del mutuatario, mentre il mutuante ha diritto al pagamento di una commissione in relazione al dividendo incassato”.

Il contratto di stock lending, al pari dell’usufrutto di azioni, trasferisce (temporaneamente) la titolarità del diritto al dividendo e per ottenere la relativa riscossione è previsto un costo, sicchè il fenomeno economico è lo stesso, senza che assuma rilievo, ai fini tributari, la circostanza che nell’un caso si verta in un diritto reale e, nell’altro, in un diritto di credito; “ciò che conta, del resto, è solo che ad un’analisi economica e giuridico tributaria oggettiva e sostanziale il contratto si dimostri del tutto eccentrico rispetto alle norme sulla deduzione delle quote di ammortamento e sul credito di imposta sui dividendi. Parimenti, pertanto, i costi sostenuti (i.e. la commissione) per l’operazione di stock lending debbono ritenersi indeducibili”.

L’applicazione alla fattispecie in esame del citato art. 109 t.u.i.r., comma 8, non configura, d’altro canto, una impropria estensione analogica del dettato della norma, che si riferisce letteralmente “ad altro diritto analogo”, senza ulteriori connotazioni, sicchè non va intesa come meramente confinata ai soli diritti reali (interpretazione che, del resto, avrebbe una valenza abrogatoria), non deponendo in tal senso nè la lettera, nè lo spirito della disposizione (Cass. n. 11872 del 2017, cit.).

Ne deriva che il contratto non è nullo per mancanza di causa o per violazioni di norme imperative, nè l’operazione deve essere considerata elusiva, dovendosi piuttosto ritenere che i costi sostenuti per l’operazione di stock lending sono indeducibili ai sensi dell’art. 109 t.u.i.r., comma 8.

La motivazione della decisione impugnata deve quindi in tal senso essere corretta.

10. Conclusivamente vanno rigettati i motivi del ricorso.

Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in difetto di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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