Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9625 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/04/2021, (ud. 14/12/2020, dep. 13/04/2021), n.9625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13834-2014 proposto da:

G. COSTRUZIONI DI G.A. SAS, GICOST SRL,

elettivamente domiciliati in ROMA, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dall’avvocato BENITO ANTONIO ESPOSITO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2013 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 25/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

G. Costruzioni S.a.s. (cedente) e Gicost. S.r.l. (cessionaria) impugnavano l’avviso di rettifica e Liquidazione n. (OMISSIS) per imposta di registro, anno 2007, relativo all’atro pubblico di cessione del ramo di azienda registrato il (OMISSIS), con cui l’Ufficio riqualificava l’operazione in cessione del complesso aziendale. Le contribuenti eccepivano la nullità dell’avviso in quanto privo dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche oltre che viziato nella motivazione. La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, previa riunione, rigettava i ricorsi con sentenza n. 417/40/2010, ritenendo che, prescindendo dalla denominazione dell’atto come cessione di ramo d’azienda, le ricorrenti non avevano prodotto alcuna documentazione che potesse dare prova dell’assunto difensivo e dimostrare che la cessione non aveva avuto ad oggetto l’intero complesso aziendale. Le società appellavano la decisione rilevando come l’oggetto sociali della cedente era molto più ampio di quello ceduto, sicchè la cessione aveva riguardato solo un ramo della stessa. Inoltre, il criterio di qualificazione del valore di avviamento operato dall’Ufficio era legato a formule matematiche astratte e generiche, che non tenevano conto delle caratteristiche tipiche dell’azienda. La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 38/52/13, rigettava il gravame, tenendo che le parti avessero ceduto l’azienda e non un ramo d’azienda. Conseguentemente l’Ufficio aveva accertato il maggior valore dell’avviamento, calcolandolo sul volume di affari degli ultimi tre anni. G. Costruzioni S.a.s. di G.A. e Gicost S.r.l. ricorrono per la cassazione della sentenza svolgendo quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 816 c.c., dell’art. 1362c.c., degli artt. 2315,2295,2555 c.c., del contratto di cessione di ramo d’azienda, artt. 1, 2, 3, 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Le ricorrenti denunciano l’errore della Commissione Tributaria Regionale nella interpretazione del contratto posto in essere dalle parti, posto che, come indicato nell’epigrafe e nel corpo del negozio, riguarderebbe una cessione di ramo d’azienda e non la cessione dell’intera azienda. Tale volontà negoziale emergerebbe dai beni che compongono la cessione che restano separati dalla proprietà del complesso unitario e sono espressamente indicati nell’atto di cessione, artt. 1, 2, 3, 7, nonchè dal fatto che sono esclusi dalla cessione i beni immobili, mobili, i crediti e debiti della società cedente. Le contribuenti precisalo, inoltre, che la società è rimasta in vita dopo l’atto traslativo della cessione di ramo d’azienda, e dal certificato camerale prodotto nel corso dei di merito nonchè dall’atto notarile (di cessione di ramo d’azienda) emergerebbe che restano esclusi dalla cessione il patrimonio mobiliare, immobiliare, i crediti e debiti della società.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20, 51 e 52, del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, della L. n. 212 del 2000, artt. 3-7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la sentenza impugnata affermerebbe certamente che: “l’ufficio ha dovuto accertare il maggior valore dell’avviamento che era riferito ad un presunto ramo d’azienda (ma non indicato) calcolando il valore dell’avviamento sul volume d’affari degli ultimi tre anni come prescrive la legge. Gli studi di settore sono stati richiamati per avallare la rispondenza dei dati e non sono stati posti a base della valutazione”. Secondo le società contribuenti i giudici di appello avrebbero errato per non avere considerato che l’Ufficio, nell’emettere l’atto impugnato, avrebbe omesso di motivare lo stesso e di indicare gli elementi in fatto e in diritto, in quanto tale atto sarebbe motivato richiamando unicamente il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, salvo poi determinare il valore di avviamento sulla base di un mero calcolo matematico astratto e generico, senza considerare che detta valutazione andrebbe calcolata al netto delle passività. Si lamenta, inoltre, che nel corso del giudizio l’Ufficio avrebbe integrato la motivazione dell’atto impositivo in base agli studi di settore, così omettendo anche di garantire al contribuente il diritto al contraddittorio e le relative garanzie istruttorie.

Inoltre, i giudici di appello avrebbero erratamente considerato corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria, tenuto conto che l’imposta di registro va applicata esclusivamente sulla base del contenuto giuridico dell’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20).

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3,24,53 Cost.; del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4; della L. n. 146 del 1998, art. 10; della L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 149, lett. b); del D.L. n. 131 del 1993, art. 62 sexies, comma 3; della L. n. 212 del 2000, art. 12; dell’art. 2729 c.c., in quanto i giudici di appello avrebbero errato nel ritenere che: “Gli studi di settore sono stati richiamati per avallare la rispondenza dei dati e non sono posti a base della valutazione”, posto che l’Ufficio nella memoria di costituzione di primo grado ha dichiarato di aver rettificato il valore di avviamento utilizzando gli elementi desunti dagli studi di settore.

4. Con il quarto motivo di denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto i giudici di appello avrebbero omesso la pronuncia sul motivo di appello n. 4, con cui sarebbe stata espressamente denunciata una omissione del giudice di primo grado sulla circostanza della mancanza dei poteri di firma in capo al soggetto che aveva firmato l’atto impositivo oggetto di impugnazione.

5. Per ragioni di priorità logica va esaminato il quarto motivo di ricorso. Dall’accoglimento delle critiche consegue l’assorbimento dei restanti mezzi.

5.1. Le società ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia con riferimento al quarto motivo dell’atto di appello, con il quale si era predicato che il giudice di primo grado aveva omesso di esaminare il motivo di impugnazione inerente la firma del sottoscrittore dell’avviso di accertamento, deducendo la mancanza della firma del direttore competente, oltre al difetto di delega dei poteri di firma alla sottoscrizione.

Ai fini della decisività della censura, è stato riportato in ricorso il contenuto del motivo che si assume pretermesso dal giudice del merito.

Ciò premesso, il Collegio rileva che dalla piena lettura della sentenza impugnata emerge all’evidenza il vizio denunciato, posto che il giudice di appello non ha statuito sulla domanda proposta dalla ricorrente, neppure indirettamente, la quale invece aveva segnalato l’errore commesso dal giudice di primo che a sua volta aveva omesso di pronunciarsi sul suddetto specifico vizio di impugnazione dell’atto impositivo.

Questa Corte reitera l’insegnamento secondo cui: “L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi del codice citato, art. 360, comma 1, n. 4, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 2014; Cass. n. 683 del 2017).

Orbene, esaminando gli atti che parte ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha allegato al ricorso per cassazione, il Collegio rileva che la società contribuente già con il ricorso di primo grado aveva contestato la delega dei poteri di firma del sottoscrittore dell’avviso impugnato, oltre la competenza alla sottoscrizione, e che tale censura era stata riproposta con specifico motivo di appello in termini di omessa pronuncia.

Invero, l’avviso di liquidazione in rettifica reca la testuale sottoscrizione: “Per il direttore Gi.Ma., il Capo (OMISSIS) I.W.”.

5.2. Ai sensi D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis (funzioni dei dirigenti) “I dirigenti, per le specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze complesse delle funzioni di cui al comma 1, lett. B), D) ed E), a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l’art. 2103 c.c.”.

Al citato art. 17, comma 1, si dispone che: “I dirigenti, nell’ambito di quanto stabilito dall’art. 4, esercitano fra gli altri, i seguenti compiti e poteri… b) curano l’attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi… d) dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia; e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici”.

Il D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20, dispone, poi, che: “Il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, istituita dal D.L. 28 gennaio 1986, n. 9, art. 2, convertito, con modificazioni dalla L. 24 marzo 1986, n. 78, espleta le seguenti funzioni: a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento; b) reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, stabilisce che: “gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21562 del 2005, ha precisato che il D.P.R. n. 600 del 1973, succitato art. 42, è una norma diretta espressamente a regolare soltanto le formalità degli avvisi di accertamento in materia di imposte dirette, pertanto non è suscettibile di applicazione al di fuori di tale materia, tuttavia il principio è stato applicato anche con riferimento ad altri tributi, assumendo un indirizzo generale. Ciò in quanto il legislatore, mediante specifici richiami alla disciplina di una determinata imposta, ha reso di volta in volta applicabili le norme che riguardane un altro tributo, come per esempio accade per l’accertamento in materia di imposte dirette e di IVA (stante il rinvio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 1), ovvero per la disciplina dell’INVIM in relazione e quella di registro.

Le considerazioni effettuate in merito all’IVA possono, quindi, essere estese alle imposte d’atto. Infatti, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 3, in tema di accertanti imposta di registro sul maggior valore, contiene un rinvio al sistema delle imposte sui redditi analogo a quello del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56.

Il contribuente può, comunque, chiedere sempre al giudice tributario l’accertamento in ordine alla sussistenza, sull’originale del documento notificato, della sottoscrizione del soggetto autorizzato a formare l’atto amministrativa (come è l’avviso di accertamento o di rettifica o di liquidazione o di irrogazione di sanzioni) posto che tale atto non può essere totalmente privo di sottoscrizione o firmato da soggetto privo di delega (Cass. n. (Ndr: testo originale non comprensibile) del 2000).

5.3. Secondo l’indirizzo ampiamente condiviso) di questa Corte (Cass. n. 14942 del 2013) l’avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio, e di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, in particolare si è precisato che deve ritenersi, in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio siano nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti da capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo.

Nella delega di firma (non già di funzioni) l’organo delegante mantiene la piena titolarità dell’esercizio del proprio potere e delega ad altri soltanto il compito di firmare atti di esercizio dello stesso potere, con la conseguenza che l’atto firmato dal delegato resta imputato all’organo delegante (Cass. n. 6882 del 2000 e n. 6113 del 2005). La delega deve essere espressamente conferita e risultare da atto scritto, che può essere anche un ordine di servizio.

Il D.Lgs. n. (Ndr: testo originale non comprensibile) del 2001, art, 17, comma 1 bis, infatti, dà facoltà ai dirigenti di delegare alcune delle proprie competenze “per specifiche comprovate ragioni” e “per un periodo di tempo determinato”.

Ne consegue che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, atto della p.a. a rilevanza esterna, da parte di funzionario diverso (il capo dell’ufficio emittente) da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dal citato art. 42, commi 1 e 3 (Cass. n. 1495 del 2000).

In caso di contestazione, incombe all’Agenzia delle Entrare l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza di una eventuale delega, trattandosi di un documento, se esistente, già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, mentre la distribuzione dell’onere della prova non può subire eccezioni (Cass. n. 14626 del 2000; Cass. n. 17400 del 2012; Cass. n. 22800 del 2015; Cass. n. 19190 del 2019).

Il solo possesso della qualifica direttiva non abilita assolutamente il funzionario tributario alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile sempre al capo dell’Ufficio (Cass. n. (Ndr: testo originale non comprensibile) del 2008; Cass. n. 14626 del 2000). Si è, infatti, affermato che “Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’Ufficio” (Cass. n. 17400 del 2012).

Il principio è stato richiamato anche da altre pronunce (Cass. n. 8814 del 2019, Cass. n. 11013 dei 2018″) con cui si è ribadito che, in caso di contestazione specifica da parte del contribuente in ordine ai requisiti di legittimazione del sottoscrittore dell’avviso, incombe sull’Amministrazione fornire la prova della sussistenza di tali requisiti in capo al sottoscrittore.

L’Amministrazione finanziaria pertanto, è tenuta anche per il principio della “vicinanza della prova” a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale (Cass. n. 14626 del 2000; Cass. n. 14195 del 2000; Cass. 17044 del 2013; Cass. n. 12781 del 2016; Cass. n. 14942 del 2013; Cass. n. 18758 del 2014; Cass. n. 19742 del 2012; Cass. n. 332 del 2016; Cass. n. 12781 del 2016; Cass. n. 14877 del 2016; Cass. n. (Ndr: testo originale non comprensibile) del 2017; Cass. n. 5200 del 2018).

Va precisato che in caso di delega di firma l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze (Cass. n. 6113 del 2005).

6. Da siffatti rilievi consegue che l’avviso di accertamento non sottoscritto dal titolare dell’Ufficio è dunque valido ove l’Amministrazione produca, anche in giudizio, l’ordine di servizio (Cass. n. 13512 del 2011) recante l’indicazione del nominativo del delegato e dei limiti oggettivi della delega (Cass. n. 5200 del 2018).

Nella fattispecie, in esame, non risulta che l’Agenzia abbia provveduto nel corso del giudizio alla produzione dell’atto di delega, ciò anche in ragione del fatto che i giudizi di merito non si sono fatti carico di esaminare questo specifico motivo di nullità dell’atto, omettendo di pronunciarsi.

7. In definitiva va accolto il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti (i quali potranno essere riproposi al giudice di merito), la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania per il riesame, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per il riesame, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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