Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9620 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. I, 22/04/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 22/04/2010), n.9620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.D. (c.f. (OMISSIS)), M.O. (c.f.

(OMISSIS)), M.A. (c.f. (OMISSIS)),

M.B. (c.f. (OMISSIS)), domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato LUPO MARIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SAN VITO LO CAPO;

– intimato –

sul ricorso 28481-2004 proposto da:

COMUNE DI SAN VITO LO CAPO (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

ANGELICO 45, presso l’avvocato BUCCELLATO FAUSTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CIARAVINO SALVATORE, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.D., M.O., M.A., M.

B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 841/2003 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/09/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2009 dal Presidente Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

F. BUCCELLATO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale,

rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale con assorbimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 2.5.1986 D., O., A. e M.B. convenivano avanti al Tribunale di Trapani il Comune di San Vito Lo Capo, esponendo che detto ente aveva proceduto nel 1979, per i lavori di sistemazione delle strade interne del centro abitato e nelle frazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), all’occupazione di un vano sito al pianterreno in via Santuario di circa cinquanta metri quadrati pervenuto loro in successione e che dopo la sua demolizione non solo non era stato emesso il decreto di esproprio ma l’area ricavata non era stata neppure destinata a strada pubblica, essendo stato creato uno spazio ad uso dei privati.

Chiedevano quindi che, pronunciata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità per mancata destinazione dell’area a strada pubblica, ne fosse disposta la retrocessione in loro favore ovvero, in subordine, che, dichiarata l’illegittimità dell’occupazione, il Comune fosse condannato al risarcimento dei danni nella misura di L. 50.000.000, oltre agli interessi ed alla rivalutazione.

Espletata la C.T.U., il Tribunale con sentenza del 29.6.1999, dato atto che la domanda di retrocessicene del bene era stata abbandonata, condannava il Comune rimasto contumace al pagamento della somma di L. 64.512.000, oltre agli interessi al 2,5%, a titolo di risarcimento del danno in misura integrale, vale a dire senza l’applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, trattandosi nel caso in esame di area edificata, nonchè al pagamento della somma di L. 18.432.000 a titolo di occupazione legittima (fino al 12.10.1980) ed illegittima (fino all’irreversibile trasformazione già realizzatasi nel 1986).

Proponeva impugnazione il Comune ed all’esito dei giudizio, nel quale si costituivano gli originar attori chiedendone il rigetto, la Corte d’Appello di Palermo con sentenza del 30.5-29.9.2003 rigettava la domanda di risarcimento del danno e determinava l’indennità di occupazione in Euro 3.569,75, compensando le spese dell’intero giudizio.

Dopo aver precisato che gli appellati, per contrastare l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune, non avevano contestato l’esistenza all’origine di una valida dichiarazione di pubblica utilità ma avevano dedotto unicamente che alla scadenza dei termini “il vincolo di scopo … non (era stato) soddisfatto” e dopo aver osservato che in tal modo non erano stati posti in discussione, mediante appello incidentale, i presupposti di fatto su cui il Tribunale aveva basato la propria decisione vale a dire, contrariamente alla tesi sostenuta in primo grado dai M. circa l’esistenza di un’occupazione usurpativa, la mancata adozione nei termini del provvedimento ablatorio e la configurazione dell’occupazione acquisitiva con conseguente formazione sul punto di un giudicato interno, rilevava la Corte d’Appello che pertanto, vertendosi in tema non già di illecito permanente ma di illecito istantaneo con effetti permanenti, trovava applicazione la prescrizione quinquennale eccepita dal Comune la quale, sebbene formulata per la prima volta con l’atto di appello, doveva ritenersi tempestiva in quanto il giudizio di appello era stato instaurato prima della modifica dell’art. 345 c.p.c., entrata in vigore il 30.4.1995. Escludeva poi che il Comune avesse rinunciato alla prescrizione o riconosciuto il diritto dei proprietari, non rilevando che dopo l’instaurazione del giudizio fossero state offerte all’ente pubblico somme di denaro a titolo di risarcimento o di indennizzo o che il Comune avesse riconosciuto il relativo diritto, anche senza tener conto che in ogni caso non potrebbero considerarsi vincolanti per l’Amministrazione offerte non formalizzate. Osservava altresì che l’occupazione era scaduta in data 29.10.1980, non trovando applicazione la proroga automatica prevista dalla L. n. 385 del 1980, art. 5, in quanto in quella stessa data erano già scaduti i termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori fissati in tre anni dalla data del decreto assessoriale del 29.10.1980, con la conseguenza che il termine di prescrizione è iniziato a decorrere il 30.10.1980, successivamente alla data di irreversibile trasformazione del terreno e non già dalla pubblicazione della sentenza di questa Corte n. 1464 del 1983 che ha riconosciuto per la prima volta l’istituto della occupazione appropriativa in quanto l’ignoranza circa l’esistenza di un diritto, anche se non imputabile al titolare, costituisce impedimento di fatto inidoneo ad ostacolare il decorso della prescrizione.

Quanto all’indennità di occupazione, la limitava al periodo compreso fra il 29.10.1977 (data di emissione del relativo decreto) ed il 29.10.1980 (data di scadenza del relativo termine), escludendo il periodo successivo in quanto il Comune aveva acquisito la proprietà del bene il giorno successivo.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione D., O., A. e M.B. che deducono cinque motivi di censura.

Resiste con controricorso il Comune di San Vito Lo Capo che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l’incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.

Prioritario sotto il profilo logico e giuridico è l’esame del quarto motivo del ricorso principale per il suo carattere decisivo e nello stesso tempo assorbente sugli altri motivi sia dello stesso ricorso principale che del ricorso incidentale.

Con il quarto motivo infatti i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., nonchè difetto di motivazione. Deducono che in ogni caso, come avevano già dedotto in sede di appello, essendo l’istituto dell’occupazione appropriativa di derivazione giurisprudenziale (Sez. Un. n. 1464 del 1983), il termine per l’esercizio del diritto non poteva che decorrere solo dal momento della pubblicazione di tale sentenza.

La censura è fondata.

Il principio generale previsto dall’art. 2935 c.c., in base al quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, si riferisce unicamente, come da giurisprudenza da tempo consolidata e come correttamente ha ricordato in via astratta la Corte d’Appello, alla possibilità legale di esercizio del diritto e non già ad un semplice impedimento soggettivo o di fatto. Ora, in tema di illecito, in cui la decorrenza va normalmente individuata nel momento della sua consumazione, ben possono verificarsi impedimenti legati a profili ancora non del tutto chiari dell’istituto nell’ambito del quale si agisce e configurabili in quanto tali come impedimenti di carattere giuridico.

In tale contesto va collocato, ai fini in esame, l’istituto di originaria derivazione giurisprudenziale (Sez. Un. n. 1464 del 1983) della occupazione appropriativa caratterizzato dalla presenza da una valida dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare e dalla irreversibile trasformazione dell’area, non seguita dall’emissione del decreto di esproprio entro il termine previsto di occupazione legittima.

Solo successivamente detto istituto ha trovato una sua specifica previsione normativa, in un primo tempo, con la L. 27 dicembre 1988, n. 458, art. 3, e poi con la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3 comma 65. Pertanto è da ritenere che soltanto a seguito di tali previsioni, che hanno perfino superato il vaglio di costituzionalità (C.Cost. 30.4.1999 n. 148 e 31.7.1990 n. 384), l’istituto può dirsi ormai ancorato a norme sufficientemente accessibili. Nè tale quadro normativo può ritenersi cancellato dalla sentenza n. 349/07 della Corte Costituzionale, avendo questa riguardato unicamente il criterio di determinazione del danno da ancorarsi, anche in caso di occupazione appropriativa, al ristoro integrale e non già il vigore dell’istituto giuridico, come sopra delineato.

In definitiva il momento di sicura emersione dell’istituto in questione può individuarsi in quello di entrata in vigore della L. n. 458 del 1988, che ha dato concreta attuazione del principio di legalità all’elaborazione giurisprudenziale formatasi in materia (Cass. 20543/08).

E’ pur vero che detta norma riguarda unicamente le espropriazioni relative ad opere di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata, ma la Corte Costituzionale con la sentenza n. 486/91 ha in motivazione sostanzialmente preso atto dell’esistenza dell’istituto dell’occupazione appropriativa già operante, in generale, per tutte le opere pubbliche.

Orbene, nel caso in esame, al momento della scadenza dell’occupazione legittima in cui si è consumato l’illecito, individuato dalla Corte d’Appello nel giorno 29.10.1980, non solo non erano ancora entrate in vigore le norme sopra citate ma addirittura l’istituto dell’occupazione appropriativa era sconosciuto nel panorama giurisprudenziale.

In una tale situazione, caratterizzata dalla mancanza di un riconoscimento sia legislativo che giurisprudenziale dell’istituto e quindi di un diritto ad esso ancorato in modo specifico, non possono porsi a carico dei ricorrenti le conseguenze del suo mancato esercizio nel periodo precedente e collocare alla data del 29.10.1980 la decorrenza della prescrizione la quale invece, per le considerazioni fin qui svolte, va individuata nel giorno di entrata in vigore della L. n. 458 del 1988, vale a dire in epoca addirittura successiva alla proposizione della domanda introduttiva del presente giudizio.

Ovviamente, a maggior ragione, sarebbe ugualmente da escludere la prescrizione qualora si ritenesse che si sia in presenza di un’occupazione usurpativa, vale a dire non preceduta da una valida dichiarazione di pubblica utilità, trattandosi in tal caso di un illecito permanente, nell’ambito del quale la prescrizione decorre dalla cessazione della permanenza o comunque è impedita nel suo decorso dalla domanda con cui invece della restituzione del bene si chiede il relativo risarcimento.

L’accoglimento del presente motivo comporta, come si è già anticipato, l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale nonchè del ricorso incidentale. In ogni caso ne vanno precisate le ragioni.

Con il primo motivo di ricorso D., O., A. e M.B. denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 C.C. nonchè omessa ed insufficiente motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello abbia ritenuto che il Tribunale, a fronte di una domanda di occupazione usurpativa, avesse ravvisato il diverso istituto dell’occupazione appropriativa e che su tale statuizione si fosse formato il giudicato in quanto da loro non impugnata, senza considerare che il Tribunale era giunto alle sue conclusioni sulla base delle loro stesse prospettazioni fondate sulla decadenza “ab origine” della dichiarazione di pubblica utilità in conseguenza del venir meno del vincolo di scopo su cui detta dichiarazione poggiava.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2937 c.c., nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione.

Lamentano che la Corte d’Appello non abbia ritenuto che l’intervento aLle operazioni peritali da parte del Comune, con la consegna della nota n. 2476 del 19.4.1979 con cui era stata offerta l’indennità di esproprio seguita dalla sua accettazione in data 26.5.1979, abbiano comportato il riconoscimento del debito con conseguente rinuncia a far valere l’eccezione di prescrizione, trattandosi di comportamento incompatibile con la volontà di avvalersene.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., in relazione alla L. 29 luglio 1980, n. 385, art. 5, come interpretato dalla L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 4, nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello non abbia ritenuto applicabile la proroga di un anno dei termini di occupazione prevista dalla L. n. 385 del 1980, art. 5 e non abbia quindi considerato tempestivo l’atto di citazione notificato il 2.5.1986 a fronte della scadenza intervenuta solo il 29.10.1986, specie se si consideri la sopravvenienza della L. n. 166 del 2002 che all’art. 4 ha disposto che la proroga dei termini di cui alla richiamata L. n. 385 del 1980, art. 5, debba intendersi con effetto retroattivo.

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Lamentano che la Corte d’Appello, nel compensare le spese dell’intero giudizio, non abbia valutato adeguatamente il comportamento del Comune che, pur partecipando attivamente alle operazioni del C.T.U., è rimasto contumace in primo grado, costringendoli ad affrontare in via esclusiva le notevoli spese resesi necessarie.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato il Comune denuncia omessa motivazione, deducendo che la Corte d’Appello, sia pure a seguito dell’accoglimento della censura relativa alla prescrizione, non abbia esaminato il secondo motivo di appello riguardante la valutazione dell’area ed in particolare il fatto che il C.T.U. si era limitato a tener conto della densità fondiaria del terreno (mc./mq, 5) nonchè del prezzo dell’ipotetico fabbricato che sarebbe stato possibile costruire e non aveva considerato che l’esigua superficie di mq. 34 non avrebbe consentito di realizzare gli ipotetici 5 mc./mq. senza violare le norme del regolamento edilizio relative alle distanze tra fabbricati ed alla loro altezza.

Orbene, quanto al primo motivo, al di là di ogni considerazione in ordine alla sussistenza del giudicato (in ogni caso da escludere in linea di principio non formandosi sui criteri da applicare per la determinazione del danno ma sul bene della vita richiesto; vedi Sez. Un. 9872/94 ed essendo del resto la questione irrilevante a tal fini a seguito della sentenza n. 349/07 della Corte Costituzionale), è evidente che le esposte deduzioni, finalizzate a contestare sotto un diverso profilo la rilevata prescrizione, risultano del tutto assorbite dall’accoglimento del quinto motivo.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto riguarda il secondo ed il terzo motivo, relativi rispettivamente al mancato riconoscimento di atti interruttivi della prescrizione indicati espressamente ed alla mancata applicazione delle proroghe dei termini di occupazione legittima. Essendo entrambe volte chiaramente a spostare in avanti la decorrenza della prescrizione e dimostrare che il relativo termine non fosse ancora scaduto al momento della proposizione della domanda, il loro esame risulta certamente superato.

Del pari assorbito deve ritenersi il quinto motivo relativo alla compensazione delle spese dell’intero giudizio disposta dalla Corte d’Appello, dovendo il giudice di rinvio procedere ad un nuovo esame della controversia e, di conseguenza, ad una nuova pronuncia sulle spese.

Infine, anche il ricorso incidentale proposto in via condizionata dal Comune, vertendo sostanzialmente sulle valutazioni del bene espropriato effettuate dal C.T.U. e sulle quali la Corte d’Appello non si è pronunciata a seguito della rilevata prescrizione, deve considerarsi assorbito.

In definitiva, in accoglimento del quarte motivo del ricorso principale, va affermato il principio secondo cui, in ordine alla richiesta di risarcimento del danno da occupazione appropriativa, la prescrizione decorre dalla data di entrata in vigore della L. n. 458 del 1988.

La sentenza deve essere pertanto cassata sul punto con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione che si uniformerà a detto principio, procedendo all’esame della controversia nel merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Accoglie il quarto motivo del ricorso principale.

Dichiara assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

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