Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9616 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. I, 22/04/2010, (ud. 09/11/2009, dep. 22/04/2010), n.9616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21270/2004 proposto da:

B.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso l’avvocato PETRALIA FRANCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato D’ORTO PIETRO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BIANCAVILLA;

– intimato –

sul ricorso 24838/2004 proposto da:

COMUNE DI BIANCAVILLA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187,

presso l’avvocato MAGNANO DI SAN LIO GIOVANNI, rappresentato e difeso

dall’avvocato TRIMBOLI SALVATORE, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1230/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 18/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2009 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato D’ORTO PIETRO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi; per

l’assorbimento o il rigetto del ricorso principale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15.10.1996, il Comune di Biancavilla proponeva opposizione al Decreto Ingiuntivo n. 14 del 1996, con cui gli era stato intimato di pagare al geom B. A. la somma di L. 35.655.346, quale compenso per l’opera professionale svolta in favore dell’ente locale.

Con sentenza n. 91 del 1999, il Pretore di Adrano revocava il decreto ingiuntivo, rilevando la mancata stipula tra le parti del prescritto contratto e, dunque, l’assenza di un titolo idoneo a legittimare la pretesa creditoria azionata in via monitoria dal B., ed accoglieva la domanda subordinata da costui proposta, volta alla condanna del Comune opponente al pagamento dell’importo recato dal provvedimento opposto, a titolo d’indennizzo da ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. civ.. Con sentenza del 25.03- 18.12.2003, la Corte di appello di Catania, respinto l’appello incidentale del B., in accoglimento, invece, di uno dei motivi del gravame principale del Comune, rigettava la domanda d’indennizzo per indebito arricchimento, conseguentemente, condannando il B. alla restituzione delle somme riscosse in base alla sentenza di primo grado, che nel resto confermava, compensando per giusti motivi, atteso l’esito del giudizio, le spese processuali dei due gradi di merito. La Corte territoriale osservava e riteneva in sintesi:

che meritava trattazione prioritaria l’appello incidentale del B., proposto avverso l’accoglimento dell’opposizione del Comune e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo, gravame che si rivelava infondato;

che il professionista aveva chiesto in via monitoria il pagamento di compensi professionali, riferendo tale domanda di adempimento contrattuale al contenuto di due deliberazioni adottate dalla Giunta municipale del Comune di Biancavilla, ossia la Delib. n. 778 del 1985, con cui gli era stato affidato l’incarico di redigere il progetto di sistemazione di alcune strade pubbliche, e la Delib. n. 516 del 1986, con cui erano stati approvati gli elaborati progettuali;

che le due deliberazione, integranti atti interni, non soddisfacevano il requisito della forma scritta ad substantiam prescritto per la stipula di contratti da parte del Comune, e che nella specie mancava del tutto un contratto ritualmente stipulato tra le parti, consacrato in un unico documento e contenente tutte le clausole disciplinanti il rapporto;

che, invece, era fondato l’appello principale del Comune di Biancavilla avverso l’accoglimento della domanda d’indennizzo formulata dal B. ai sensi dell’art. 2041 c.c.;

che, in particolare, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, tale domanda doveva ritenersi ammissibile ai sensi del novellato art. 183 c.p.c., comma 4, pure se comportava una mutatio libelli rispetto a quella originaria di adempimento contrattuale e, dunque, integrava una domanda nuova, che, inoltre, ultronei e pleonastici erano i richiami che al fine di escludere la sua legittimazione passiva, l’ente aveva fatto all’art. 28 Cost. ed al D.L. n. 66 del 89 conv. in L. n. 144 del 1989, trattandosi di vicende anteriori all’entrata in vigore di questa normativa, che, ancora, l’utilitas tratta dal Comune dalla prestazione resa dal B. poteva desumersi dalla Delib.

giuntale n. 516 del 1986, con la quale erano stati approvati i progetti redatti dal professionista ed era stato autorizzato l’inoltro dell’istanza di finanziamento e di istituzione dei relativi cantieri che, invece, era fondata la censura del Comune relativa alla riconduzione dell’indennizzo al compenso professionale preteso dal professionista con l’ingiunzione opposta che l’azione di arricchimento senza causa era ammissibile soltanto limitatamente a quanto un soggetto avesse fatto proprio e non oltre la effettiva entità della diminuzione patrimoniale correlativamente subita dall’altro soggetto che il B. avrebbe dovuto dimostrare le perdite economi che subite, rinvenienti da spese anticipate e da mancato guadagno nel periodo di tempo dedicato all’esecuzione dell’opera utilizzata dall’ente pubblico, mentre di ciò non aveva offerto alcuna prova, essendosi limitato a produrre le parcelle vistate dal Collegio dei geometri che, d’altra parte, l’entità della perdita patrimoniale in argomento non poteva nemmeno essere equitativamente determinata ai sensi dell’art. 1226 c.c., non potendosi con tale disposizione supplire alle carenze probatorie della parte onerata;

che, conseguentemente, la sentenza impugnata doveva essere sul punto riformata ed il B. condannato alla restituzione delle somme incassate in base al titolo riformato.

Avverso questa sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 29.09.2004 ed affidato a due motivi. Il Comune di Biancavilla ha resistito con controricorso notificato l’8.11.2004 e proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza. Sempre in via preliminare di rito, si rivela privo di pregio il rilievo prospettato dal B. nella memoria illustrativa circa il difetto di legittimazione processuale del Comune di Biancavilla per difetto di autorizzazione giuntale; al riguardo, infatti, vanno richiamati il condiviso principio già affermato da questa Corte secondo cui nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco (tra te altre, cass. SU 200512868) nonchè il tenore degli art. 22, lett. u) e art. 27, lett. a) e u) dello Statuto dell’ente locale nel nuovo testo vigente all’atto dell’introduzione del presente giudizio (pubblicato nel supplemento straordinario alla Gazz. Uff. della Regione Siciliana n. 51 del 2002), che non condizionano ad autorizzazione della giunta comunale l’iniziativa giudiziaria adottata dal Sindaco. A sostegno del ricorso principale il B. denunzia:

A) Relativamente all’accoglimento parziale dell’appello principale con riferimento ai due ultimi motivi dell’appello proposto dal Comune di Biancavilla.

1. “Violazione ed errata applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2041, 2056 e 1226 c.c. – Omessa, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Errata e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c.”.

Si duole che i giudici di merito non abbiano ritenuto acquisiti elementi utili per procedere sia pure in via equitativa, alla quantificazione e determinazione dell’entità della somma da liquidare a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., ben potendo, a suo parere, essere utilizzate come parametro di liquidazione le tariffe professionali, nella specie non contestate, integranti anzi l’unico possibile parametro da applicare in via indiretta, dal momento anche che si trovava nell’impossibilità di fornire elementi idonei a consentire la quantificazione della subita perdita patrimoniale, che il suo mancato guadagno consisteva proprio nella perdita del compenso per l’attività di progettazione svolta, la cui mancata dazione aveva costituito risparmio di spesa per il Comune, come ritenuto dal primo giudice.

B) In via subordinata, relativamente al rigetto dell’appello incidentale proposto dall’appellato geom. B.A.:

1. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1326 e 1327 c.c. – illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Errata e falsa applicazione delle norme in tema di contratti”.

Con riferimento alla conferma dell’accoglimento dell’opposizione del Comune avverso l’ingiunzione, contesta la ritenuta insufficienza della Delib. n. 778 del 1985 con cui era stato autorizzato il conferimento dell’incarico, e la ritenuta necessità di un atto contrattuale contestualmente sottoscritto da ambo le parti, sostenendo che essa era pienamente legittima anche per il profilo contabile e non riconducibile a mero atto interno e che una volta comunicata dal Sindaco, a mezzo di lettera d’incarico, integrava proposta contrattuale, seguita dalla sua accettazione mediante la redazione degli elaborati progettuali, recepiti dal comune, approvati ed utilizzati per la richiesta di finanziamento.

A sostegno del ricorso incidentale il Comune di Biancavilla denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 183 c.p.c., comma 4. Insufficiente ed illogica motivazione.

Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, convento in L. n. 144 del 1989, in relazione alle predette norme del c.p.c.”.

Si duole, anche per il profilo motivazionale, che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo sia stato dato ingresso alla nuova, diversa e non connessa domanda del B. di arricchimento senza causa, dal momento anche che non è consentito alla parte opposta proporre domanda riconvenzionale, rispetto alla quale nella specie non vi era nemmeno stata accettazione del contraddittorio.

Censura, inoltre, la conferma del rigetto della sua eccezione di difetto di legittimazione passiva, assumendo che in primo grado la domanda del professionista era stata intesa come proposta in via surrogatoria rispetto al funzionario responsabile, nonostante che non potesse ritenersi che il B. si fosse a questi surrogato e che, dunque, inconferente era il riscontro dell’inapplicabilità ratione temporis del rubricato D.L. n. 66 del 1989, art. 23.

2. “Violazione, sotto altro profilo, dell’art. 2041 c.c., in relazione alle predette norme del c.p.c., norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa ed insufficiente motivazione.”. Contesta che la delibera giuntale di approvazione dei progetti consentisse di. desumere provata o riconosciuta l’utilitas per il comune, sostenendo che i progetti del B. non erano stati mai utilizzati, essendo stato negato il finanziamento regionale cui era subordinata l’esecuzione dell’opera pubblica.

3. “la Corte d’appello ha, altresì, errato a disporre la compensazione delle spese di giudizio fra le parti”.

Sostiene che la sentenza d’appello è erronea anche relativamente al regime delle spese dei due gradi di merito, le quali, invece di essere integralmente compensate, avrebbero dovuto essere poste a carico del B., in ragione dell’accoglimento seppure parziale dell’appello principale del Comune e della conseguente condanna del medesimo B. alla restituzione delle somme riscosse in base alla prima favorevole pronuncia. I singoli motivi dedotti con i ricorsi principale ed incidentale devono essere esaminati in ordine logico giuridico e, dunque, attribuendo priorità al secondo motivo del ricorso principale, al cui sfavorevole apprezzamento deve seguire la delibazione del primo motivo del ricorso incidentale, da anteporre all’esame delle ulteriori censure proposte da entrambe le parti.

Il secondo motivo del ricorso principale del B. non è fondato. La Corte distrettuale ha ineccepibilmente, anche per il profilo motivazionale, ribadito l’infondatezza della sua pretesa contrattuale azionata in via monitoria, argomentatamente attenendosi alle regole normative ed ai relativi principi di diritto affermati da questa Corte, secondo cui:

– “In base al R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17, il contratto d’opera professionale stipulato con la P.A., pure se questa agisca “iure privatorum”, deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta. L’osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti – quali, ad esempio, la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, ovvero una missiva con la quale l’organo legittimato a rappresentare l’ente ne abbia comunicato al professionista l’adozione – ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accettazione da parte del medesimo professionista, poichè non è ammissibile la stipula mediante atti separati sottoscritti dall’organo che rappresenta l’ente e dal professionista, prevista esclusivamente per i contratti conclusi con imprese commerciali. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poichè gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti” (cfr. cass. 200622501; 200701752; 200715296).

“Pur quando la P.A., per la realizzazione delle proprie finalità, ricorra agli strumenti giuridici ordinariamente propri dei soggetti privati, solo la disciplina dei rapporti che scaturiscono dalla sua attività negoziale rimane assoggettata ai principi e alle regole del diritto comune, mentre resta operante la disciplina del diritto amministrativo per quanto attiene alla fase preliminare della formazione della volontà della p.a., caratterizzata dalle regole della cosiddetta evidenza pubblica, e che si conclude con la delibera a contrarre, destinata a disporre in ordine alla stipulazione del negozio e, con ciò, a conferire all’organo qualificato alla rappresentanza dell’ente la effettiva potestà di porlo in essere con le finalità e l’oggetto specificati nella delibera stessa. Ne consegue, con riguardo alla progettazione ed esecuzione di lavori pubblici in Sicilia, che, alla stregua della L.R. Siciliana n. 21 del 1985, art. 8 – la quale stabilisce che gli incarichi professionali debbono essere affidati con delibera della giunta municipale, sottoposta a controllo di legittimità allorchè abbiano ad oggetto la esecuzione di opere pubbliche prive di copertura finanziaria – solo dal momento dell’approvazione della delibera da parte del CO.RE.CO. il sindaco ha il potere di dare esecuzione alla volontà dell’amministrazione comunale e stipulare il contratto d’opera professionale” (cfr. cass. 200507535).

Il primo motivo del ricorso incidentale, invece, è fondato con riguardo alla prima censura inerente all’inammissibilità della domanda riconvenzionale di indebito arricchimento formulata dal B. nel giudizio di opposizione; al relativo accoglimento segue anche l’assorbimento dell’ulteriore censura contenuta nel medesimo motivo, nonchè del primo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale, che presupporrebbero opposta conclusione.

Poichè l’azione generale di arricchimento ingiustificato ha natura complementare e sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito, talchè si differenzia da ogni altra azione sia per presupposti che per limiti oggettivi ed integra un’azione autonoma per diversità di “petitum” e “causa pretendi” rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale o di altro genere, ineccepibilmente la Corte di merito ha ritenuto che integrasse domanda nuova (tra le numerose altre, cfr. cass. 200304365).

In linea di principio, inoltre, va ricordato che l’art. 183 c.p.c., comma 4 – nella formulazione da ultimo novellata dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, art. 5, conv., con modif., nella L. 20 dicembre 1995, n. 534 – consente all’attore di proporre nella prima udienza di trattazione domande diverse rispetto a quella originariamente proposta solo ove trovino giustificazione nelle domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte dal convenuto (cfr. cass. 200414581; 200517699). Nel giudizio di cognizione introdotto dall’opposizione a decreto ingiuntivo solo l’opponente, in virtù della sua posizione sostanziale di convenuto, è legittimato a proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe, ove le avanzasse, nel divieto (la cui violazione è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità) di formulazione di domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi, a sua volta, nella posizione processuale di convenuta (cfr.

cass. 200607571; 200706022; 200713086), evenienza che nella specie non si è avverata. Illegittimamente, pertanto, i giudici d’appello hanno ritenuto ammissibile ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4, da parte del B., convenuto nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso in suo favore con riguardo a credito d’indole convenzionale, la sua nuova, subordinata domanda d’indennizzo per arricchimento senza causa, non riconducibile in via logico – giuridica alle eccezioni sollevate dall’opponente Comune, alle quali, invece, era solo occasionalmente collegata (cfr. cass. 200409685).

Da respingere, infine, è il terzo motivo del ricorso incidentale, dal momento che, in tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte (da ultimo cass. 200907523) e tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di “giusti motivi”, non necessita di alcuna esplicita motivazione ma deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito); ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata (tra le altre, cfr.

cass., SU, 200820598), come nella specie è irreprensibilmente avvenuto.

Conclusivamente deve essere accolto il primo motivo del ricorso incidentale nei limiti in precedenza chiariti, con assorbimento anche del primo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale e devono essere respinti il secondo motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale, con condanna del B., atteso l’esito del giudizio di legittimità, alle relative spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del primo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale e respinge il secondo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale.

Condanna il B. al pagamento in favore del Comune di Biancavilla, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

 

 

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