Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9614 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. I, 25/05/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 25/05/2020), n.9614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4392/2019 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Corfinio n.

23, presso lo studio dell’Avvocato Davide Lodi, e rappresentato e

difeso dall’Avv. Gianluca Giammatteo in forza di procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex

lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso n. 2914/2018,

depositato il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

febbraio 2020 dal Consigliere DOTTORESSA IRENE SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.O., cittadino della (OMISSIS), ha impugnato, innanzi al Tribunale di Campobasso, il provvedimento, emesso dalla locale Commissione Territoriale, di diniego di tutte le forme di protezione internazionale richieste.

Il Tribunale ha così motivato il rigetto delle domande proposte dal ricorrente: il racconto delle circostanze che l’avevano costretto alla fuga dal Paese d’origine era inattendibile; i fatti allegati – il timore di subire ritorsioni da parte del datore di lavoro a causa dell’incendio provocato – erano estranei all’ambito dei presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato e, comunque, erano concretamente privi di effettiva incidenza, avendo egli riferito di essersi rivolto alla polizia del luogo e di averne ricevuto tutela; in (OMISSIS), alla stregua di quanto riferito da plurime, attendibili ed aggiornate fonti di informazione, non vi era una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato interno; difettavano, in capo al richiedente, i requisiti per ottenere il permesso per ragioni umanitarie, non avendo egli allegato situazioni di vulnerabilità personale.

2. Il ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale consta di quattro motivi.

3. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non facendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.

1. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, in riferimento al rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.

Il motivo è inammissibile.

Le doglianze sono generiche, posto che le minacce e violenze che il richiedente assume di avere subito dal proprio datore di lavoro – il racconto delle quali è stato, peraltro, stimato del tutto inattendibile senza che su questo specifico e preliminare profilo siano state spiegate censure – non risultano riconducibili ad alcuno dei motivi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.

2. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in ragione dell’error iuris in cui sarebbe incorso il Tribunale nel rigettare la domanda di protezione sussidiaria: infatti, le minacce e nelle azioni violente subite per mano del datore di lavoro avrebbero integrato gli estremi del pericolo di un danno grave, in ipotesi di rimpatrio, in considerazione delle situazioni di precarietà istituzionale e di mancanza di sicurezza che si registrano in (OMISSIS), siccome attestate da fonti ulteriori e diverse da quelle compulsate dal decidente di merito.

Il motivo sconta una duplice ragione di inammissibilità.

E’ in primo luogo generico, perchè è declinato senza adempiere all’onere di delineare il tipo di domanda formulata: se riferita alle forme di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b) ovvero alla forma di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Articola, in secondo luogo, deduzioni che, quand’anche riferite alla forma di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) lungi dal lumeggiare un errore di diritto, denunciano vizi attinenti alla ricostruzione del merito della fattispecie oggetto di scrutinio, come tali non consentiti in questa sede, ovvero un vizio di motivazione comunque non esaminabile, perchè non censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il terzo motivo, riguardo alla protezione umanitaria, è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ragione della mancata considerazione da parte del Tribunale della raggiunta integrazione sociale del ricorrente in rapporto alle sue difficili condizioni di vita nel Paese di origine.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, hanno affermato che: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”.

In motivazione, la Corte ha chiarito che: “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, prendendosi, altrimenti, in considerazione:”… non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Poichè i requisiti indicati dal ricorrente a fondamento della domanda non coincidono con quelli individuati dal diritto vivente per il riconoscimento della protezione umanitaria, le deduzioni sul tema vanno respinte.

Con il quarto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente, in riferimento al suo peregrinare, prima di approdare in Italia, per il Mali e la Libia.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha indicato il “come” e il “quando” i fatti, dei quali sarebbe stato omesso l’esame, sarebbero stati oggetto di discussione tra le parti (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831); si tratterrebbe, in ogni caso, di fatti non dedotti con la necessaria specificità: nulla è stato, infatti, lumeggiato in ordine alla connessione tra il transito attraverso il Mali e la Libia e il contenuto della domanda di protezione umanitaria (Sez. 6 – 1, n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla è dovuto per le spese essendo il Ministero intimato rimasto tale. Il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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