Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9613 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. I, 25/05/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 25/05/2020), n.9613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4383/2019 proposto da:

D.B.D., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Corfinio n. 23, presso lo studio dell’Avvocato Davide Lodi, e

rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Giammatteo in forza di

procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex

lege;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso n. 2232/2018,

depositato il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

febbraio 2020 dal Consigliere DOTTORESSA IRENE SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.B.D., cittadino del (OMISSIS), ha impugnato, innanzi al Tribunale di Campobasso, il provvedimento di diniego della protezione internazionale, richiesta in ogni sua forma, emesso dalla locale Commissione territoriale.

Il Tribunale ha così motivato il rigetto delle domande: il ricorrente si era rivelato non credibile nel racconto della propria omosessualità, indicata come condizione di discriminazione nel Paese di origine che l’aveva costretto alla fuga; in (OMISSIS), secondo quanto riferito dal report 2017-2018 di Amnesty International, non era riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno; non vi erano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente allegato alcuna specifica situazione di vulnerabilità personale.

2. Il ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale consta di quattro motivi, di seguito dettagliatamente enunciati.

3. Il Ministero dell’Interno non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non facendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.

1. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, in riferimento al rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, del quale, invece, il ricorrente avrebbe dovuto beneficiare in ragione delle persecuzioni che egli avrebbe potuto subire in (OMISSIS) per effetto della propria condizione di omosessualità, ivi prevista come reato.

Il motivo è inammissibile.

Quanto in esso dedotto va esaminato alla luce del principio di diritto secondo il quale, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione ad azioni discriminatorie o al rischio grave per la vita o per la persona, di modo che, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad alcun approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01; Sez. 6 – 1, n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697). Ciò comporta la genericità della doglianza siccome prospettata, posto che la valutazione di non credibilità del ricorrente e di inattendibilità del suo narrato integra, con riferimento alle forme di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. a) e b) un’autonoma e autosufficiente ratio decidendi del provvedimento impugnato. Ratio che, nel caso scrutinato, non è stata specificamente contestata, nulla di concreto essendo stato addotto per disarticolare l’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice censurato circa la contraddittorietà e la non linearità delle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione territoriale e circa la mancanza di credibile contestualizzazione dell’allegata omosessualità.

2. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in ragione dell’error iuris in cui sarebbe incorso il Tribunale nel non riconoscere nell’allegata condizione di omosessualità una situazione tale da esporre il ricorrente al pericolo concreto di essere sottoposto, in caso di rimpatrio, ad un processo iniquo o ad una ingiusta carcerazione, quali presupposti dell’invocata protezione sussidiaria; della quale, in ogni caso, il ricorrente avrebbe dovuto beneficare per il conflitto interno tra fazioni contrapposte che si registra in (OMISSIS), siccome attestato da fonti ulteriori e diverse rispetto a quelle compulsate dal Tribunale.

Il motivo sconta una duplice ragione di inammissibilità.

E’, in primo luogo, generico, perchè declinato senza adempiere all’onere di delineare il tipo di domanda formulata: se riferita alle forme di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b) ovvero alla forma di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Le doglianze circa il diniego di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) sarebbero, in ogni caso, aspecifiche, in applicazione del principio di diritto secondo cui: “Ove vengano in questione le ipotesi della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (Sez. 6 – 1, n. 16275 del 20/06/2018, Rv. 649788 01; Sez. 6 – 1, n. 6503 del 20/03/2014, Rv. 630179 – 01), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione” (Sez. 1 -, n. 14283 del 24/05/2019, Rv. 654168 – 01). In tal senso, va, quindi, ribadito che la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire danni gravi rappresenta un elemento costitutivo anche della protezione sussidiaria art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi la protezione stessa (Sez. 6 – 1, n. 16275 del 20/06/2018, Rv. 649788, motivazione). Profilo, quello dell’attendibilità, in nessun modo attinto, come detto, dai rilievi censori del ricorrente.

Il motivo in disamina articola, in secondo luogo, deduzioni che, quand’anche riferite alla forma di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) lungi dal lumeggiare un errore di diritto, denunciano vizi attinenti alla ricostruzione del merito della fattispecie oggetto di scrutinio, come tali non consentiti in questa sede, ovvero un vizio di motivazione comunque non esaminabile, perchè non censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il terzo motivo, riguardo alla protezione umanitaria, è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, hanno affermato che: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”.

In motivazione, la Corte ha chiarito che: “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, prendendosi, altrimenti, in considerazione:”… non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Poichè i requisiti indicati dal ricorrente a fondamento della domanda non coincidono con quelli individuati dal diritto vivente per il riconoscimento della protezione umanitaria, le deduzioni sul tema vanno respinte.

4. Con il quarto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente, in riferimento al suo peregrinare, prima di approdare in Italia, per la Nigeria, il Niger, l’Algeria e la Libia.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha indicato il “come” e il “quando” i fatti, dei quali sarebbe stato omesso l’esame, sarebbero stati oggetto di discussione tra le parti (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831); si tratterrebbe, in ogni caso, di fatti non dedotti con la necessaria specificità: nulla è stato, infatti, lumeggiato in ordine alla connessione tra il transito attraverso il Niger, la Nigeria, l’Algeria e la Libia e il contenuto della domanda di protezione umanitaria (Sez. 6 1, n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla è dovuto per le spese non avendo il Ministero dell’Interno articolato difese. Il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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