Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9613 del 12/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9613 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 25202 – 2013 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA C.E. 80185250588, in persona del Ministro pro
rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia,
in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –

2015
299

contro

FABRONI STEFANO C.F. FBRSFN54L09H502Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FULCERI PAULUCCI DE’ CALBOLI
1, presso lo studio dell’avvocato DANTE GROSSI, che

Data pubblicazione: 12/05/2015

.2.,

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3754/2013 della
D’APPELLO di

ROMA,

CORTE

depositata il 01/07/2013 R.G.N.

757/2012;

udienza del 21/01/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;

udito l’Avvocato FIGLIOLIA ETTORE;
udito l’Avvocato GROSSI DANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI cheha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.
.
3

e

,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Udienza del 21 gennaio 2015 — Aula A
n. 21 del ruolo —RG n. 25202/13
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

I, La sentenza attualmente impugnata — in sede di rinvio da Cass. 17 novembre 2011, n.
24092( e non n. 24088, come erroneamente indicato nella sentenza impugnata e nel controricorso) —
accoglie l’appello proposto da Stefano Fabroni avverso la sentenza del Tribunale di Roma n.
29241/2004 e, in parziale riforma di tale ultima sentenza, condanna il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca (d’ora in poi: MIUR), quale emanazione del Governo della
Repubblica, al pagamento in favore del Fabroni — anche a titolo risarcitorio del danno da ritardato e
parziale recepimento di normativa europea — del trattamento economico previsto per i laureati in
medicina per il periodo di frequentazione di scuole universitarie di specializzazione dalle direttive
n. 75/362/CEE e 82/76/CEE, essendo illegittima la normativa nazionale di tardivo recepimento di
tali direttive, di cui al d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che ne aveva fatto decorrere l’operatività
dall’anno accademico 1991-1992.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) sulla base dei principi affermati dalla sentenza rescindente la domanda del Fabroni, volta al
pagamento dell’equa remunerazione ple qua, deve essere accolta, in quanto il ricorrente, laureatosi
in medicina, ha conseguito una specializzazione in data 27 giugno 1985, essendo iscritto al relativo
corso durante il periodo in cui poteva già configurarsi un obbligo dello Stato italiano di
adeguamento alle direttive comunitarie;
b) la riconosciuta remunerazione va liquidata secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di
legittimità, tenendo conto della natura di debito di valuta dell’obbligazione in oggetto;
c) va esclusa la legittimazione passiva dell’Università di Chieti e affermata quella del MIUR,
quale emanazione del Governo della Repubblica.
2.— Il ricorso del MIUR, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, Stefano
Fabroni, il quale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I Sintesi dei ricorso

1.— Con il motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.,
violazione delle direttive CEE n. 82/76, 93/16, 362/75, 363/75, del d.lgs. n. 257 del 1991, dell’art.
11 della legge n. 370 del 1999, degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.,
nonché del d.m. 3 luglio 1996 e del d.m. 31 ottobre 1991.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Si sostiene l’erroneità della sentenza impugnata nelle parti in cui ha affermato la sussistenza,
in favore del Febroni, delle condizioni richieste per l’attribuzione del beneficio economico in
oggetto, senza considerare che:

b) l’iscrizione al corso è stata effettuata, nella specie, nel 1982, mentre prima del 31 dicembre
1982 non vi era per lo Stato italiano alcun dovere di recepimento della richiamata direttiva 82/76
CEE, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.

Esame delle censure

2.- II motivo di ricorso non è da accogliere.
2.1.- Deve essere ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:
a) qualora una sentenza sia cassata per violazione o falsa applicazione di nonne di diritto, è
precluso al giudice di rinvio qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto
enunciato, sulla scorta di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione
giuridica del rapporto controverso, con conseguente impossibilità di pervenire alla conferma della
statuizione contenuta nella sentenza cassata sulla base di una rinnovata, e difforme, interpretazione
della norma posta a fondamento di detto principio, considerando lo stesso come erroneamente
enunciato con riferimento ad una fattispecie diversa da quella dedotta in giudizio (Cass. 29 ottobre
2014, n. 23015);
b) nel giudizio di rinvio è precluso qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del
principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in ordine agli “errores in iudicando”, relativi
al diritto sostanziale, e per le violazioni di norme processuali tutte le volte in cui il principio sia
stato enunciato rispetto a un fatto, con valenza processuale, accertato e qualificato giuridicamente
agli effetti della cassazione della sentenza (Cass. 29 settembre 2014, n. 20474).
c) a norma dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto
vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo,
siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione,
nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve
giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di
rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento
giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la nonna da applicare in relazione al principio di
diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ‘m
superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della
dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass. 17 marzo 2014, n. 6086).
2.2.- Nella specie, nella sentenza rescindente, si è tenuto conto esplicitamente sia della durata
triennale del corso di specializzazione in oggetto, sia dell’avvenuta iscrizione al corso con alcuni
mesi di anticipo rispetto al 31 dicembre 1982, ne consegue che il giudice del rinvio era precluso
2

a) il corso di specializzazione frequentato dal dottore aveva avuto durata triennale, mentre in
base alla normativa comunitaria era richiesta una durata almeno quadriennale e nei decreti
ministeriali suindicati, al suddetto corso è stata attribuita durata quadriennale;

modificare la anzidetta ricostruzione della fattispecie, costituente il presupposto di applicabilità del
principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione.
Pertanto, a più forte ragione, non se ne può tenere conto nel presente giudizio.

a) ai fini della prova, la circostanza che i medici avessero, nel periodo di ritardato
adempimento, frequentato le scuole di specializzazione come in precedenza organizzate costituisce
indizio presuntivo che essi le avrebbero ragionevolmente frequentate anche nel diverso regime
conforme alle prescrizioni comunitarie; né, d’altra parte, i medici possono essere gravati della prova
di non aver percepito, durante il periodo di formazione, altre remunerazioni o borse di studio,
trattandosi di circostanze — eventualmente rilevanti a titolo di “aliunde perceptum” — l’onere della
cui prova va posto a carico del soggetto inadempiente (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1182);

3

2.3.- Peraltro, con riguardo alla questione della durata del corso inferiore al quadriennio, la
soluzione adottata dalla Corte d’appello risulta conforme ai consolidati e condivisi orientamenti di
questa Corte secondo cui:

b) pertanto, lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto
inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla
perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi di r
predetti, potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali
circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione
(tempo pieno o parziale) sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso
medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in
ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della
disciplina dettata dal diritto comunitario (più specificamente, prima tra le molte: Cass. 11 novembre
2011, n. 23577 e, da ultimo, Cass. 22 ottobre 2014, n. 22480);
c) comunque, il giudice non ha alcun obbligo di ricercare i diversi Statuti universitari utili per
determinare la durata dei diversi corsi di specializzazione, mentre è onere degli interessati di offrire
tempestivamente la documentazione idonea a dimostrare la durata dei rispettivi corsi, mentre la
relativa produzione in appello non è giustificata dal tempo della formazione degli atto ovvero
dall’evolversi della vicenda processuale successivamente agli atti introduttivi del giudizio (arg. ex
Cass. 13 luglio 2009, n. 16337).
2.4.- Quanto alla questione dell’attribuibilità del risarcimento anche ai medici che avevano già
iniziato il loro corso di specializzazione al 31 dicembre 1982, va osservato che solo in epoca recente
— e quindi molto dopo la emanazione della sentenza rescindente e la formulazione del principio di
diritto — si è affermato, nella giurisprudenza di questa Corte l’indirizzo secondo cui, in tema di
Direttive CEE 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, cosi come modificate dalla Direttiva n. 82/76/CEE,
riguardanti l’organizzazione dei corsi di specializzazione medica, a seguito dell’inadempimento
statuale ad esse, verificatosi il 31 dicembre 1982, non è insorto alcun diritto al risarcimento del
danno a favore dei medici che a quella data avevano già iniziato il loro corso di specializzazione
(vedi, fra le prime: Cass. 11 gennaio 2013, n. 587 e Cass. 17 gennaio 2013, n. 1157).
Sicché, per quanto si è detto, tale sopravvenienza è irrilevante nel caso di specie.
3

Va, peraltro, precisato che il suddetto orientamento non risulta conforme alle sentenze della
Corte di Giustizia CE 25 febbraio 1999, Carbonari e a., C-131/97 e 3 ottobre 2000, Gozza e a., C371/97, nelle quali è stato affermato il carattere incondizionato e sufficientemente preciso
dell’obbligo di retribuzione in oggetto ed è stato indicato come rimedio alle conseguenze
pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva in questione la cd. applicazione retroattiva e
completa delle misure di attuazione della normativa comunitaria prevedendo la possibilità di
risarcire tutti coloro che avevano subito un danno, senza effettuare alcuna distinzione in ordine
all’anno di iscrizione al corso di specializzazione.

3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012.
Infatti, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il provvedimento
con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla
inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di
versare — ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 — un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 13,
non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le
Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa ‘della
loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo
della prenotazione a debito (vedi, per tutte: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955 e Cass. 5 novembre 2014,
n. 23514).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00
(quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 gennaio 2015.

IV — Conclusioni

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