Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9597 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/04/2017, (ud. 02/02/2017, dep.13/04/2017),  n. 9597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3789-2015 proposto da:

ECO-VIT S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell’avvocato SABATINO ALESSIO MARRAMA,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO PANNELLA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

D.A.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato CARLO DE MARCHIS,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2575/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/07/2014 R.G.N. 10447/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2017 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SOTTILE per delega Avvocato CARLO DE

MARCHIS.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 28/7/2014 la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione emessa dal Tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta da D.A.R., avviata obbligatoriamente al lavoro ex L. n. 68 del 1999, contro la datrice di lavoro Eco Vit s.r.l. ed intesa alla dichiarazione di nullità, illegittimità o inefficacia del patto di prova per indeterminazione delle mansioni affidate, nonchè di illegittimità dell’atto di recesso, in quanto irrogato in mancanza di idonea motivazione.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte d’appello osservava, per quanto qui rileva, che il requisito di specificità del patto di prova non poteva ritenersi rispettato mediante il rinvio al contratto collettivo e allo svolgimento delle mansioni di operatore ecologico di primo livello. Infatti il C.C.N.L. 2003, art. 14, applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevedeva che il personale dipendente fosse inquadrato in un sistema di classificazione unica per Aree operativo funzionali, articolato in otto livelli professionali. Nell’ottica descritta, il richiamo contenuto nel contratto inter partes al contratto collettivo di settore, pur se astrattamente ammissibile, nello specifico non consentiva di comprendere, ex ante, a quali mansioni fosse stata adibita la lavoratrice e su quali attività lavorative dovesse svolgersi la prova.

Avverso tale decisione la Eco Vit s.r.l. propone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo e il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 14 C.C.N.L. nettezza urbana in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica, in sintesi, l’impugnata sentenza, per avere ritenuto non specificamente definite le mansioni indicate nel contratto di lavoro e, di conseguenza, invalido il patto di prova, non essendo consentito il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo delle mansioni oggetto del patto stesso, se non nella nozione più dettagliata. Si deduce, per contro, che allorquando si verta in ipotesi di lavoro tipizzato nella esecuzione, le mansioni non devono essere indicate in dettaglio, essendo sufficiente che siano determinabili sulla base della formula adoperata in sede contrattuale, in tal senso criticandosi l’erronea applicazione dei criteri ermeneutici di interpretazione del contratto collettivo di settore disposta dai giudici dell’impugnazione.

2. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi siccome connessi, non sono meritevoli di accoglimento.

La struttura argomentativa che innerva la pronuncia impugnata fa corretta applicazione del dato normativo di cui all’art. 2096 c.c., nei termini ritenuti dalla giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare continuità.

Occorre, in via di premessa osservare che la Corte Costituzionale, in risalenti approdi (v. Corte Cost. 16/5/1989 n. 255), ha dato il proprio avallo a quella giurisprudenza di legittimità che si era espressa nel senso della legittimità della previsione di un patto di prova nel contratto di lavoro stipulato con un invalido, ai sensi della normativa sulle assunzioni obbligatorie, confermando che l’esperimento deve riguardare mansioni compatibili con lo stato di invalidità o di minorazione fisica del lavoratore; che la valutazione dell’esito della prova non deve essere influenzata da considerazioni di minor rendimento dovute all’infermità o alle minorazioni; che il recesso del datore di lavoro deve avere un’adeguata motivazione.

Con riferimento, in generale, ai precetti recati dall’art. 2096 c.c., va poi rammentato che, con sentenza n. 189 del 1980, i Giudici delle leggi hanno chiarito come il rispetto dei principi costituzionali imponga all’interprete di ritenere che il licenziamento del lavoratore in prova è illegittimo “quando risulti che non è stata consentita, per inadeguatezza della durata dell’esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato”, sicchè il lavoratore può “dimostrare il positivo superamento dell’esperimento nonchè l’imputabilità del licenziamento ad un motivo illecito”.

Nell’ottica descritta questa Corte (vedi Cass. 13/9/2003 n. 13498, cui adde Cass. 19/08/2005 n. 17045) ha ritenuto che l’esercizio del (sia pur limitato) controllo giudiziale sul potere di recesso datoriale in periodo di prova, è possibile solo allorquando siano ben note e specificate, fin da prima dell’inizio del periodo di prova, le mansioni dettagliate che il lavoratore sarà chiamato ad esercitare.

Posto che, secondo quanto affermato anche in dottrina, la causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro, per evitare la illegittimità del patto per incoerenza con la suddetta causa, è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi (cfr. Cass. 22/3/2000 n. 3451), atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate (v. Cass. 24/12/1999, n. 14538; 26/5/1995 n. 5811).

3. A tal fine, si è altresì affermato che il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva può ritenersi sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se, rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli e profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova sia fatto alla nozione più dettagliata.

Se la categoria di un determinato livello accorpa una serie di profili professionali, è l’indicazione del singolo profilo a soddisfare l’esigenza di specificità delle mansioni, mentre l’indicazione della sola categoria difetterebbe di tale connotazione e sarebbe generica. In tal modo è soddisfatta l’esigenza di una sufficiente predeterminazione dell’ambito dell’esperimento e quindi delle qualità professionali richieste al lavoratore in prova per il suo superamento in modo da consentire, in caso di recesso del datore di lavoro, quel controllo richiesto da C. cost. n. 189 del 1980. D’altro canto, è tutelato l’affidamento in buona fede delle parti sulla validità del patto di prova perchè il riferimento alla declaratoria contrattuale più specifica e dettagliata rappresenta un dato oggettivo e riconoscibile; e tale garanzia assume uno spiccato valore nel caso del collocamento obbligatorio degli invalidi dove la specificità dell’indicazione delle mansioni in cui effettuare l’esperimento lavorativo va valutata con maggiore rigore.

4. Orbene, a siffatti principi si è conformata la Corte distrettuale che ha rilevato come il contratto collettivo 30/4/2003 applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevedesse all’art. 14 l’inquadramento del personale in un sistema di classificazione unica per Aree operativo – funzionali: Area spazzamento, raccolta, attività accessorie e complementari; Area conduzione; Area impianti e officine; Area servizi generali; Area tecnico-amministrativa.

Ha soggiunto che al successivo comma 13, la citata disposizione prevedeva che nell’ambito del proprio livello professionale, i lavoratori possono essere di norma impiegati, anche nell’arco del turno giornaliero di lavoro, con variazioni di utilizzo per l’esecuzione di mansioni professionalmente equivalenti, e che al comma 14 si puntualizzava che le declaratorie, profili ed esemplificazioni non esaurivano le mansioni che potevano essere assegnate in diretta connessione a quelle espressamente indicate in relazione ai diversi livelli di inquadramento.

Quanto ai livelli dell’area spazzamento, raccolta, attività accessorie e complementari, ha osservato che era comprensiva dei “lavoratori che eseguono operazioni semplici che non richiedono conoscenze professionali ma un periodo minimo di pratica anche utilizzando strumenti e macchinari anche a motore nonchè veicoli per la guida dei quali non è prescritta alcuna patente”; quanto alle esemplificazioni, ha richiamato le figure di “addetto alla attività di spazzamento, raccolta, accessorie e complementari; addetto alla preselezione manuale; addetto alle pubbliche affissioni, deaffissioni e cancellazione scritte ecc…”.

Inoltre, nella medesima area, si prevedeva l’inclusione dei “lavoratori che in applicazione di istruzioni dettagliate soggette a controllo diretto, eseguono attività elementari richiedenti conoscenze generiche del processo lavorativo, acquisibili con un periodo di pratica, anche utilizzando macchinari e/o apparecchiature nonchè veicoli per la guida dei quali è richiesto il possesso della patente di categoria A” con le seguenti esemplificazioni: “addetto alle attività di spazzamento, raccolta, accessorie e complementari, per la quale è previsto anche l’uso del motocarro; alla derattizzazione, disinfestazione, disinfezione, demuscazione e diserbo chimico senza preparazione dei relativi composti; addetto ai pozzi neri, pozzetti stradali, raccolta acque fecali”.

5. Nell’ottica descritta, del tutto evidente si palesa la genericità del rinvio per relationem alle mansioni di “operatore ecologico di primo livello” contenuto nel contratto inter partes, giacchè, in presenza nella medesima area, di una pluralità di profili, non consentiva di individuare, con giudizio ex ante, quali fossero le mansioni in concreto assegnate al lavoratore, e di esplicare, il sindacato giudiziale sulla legittimità del recesso intimato in periodo di prova.

Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale sulla questione delibata, sono, dunque conformi a diritto e sorretti da motivazione del tutto congrua, mediante la quale si è scrutinata la non coerenza della “relatio” posta dalla clausola contrattuale alle disposizioni collettive, per non essere il richiamo indirizzato alla nozione più dettagliata rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali.

Detta motivazione, coerente con i principi enunciati da questa Corte e con una corretta lettura dei dettami propri della contrattazione collettiva di settore, si sottrae, per quanto sinora detto, alle censure all’esame.

6. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Occorre, infine, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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