Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9591 del 30/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/04/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 30/04/2011), n.9591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2599/2010 proposto da:

ICATEX ITALIA SRL (OMISSIS) in persona del Presidente e

Consigliere Delegato, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO

EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI,

rappresentata e difesa dagli avvocati TEDOLDI Alberto, GIANI MARCO,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS) in persona dei suoi legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato BERNARDINI SVEVA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ARMENIO Salvatore, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2736/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

6.10.09, depositata il 02/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito per la ricorrente l’Avvocato Alberto Tedoldi che si riporta ai

motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Ermanno Prastaro (per delega

avv. Salvatore Armenio) che si riporta ai motivi del controricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO

GIOVANNI RUSSO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. – E’ chiesta la cassazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano in data 6.10.2009 e depositata il 2.11.2009 in materia di opposizione a precetto.

Al ricorso si applicano le norme di cui alla L. 18.6.2009 n. 69, per essere il provvedimento impugnato depositato successivamente all’entrata in vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).

Preliminarmente, va rigettata l’eccezione proposta dall’odierna resistente di inammissibilità del ricorso per carenza di valida procura speciale.

La mancata menzione della persona del legale rappresentante della società Icatex Italia srl, odierna ricorrente, nel testo della procura speciale rilasciata in calce al ricorso, non comporta alcun vizio della procura come rilasciata.

Da un lato, a tal fine, va rilevato che la decifrabilità della sottoscrizione della procura alle liti non è requisito di validità dell’atto, ove l’autore sia identificabile, con nome e cognome, dal contesto dell’atto medesimo, in quanto ciò consente di affermare, pur in presenza di firma illeggibile, la riferibilità della procura alla persona, come effetto dell’autenticazione compiuta dal procuratore (Cass. 26.3.2010 n. 7331 e precedenti ivi richiamati).

Dall’altro, deve rilevarsi che la ricorrente è una società di capitali la cui rappresentanza spetta, appunto, al legale rappresentante; e la persona della stesso si evince dall’intestazione del ricorso in cui si menziona quale ricorrente la Icatex Italia srl in persona del Presidente e Consigliere Delegato sig. Z. R…..”.

In mancanza di contestazioni sui poteri allo stesso spettanti, ricavandosi dal contesto del ricorso la persona che rappresenta la società, la procura come rilasciata è regolare.

La Corte di merito ha correttamente ritenuto l’appello proposto inammissibile, trattandosi di un’opposizione all’esecuzione definita con sentenza del tribunale pubblicata successivamente al 1 marzo 2006; soggetta, pertanto, alla disciplina della non impugnabilità (con la conseguenza che avverso le sentenze in materia esecutiva pubblicate successivamente al 1 marzo 2006 è proponibile il ricorso per cassazione).

L’art. 616 c.p.c. (nel testo sostituito, con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. 14 febbraio 2006, n. 52, art. 14, comma 1), prevede l’inappellabilità delle sentenze pronunciate nei giudizi di opposizione all’esecuzione, tanto se introdotti prima dell’inizio dell’esecuzione, e quindi sotto forma di opposizione a precetto, quanto se introdotti dopo (v. sul punto anche Cass. ord. 30.6.2010 n. 15629; Cass. ord. 29.5.2008 n. 1417).

La ricorrente propone due motivi.

Il primo, di violazione delle norme di cui agli artt. 24 e 111 Cost., e 183, quarto comma c.p.c. per avere la Corte di merito pronunciato su di una questione rilevata d’ufficio (cui è conseguita la declaratoria di inammissibilità dell’appello) senza che fosse previamente sottoposta a discussione fra le parti; con ciò violando il diritto di difesa e del contraddittorio.

Il motivo è manifestamente infondato, posto che la questione per la quale la Corte di merito ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello – e sopra richiamata – attiene, non ad una questione che comporti nuovi sviluppi della lite, non presi in considerazione dalle parti, che abbiano modificato il quadro fattuale; ne che abbia comportato l’indicazione di una “terza via”, ma all’impugnabilità della sentenza con il mezzo proposto; vale a dire ad una questione puramente processuale (v. anche S.U. 30.9.2009 n. 20935; Cass. 12.3.2010 n. 6051).

Una questione, peraltro, che non ha in alcun modo esorbitato dal thema decidendum, ma che riguarda proprio l’esame pregiudiziale al merito che il giudice deve compiere in ordine all’ammissibilità del mezzo di impugnazione proposto.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che alcuna differenza sussiste – con riferimento all’inimpugnabilità di cui all’art. 616 c.p.c., ratione temporis applicabile, della sentenza in materia di opposizione all’esecuzione – tra opposizione a precetto, come nella specie, ed opposizione successiva all’inizio dell’esecuzione forzata (Cass. ord. 29.5.2008 n. 1417).

Da ultimo, per completezza, vale sottolineare che, nella specie, non è applicabile il regime processuale stabilito in materia di opposizioni esecutive dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, in quanto l’art. 58 della stessa legge, quale disposizione transitoria, prevede che la nuova normativa si applichi ” ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

Non sono state presentate conclusioni scritte, ma le parti sono state ascoltate in Camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio – esaminati i rilievi contenuti nelle memorie – ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.

Osserva:

Preliminarmente, è irrilevante l’assemblaggio del controricorso che, avendo la sola funzione di contrastare l’altrui impugnazione, non necessita della esposizione sommaria dei fatti di causa (Cass. 8.1.2010 n. 86).

I rilievi svolti nella memoria depositata dalla ricorrente, poi, non possono essere seguiti.

In ordine alla questione della nullità della sentenza – per violazione del principio del contraddittorio e, più in generale del diritto di difesa – per la mancata, previa indicazione alle parti di una questione rilevabile d’ufficio deve sottolinearsi quanto segue.

La S.U. della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20935 del 2009 hanno stabilito che nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti, al fine di consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza soltanto se tale errore sia in concreto consumato.

Qualora, invece, si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove od, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio.

In particolare, per quel che attiene alla violazione del principio del contraddittorio, l’omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione rilevabile d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, solo quando la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in sua difesa qualora il contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato tempestivamente attivato, in quanto, alla stregua del canone costituzionale di ragionevole durata del processo, detta indicazione non costituisce un adempimento fine a sè stesso, la cui omissione è censurabile in sede d’impugnazione a prescindere dalle sue conseguenze pratiche, ma assume rilievo solo in quanto finalizzata all’esercizio effettivo dei poteri di difesa (V. anche Cass. 12.3.2010 n. 6051).

Diversamente, quando – come nel caso in esame – la questione di diritto è di natura esclusivamente processuale correttamente risolta, come si dirà in seguito – ed attiene alla individuazione del corretto mezzo di impugnazione a disposizione della parte – cioè ad un momento “preprocessuale”, introduttivo dello stesso giudizio di impugnazione, il cui esame spetta, in sede di decisione, d’ufficio e preliminarmente, al giudice dell’impugnazione prima di potere scendere ad esaminare il fondo delle censure proposte; e ciò indipendentemente dall’iter processuale anteriore alla decisione medesima.

Nè, diversamente la prospettazione preventiva del tema alle parti, per la sua natura, avrebbe potuto involgere profili difensivi non trattati.

Quanto alle ulteriori questioni trattate, va ribadito – in adesione alla giurisprudenza costante di questa Corte (v. in particolare in motivazione Cass. ord. 6.12.2002 n. 17440, in relazione alla sospensione dei termini feriali) – che, con riferimento alle sentenze rese nei giudizi di opposizione all’esecuzione, l’art. 616 c.p.c., nel testo sostituito con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. 14 febbraio 2006, n. 52, art. 14, stabilisce l’inimpugnabilità delle sentenza che definiscono detti giudizi.

La norma è applicabile, sia ai giudizi di opposizione ad esecuzione già iniziata, sia ai giudizi di opposizione a precetto, ed ha l’effetto, quale norma speciale entrata in vigore il 1 marzo 2006, di regolare il mezzo di impugnazione avverso tali sentenze in via onnicomprensiva (anche, quindi, quando sono pronunciate dal giudice di pace) (v. da ultimo Cass. ord. 30.6.2010 n. 15629; Cass. ord. 29.5.2008 n. 14179 richiamate nella relazione; irrilevante essendo, ai fini processuali che qui interessano, la natura “bagatellare” della lite oggetto di quei giudizi).

L’art. 616 c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 14 richiamato trova, poi, applicazione – secondo una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte (a partire da Cass. 20.9.2006 n. 20414;

condivisa da S.U. 29.4.2009 n. 9940, fino a Cass. 15.2.2011 n. 3688) alle sentenze rese in primo grado a far tempo dal 1 marzo 2006.

E le ragioni di detto orientamento – cui questo Collegio aderisce – furono inizialmente espresse (e successivamente condivise)da Cass. n. 20414 del 2006 richiamata che, in motivazione, così si espresse:” In difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsione contrarie, va data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale, in linea con quanto affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 155 del 1990), ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, non incidendo su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere (Cass. n. 6099 del 2000) . Tanto vuoi dire, come bene ha osservato la dottrina, che, in applicazione delle regole stabilite dall’art. 11 preleggi, comma 1, e dall’art. 15 preleggi, concernenti la successione delle leggi – anche processuali – nel tempo, quando il giudice procede ad un esame retrospettivo delle attività svolte, ne stabilisce la validità applicando la legge che vigeva al tempo in cui l’atto è stato compiuto, essendo la retroattività della legge processuale un effetto che può essere previsto dal legislatore con norme transitorie, ma che non può essere liberamente ritenuto dall’interprete.

Una indebita applicazione retroattiva della legge processuale si ha sia quando si pretenda di applicare la legge sopravvenuta ad atti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore della legge nuova, sia quando si pretenda di associare a quegli atti effetti che non avevano in base alla legge del tempo in cui sono stati posti in essere. Pertanto, alle sentenze che hanno deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del 1 marzo 2006 il regime applicabile resta quello della normale appellabilità; solo quelle pubblicate successivamente sono soggette alla nuova regola della in impugnabilità, ai sensi del nuovo testo dell’art. 616 c.p.c.”.

Da ultimo, la disposizione transitoria della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, che ripristina l’immediata appellabilità delle sentenze ex art. 616 c.p.c. è applicabile esclusivamente “ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge” (4 luglio 2009), ma, nel caso in esame, a tale data pendeva il giudizio di appello – erroneamente proposto – e non quello di primo grado.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 18.200,00, di cui Euro 18.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2011

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