Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 959 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 17/01/2020), n.959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25142-2018 proposto da:

C.F., C.S., entrambi nella loro qualità

di eredi del sig. C.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUCA BERNI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MONTECHIARLGOLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNA PITITTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 582/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

Fatto

RITENUTO

che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Bologna confermò quella di primo grado, la quale aveva disatteso la domanda con la quale C.F. aveva chiesto dichiararsi che la stradina denominata “(OMISSIS)”, sita nel Comune di Montechiarugolo, fosse di sua esclusiva proprietà;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello C.S. e C.F., succeduti a C.F., propongono ricorso sulla base di tre motivi, intimamente connessi e che il Comune resiste con controricorso;

ritenuto che, denunciando l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., i ricorrenti prospettano che:

– in primo grado l’attore aveva offerta la prova del proprio diritto di proprietà e il Tribunale erroneamente aveva reputato che l’attore non si trovasse nel possesso del bene;

– sempre in primo grado, era stato preteso l’assolvimento di “un onere probatorio eccessivamente gravoso” e, comunque, la prodotta documentazione aveva dimostrato che l’attore era proprietario del bene;

– la Corte d’appello aveva imposto, anche per l’azione di mero accertamento l’onere della prova dell’azione petitoria, nonostante (lui non fosse stata avanzata richiesta di “recupero” e, tuttavia, la prova era stata fornita;

– fatto luogo a CTU “notarile”, il Tribunale era giunto alla sfavorevole soluzione attraverso l’adozione di una “interpretazione della perizia arbitraria, illogica e financo contraddittoria”, avendo illegittimamente sostituito alle conclusioni del CTL “argomentazioni tratte da proprie personali cognizioni tecniche”;

– il Giudice di primo grado si era “limitato a valorizzare l’unico dato confuso rilevato dal CTI:, ovvero l’assenza di una particella che individuasse lo stradello”;

– infine, il Tribunale aveva commesso un errore di diritto, non avendo considerato che l’omessa individuazione particellare, contraddistingue “non già (i beni) di “proprietà” pubblica, bensì di “uso” pubblico”, uso che indubbiamente caratterizzava la stradina in discorso;

ritenuto che i motivi sono inammissibili per difetto assoluto di pertinenza, in quanto diretti a censurare per larga parte la sentenza del Tribunale, invece che quella d’appello – Sez. L. 21 marzo 2014, n. 6733, conf. Cass. nn. 5637/06, 15952/07 – e aspecificità, sia per la loro intrinseca genericità e irriducibile congetturale apoditticità, che sotto il profile del difetto di autosufficienza, senza contare che la sentenza, dopo aver correttamente applicato il principio enunciato da questa Corte, con la sentenza n. 121/017, in merito alla pienezza dell’onere probatorio gravante in capo al richiedente declaratoria di proprietà, spiega, non precipuamente criticata, perchè l’appellante non aveva provato il proprio diritto.

Diritto

CONSIDERATO

che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in fiavore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 17 gennaio 2020

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