Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9580 del 12/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/04/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 12/04/2021), n.9580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE AnnaMaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10294-2019 proposto da:

IMMOBILIARE IL CASTELLO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P.S. MANCINI 2,

presso lo studio dell’avvocato CAPUA MICHELANGELO, rappresentata e

difesa dall’avvocato BONISTALLI MAURIZIO;

– ricorrente –

contro

G.M., G.K., elettivamente domiciliate in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo STUDIO LEGALE GREZ E

ASSOCIATI SRL, rappresentate e difese dall’avvocato MATASSINI

LUCILLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 123/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. BESSO

MARCHEIS CHIARA.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Nel 2004 G.M. e G.K. convenivano in giudizio la società Immobiliare Il Castello srl, deducendo di avere concluso un contratto preliminare di acquisto di due appartamenti e pertinenze, ancora da edificare in Castelfranco di Sotto, che alla data fissata per il contratto definitivo non erano ancora terminati i lavori, cosicchè, lo stesso giorno, avevano comunicato a controparte di considerare il contratto risolto e avevano chiesto la restituzione di quanto pagato; le attrici chiedevano quindi al Tribunale di Pisa di accertare l’avvenuta risoluzione del contratto con condanna della società convenuta alla restituzione della caparra e di quanto corrisposto. L’Immobiliare, costituendosi, negava di avere avuto compensi ulteriori rispetto alla caparra e, deducendo l’inadempimento delle attrici (più volte inutilmente sollecitate a stipulare il contratto definitivo), faceva valere domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

Il Tribunale di Pisa, con sentenza n. 488/2013, ha rigettato entrambe le domande di risoluzione, ha dichiarato l’impossibilità dell’esecuzione del contratto preliminare per effetto della reciproca domanda di risoluzione e ha accertato sulla base di testimonianze e di una prova atipica – l’avvenuto pagamento di acconti per Euro 67.500, condannando l’Immobiliare alla restituzione di tale somma.

2. La sentenza è stata impugnata dalla società Immobiliare, censurando la condanna al pagamento di Euro 67.500, il rigetto della propria domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento del danno, nonchè la mancata compensazione delle spese di lite di primo grado.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 22 gennaio 2019, n. 123, ha rigettato il gravame.

3. Avverso la sentenza ricorre per cassazione Immobiliare Il Castello srl.

Resistono con controricorso G.M. e G.K.iuscia.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo contesta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: la Corte d’appello ha ritenuto di fare discendere dalle dichiarazioni rese dal testimone Del Nitta la veridicità e attendibilità delle allegazioni di parte attrice relative al versamento di “acconti per Euro 67.500”, in assenza di prova e in contrapposizione con la diversa versione fornita in sede di interrogatorio formale (dove una delle attrici ha affermato di avere versato Euro 70.000), con conseguente vizio (illogicità e erroneità) della motivazione del giudice d’appello, che ha pure erroneamente interpretato le dichiarazioni di Del Nitta circa “la presenza del B.”.

Il motivo è inammissibile. In rubrica si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che attiene invece all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Nello sviluppo del motivo, poi, si lamenta la valutazione operata dal giudice di merito di elementi di prova (valutazione che spetta al giudice di merito e che non è censurabile, ove motivata, da questa Corte di legittimità) ovvero la supposta contraddittorietà della motivazione, invocando pertanto un parametro (l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) che non trova applicazione ratione temporis alla fattispecie.

b) Il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1458 e 1223 c.c., per il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno derivante dalle modifiche strutturali imposte dalle signore Giusta alla Immobiliare Il Castello”.

Il motivo è inammissibile, in quanto non si rapporta con la motivazione della sentenza impugnata, che non solo ha rilevato come il Tribunale abbia escluso l’inadempimento (e non parlato di “scarsa importanza dell’inadempimento”), ma ha anche rilevato la temerarietà del relativo motivo di gravame (p. 3 della sentenza impugnata).

c) Il terzo motivo, lamenta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. per la mancata riforma della condanna alle spese del giudizio pur in presenza di una soccombenza reciproca”.

Il motivo è inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha motivato la conferma della decisione di primo grado con l’argomentata “soccombenza nettamente prevalente” della ricorrente.

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater del, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore delle controricorrenti che liquida in Euro 5.800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2 sezione civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2021

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