Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9578 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. un., 13/04/2017, (ud. 21/03/2017, dep.13/04/2017),  n. 9578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26209-2015 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO,

18, presso lo studio dell’avvocato LUCA FONTANA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato DANILO PEZZI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata in

data 28/07/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2017 dal Consigliere Dott. ANGELINA-MARIA PERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale FUZIO

Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Luca Fontana, Danilo Pezzi e Raffaella Ferrando

per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.A. è assegnatario di un immobile edificato ai sensi della L. n. 52 del 1976, ossia dall’Istituto per l’edilizia abitativa agevolata della Provincia di Trento (ITEA) per conto dello Stato ed in quanto tale destinato al personale delle Forze di Polizia in relazione alla prestazione del proprio servizio. Sostenendo di aver conseguito il diritto ad acquistare l’immobile a seguito e per effetto della L. n. 560 del 1993, egli convenne in giudizio l’Agenzia del demanio, con azione sostitutiva degli effetti del contratto di compravendita non concluso, ex art. 2932 c.c., oltre al risarcimento dei danni, in via subordinata, per ottenere la condanna dell’Amministrazione alla definizione della cessione ed all’avvio di tutte le procedure all’uopo necessarie e, in ulteriore subordine, per sentir condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti mediante reintegrazione in forma specifica o per equivalente.

Il Tribunale di Trento dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice amministrativo e la Corte d’appello di Trento ha respinto il successivo appello proposto dall’odierno ricorrente. Ha osservato al riguardo il giudice d’appello che l’immobile, entrato nel patrimonio indisponibile dello Stato per effetto della sua costruzione in base alla L. n. 52 del 1976, in mancanza di declassificazione con atto avente pari rango, fa tuttora parte di tale patrimonio, di modo che la sua assegnazione è da ritenere avvenuta mediante concessione amministrativa. Di qui la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, che ha competenza giurisdizionale esclusiva, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b) c.p.a., in ordine alle controversie relative a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione di quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi.

Contro questa sentenza propone ricorso F.A. al fine di ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui l’Agenzia del demanio reagisce con controricorso.

Il ricorrente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso F.A. censura la statuizione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario. Secondo il ricorrente l’immobile indicato in narrativa è stato acquisito al patrimonio indisponibile dello Stato non già per effetto di per sè della L. n. 52 del 1976, sibbene dei successivi provvedimenti amministrativi che vi hanno dato attuazione, di modo che non era necessario che la declassificazione avvenisse con un atto di rango pari a quello che ha classificato l’immobile. Atto di pari rango che, ha sottolineato, è comunque intervenuto, dovendosi ravvisare nella L. n. 560 del 1993, art. 1 il quale ha sancito l’alienabilità anche degli alloggi costruiti a norma della L. n. 52 del 1976. A tanto il ricorrente ha aggiunto che numerosi provvedimenti amministrativi hanno riconosciuto che l’attuale ed effettiva destinazione degli alloggi realizzati a norma della L. n. 52 del 1976 non è volta al pubblico servizio, trattandosi di immobili per lo più occupati da personale in pensione e da vedove.

La censura è infondata.

1.1.- la L. n. 52 del 1976, art. 5 ha stabilito che “nelle province di Trento e di Bolzano i finanziamenti di cui all’articolo 1 vengono utilizzati per la costruzione di alloggi di servizio a favore del personale civile e militare della pubblica sicurezza, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza e del Corpo degli agenti di custodia, ai sensi del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 24. Gli alloggi restano di proprietà dello Stato e vengono concessi al personale di cui all’art. 1, in relazione alla prestazione del proprio servizio nelle località dove gli alloggi sono ubicati. La concessione viene meno col cessare del rapporto di servizio del concessionario e con il suo trasferimento in altra sede”.

Il legislatore, là dove ha destinato gli alloggi a servizio dei soggetti indicati e fino al perdurare del loro rapporto di servizio nelle province di Trento e di Bolzano, ha funzionalizzato gli alloggi ad un pubblico servizio, strumentale alle esigenze di sicurezza, di mobilità, di tempestiva reperibilità proprie del personale civile e militare dinanzi enumerato. Avendo il legislatore stesso, decidendone la costruzione, provveduto a destinare gli alloggi ad un pubblico servizio, superflui risultano a tal fine i successivi provvedimenti amministrativi, meramente esecutivi di tale volontà. Non è per conseguenza applicabile l’orientamento di queste sezioni unite richiamato in ricorso ed in memoria (in espressione del quale si veda, da ultimo, ord. 25 marzo 2016, n. 6019), secondo il quale affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva destinazione del bene al pubblico servizio. Esso si riferisce difatti a casi nei quali la destinazione a pubblico servizio del bene appartenente alla pubblica amministrazione avviene per volontà di quest’ultima, che la manifesta con un suo provvedimento; ed in ragione della discrezionalità di esso, che consente alla pubblica amministrazione di stabilire i tempi ed i modi della sua attuazione, ma anche di non darvi affatto attuazione, è necessario, perchè il bene diventi indisponibile, che la manifestazione di volontà in tal senso della pubblica amministrazione si concretizzi nella effettiva esecuzione di quanto deciso.

Nel caso in questione non è stata la pubblica amministrazione a destinare l’immobile per cui è causa ad un pubblico servizio, ma il legislatore, che ne ha deciso la costruzione: per conseguenza gli alloggi, non appena costruiti, sono entrati a far parte del novero dei beni indisponibili dello Stato (per analoghe considerazioni, vedi Cass. 12 maggio 2003, n. 7269).

1.2.- La sorte degli alloggi è stata successivamente regolata dalla L. n. 560 del 2003, art. 1 il quale, per un verso, ha previsto il passaggio nella categoria degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di quelli “acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla L. 6 marzo 1976, n. 52, a totale carico o con concorso o con contributo dello Stato…” (comma 1) e, per altro verso, ha escluso dall’applicazione della legge “gli alloggi di servizio oggetto di concessione amministrativa in connessione con particolari funzioni attribuite a pubblici dipendenti” (comma 3).

1.3.- Si può al riguardo convenire col ricorrente che l’esclusione stabilita dal comma 3 della norma si debba riferire agli alloggi effettivamente strumentali all’espletamento di particolari funzioni attribuite a pubblici dipendenti, e ciò in base anzitutto al tenore della L. n. 53 del 1976, art. 5 secondo cui, come si è già indicato, “la concessione viene meno col cessare del rapporto di servizio del concessionario…”. Tanto risponde altresì all’esigenza di una nuova tassonomia dei beni pubblici, da svolgere alla luce dei valori costituzionali affermati con forza immediatamente cogente dagli artt. 2, 29 e 42 Cost., che arricchisca la disciplina codicistica, incardinata sulla distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali in base a criteri formali, per indagarne, sul piano sostanziale, la funzionalità al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività (Cass., sez. un., 16 febbraio 2011, n. 3811; 14 febbraio 2011, n. 3665). Soltanto se il bene sia in concreto destinato al soddisfacimento di interessi superindividuali (nella specie, a quelli connessi alle particolari funzioni attribuite a pubblici dipendenti), si giustifica l’applicazione del regime speciale, che al perseguimento di tali interessi è indirizzato; altrimenti, non v’è ragione di sottrarre i beni all’applicazione del regime generale stabilito per gli alloggi realizzati col contributo dello Stato, che è quello dell’edilizia residenziale pubblica.

2.- Queste considerazioni, tuttavia, non giovano alle ragioni del ricorso.

Trova difatti applicazione l’indirizzo consolidato di queste sezioni unite, in base al quale, in tema di edilizia residenziale pubblica, il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo ed ordinario rinviene il proprio discrimine nell’esercizio da parte della pubblica amministrazione delle proprie attribuzioni, di modo che la fase prenegoziale-pubblicistica spetta al giudice amministrativo e quella contrattuale-privatistica al giudice ordinario (tra le altre, sez. un. 9 settembre 2013, n. 20589, ord. 9 aprile 2013, n. 9694 e ord. 8 marzo 2012, n. 3623).

2.1.- Un tale criterio trova continuità anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, emanato col D.Lgs. n. 104 del 2010, in base al suo art. 133, comma 1, n. 6, lett. b), che riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”; nell’ambito di tali controversie è sicuramente compresa la materia dell’assegnazione e delle vicende relative alla circolazione e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, in quanto permeata dalla finalità sociale di agevolare, mediante la destinazione di determinati immobili, appartenenti a tipologie non di lusso ed acquisiti da enti pubblici non economici, le persone meno abbienti (così Cass., sez. un., ord. 28 dicembre 2011, n. 29095). Le concessioni di beni pubblici, difatti, conferiscono al privato speciali diritti di natura reale o personale sopra alcuni beni di cui gli enti pubblici hanno esclusiva disponibilità; in relazione ad essi, la natura intrinsecamente amministrativa del potere della pubblica amministrazione, nella fase prenegoziale, anche se sottratto ad ogni forma di discrezionalità, attribuisce al diritto soggettivo dell’aspirante una veste particolare, che ne giustifica la devoluzione alla cognizione piena del giudice amministrativo. Soluzione, questa, che si pone in linea con le statuizioni di Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, da cui è ritraibile il principio fondamentale costituito dal ripudio di un sistema di riparto delle giurisdizioni che non sia ancorato al binomio diritti-interessi, presidiato dalla combinazione degli artt. 102 e 103 Cost.. Sicchè la cognizione dei diritti, che appartiene quasi per definizione al giudice ordinario, non può essere attribuita senz’altro al giudice amministrativo, ma soltanto quale prolungamento, o completamento, di tutela, per ogni vicenda in cui, comunque, si sia avuto esercizio di poteri autoritativi incidenti nella sfera giuridica del cittadino. La materia dei pubblici servizi può dunque essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo soltanto con riferimento ad ipotesi in cui le posizioni di diritto soggettivo fatte valere nei confronti della pubblica amministrazione si collochino in un’area di rapporti nella quale essa agisce esercitando il proprio potere autoritativo.

2.2. – La controversia in questione va quindi devoluta al giudice amministrativo, in quanto volta giustappunto ad indurre la pubblica amministrazione ad esercitare il proprio potere di dismissione del bene mediante alienazione. La L. n. 560 del 2003, art. 1 difatti, nel prevedere la cessione in proprietà degli alloggi in questione, si limita a disciplinarne l’assegnazione ai privati, la quale soltanto determina, in uno con l’effetto traslativo, la perdita della qualità pubblica degli alloggi stessi, determinando il passaggio alla fase contrattuale-esecutiva di pertinenza del giudice ordinario (per considerazioni di segno analogo, vedi Cass. 27 febbraio 2012, n. 2962).

3.- Le considerazioni che precedono comportano il rigetto della censura, che determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, concernente l’omesso esame dei fatto decisivo del giudizio costituito dall’espresso riconoscimento da parte dell’Amministrazione dell’alienabilità degli immobili oggetto di causa in un momento anteriore alla proposizione del giudizio. Espresso riconoscimento che, anche se sussistente, non potrebbe introdurre una deroga al regime previsto per legge dinanzi ricostruito.

3.1.- Il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il primo motivo, assorbito il secondo e condanna il contribuente a pagare le spese di lite, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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