Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9574 del 13/04/2017

Cassazione civile, sez. I, 13/04/2017,  n. 9574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17450/2013 R.G. proposto da:

S.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Sergio

Scicchitano, con domicilio eletto in Roma, via Emilio Faà di Bruno,

n. 4, presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SOCIETA’ AEROFOTOGRAMMETRICA NAZIONALE -S.A.N. S.r.l., in

persona del curatore fallimentare Avv. Prof. Francesco Macario,

rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Vincenzo De Sensi, con

domicilio eletto in Roma, piazza Barberini, n. 12, presso il suo

studio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3478/2013,

depositata il 13 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 febbraio 2017

dal Consigliere Dott. Carlo De Chiara;

udito per il ricorrente l’Avv. Maria Raffaella TALOTTA, per delega;

udito per il controricorrente l’Avv. Niccolò BRUNO, per delega;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto dall’ing. S.G. avverso la sentenza 24 maggio 2012, con la quale il Tribunale aveva dichiarato il fallimento della Società Aerofotogrammetrica Nazionale – S.A.N. s.r.l. in liq.ne, di cui il reclamante era socio, a seguito della dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo proposto dalla società.

La Corte, confermato lo stato d’insolvenza di quest’ultima, ha inoltre affermato che, a norma dell’art. 6 L. Fall., la richiesta di fallimento del pubblico ministero può essere formulata con ampia libertà di forme, sicchè era corretta quella adottata nella specie, consistita nell’inserimento della richiesta nel parere negativo reso dal pubblico ministero sulla proposta di concordato; in ogni caso, oltre a tale richiesta sussisteva nella specie anche l’istanza di fallimento di un creditore, la DHL Express (Italy) s.r.l.

La Corte ha altresì respinto le censure rivolte dal reclamante al decreto d’inammissibilità del concordato preventivo, confermando sia la violazione dell’art. 182 L. Fall., in quanto era prevista la liquidazione dell’azienda ad opera dello stesso proponente, grazie al diritto di opzione sull’acquisto della stessa riconosciuto alla società affittuaria; sia la violazione della par condicio creditorum a causa dell’accollo, da parte della medesima società affittuaria, di debiti della S.A.N. verso i propri dipendenti, con previsione di sconto del relativo importo sul prezzo di acquisto dell’azienda opzionata, il che comportava il pagamento preferenziale, con denaro proveniente in definitiva dalla stessa locatrice-debitrice, di tali creditori rispetto agli altri creditori di pari grado o antergati. Nè rilevava, quanto a questo secondo profilo di illegittimità del concordato, la previsione che l’affittuaria non avrebbe avuto diritto al rimborso delle somme versate ai dipendenti in caso di mancato acquisto dell’azienda, dato che restava comunque in sua facoltà procedere all’acquisto stesso – e quindi scontare sul prezzo la somma versata – e che non era previsto il carattere liberatorio dell’accolto. Era pertanto infondata la doglianza del reclamante, secondo cui il Tribunale aveva illegittimamente sindacato il merito della proposta di concordato, essendosi invece i giudici chiaramente attenuti ai limiti del sindacato della c.d. fattibilità giuridica della proposta.

2. L’ing. S. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui ha resistito con controricorso il solo curatore del fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 5 L. Fall., si censura l’accertamento dello stato d’insolvenza della società debitrice.

1.1. Il motivo è inammissibile in base alle considerazioni che seguono, le quali assorbono ogni altra considerazione svolta dal ricorrente.

Va premesso che nella specie, trattandosi di società in liquidazione, lo stato di insolvenza si identifica nell’incapienza patrimoniale, ossia nell’eccedenza del passivo rispetto all’attivo (cfr., da ult., Cass. 07/12/2016, n. 25167; 30/05/2013, n. 13644; 13/07/2011, n. 15442). Il riscontro fattuale di una tale situazione di incapienza costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ebbene, la Corte d’appello ha accertato, tra le altre cose, che la società era indebitata per un importo complessivo superiore ai 13 milioni di Euro, come da essa stessa dichiarato nella proposta di concordato, e che il suo attivo patrimoniale era insufficiente a coprire tali debiti, come accertato dal Tribunale senza specifiche censure del reclamante.

A tali essenziali statuizioni non si contrappongono specifiche contestazioni nel ricorso, che si diffonde invece su aspetti non decisivi. In particolare, non viene contestato – e tanto già basta a segnare la sorte del motivo in esame – che i debiti complessivi ammontavano ad oltre 13 milioni di Euro, nè che l’insufficienza dell’attivo a coprire tale cifra, accertata dal Tribunale, non era stata specificamente contestata con il reclamo. Anzi, nel ricorso si sottolinea che da un documento versato in atti (la relazione dell’attestatore del piano di concordato) risultava l’esistenza di un attivo pari a 10.319.938 Euro, dunque una somma inferiore al passivo sopra indicato.

Nella memoria, per il vero, il ricorrente deduce che l’attivo ammontava ad oltre 14 milioni di Euro; ma tale deduzione è, a tacer d’altro, tardiva, atteso che la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. ha la funzione di illustrare ulteriormente le censure già esposte con il ricorso, non certo di modificarne o integrarne il contenuto.

2. Con il secondo motivo viene censurata la conferma della inammissibilità del concordato.

Denunciando vizio di motivazione e violazione degli artt. 6 e 7 L. Fall., dell’art. 101 cod. proc. civ. e degli artt. 24 e 111 Cost., si lamenta che la Corte abbia equiparato ad una valida richiesta di fallimento il semplice parere negativo sulla proposta di concordato preventivo, con conseguente richiesta di dichiarazione del fallimento, espresso oralmente dal P.M. intervenuto all’udienza di cui all’art. 162, comma 2, L. Fall. Si sostiene che, invece, la richiesta di fallimento formulata dal P.M. deve avere la forma del ricorso, che può essere presentato, inoltre, solo a seguito di segnalazione – nella specie insussistente – dello stato di insolvenza proveniente da una delle fonti indicate dall’art. 7 L. Fall.. La stessa istanza della creditrice DHL – si aggiunge – era irrilevante perchè “se il fallimento è stato dichiarato sulla base di una istanza inesistente, il procedimento risulta di per sè viziato”.

2.1. Il motivo è infondato.

2.1.1. Il pubblico ministero deve essere informato della proposta di concordato (art. 161, comma 5, L. Fall.) per consentire la sua partecipazione al procedimento. Le modalità di tale partecipazione non sono previste dalla legge fallimentare, ma certamente esse possono consistere nella presenza all’udienza rassegnando nella stessa conclusioni orali, come del resto avviene di regola negli ordinari procedimenti civili.

Tra le udienze che il giudice fissa nell’ambito della procedura di concordato vi è quella di cui all’art. 162, comma 2, L. Fall. per l’audizione del debitore in vista dell’eventuale declaratoria d’inammissibilità del concordato stesso. A tale udienza, dunque, il pubblico ministero può partecipare rassegnando le proprie conclusioni a verbale.

Non vi è ragione per escludere che dette conclusioni possano comprendere non soltanto la valutazione negativa sulla proposta concordataria, ma altresì la conseguente richiesta di dichiarazione del fallimento qualora emerga dagli atti una situazione di vera e propria insolvenza, e non di semplice crisi reversibile, dell’impresa debitrice. Negarlo, pretendendo che il pubblico ministero debba attendere la declaratoria dell’inammissibilità del concordato, per poi presentare un ricorso da notificare al debitore in vista di una nuova udienza fissata ai sensi dell’art. 15 L. Fall., significa negare le speciali esigenze di rapidità e concentrazione che sono, invece, alla base della procedura fallimentare e delle procedure concorsuali in genere; esigenze che inoltre non configgono, in tal caso, con quelle del contraddittorio e del diritto di difesa del debitore, il quale ben può contraddire e difendersi all’udienza stessa. Del resto questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che la dichiarazione del fallimento può essere pronunciata anche all’esito della stessa udienza in cui si è proceduto all’audizione del debitore ai sensi dell’art. 162, comma 2, L. Fall. (cfr. Cass. 22/05/2014, n. 11423; 18/12/2015, n. 25587; 22/06/2016, n. 12957), data la stretta connessione tra proposta di concordato e istanza o richiesta di fallimento, nonchè tra decreto di inammissibilità del primo e dichiarazione del secondo, al punto che entrambe le statuizioni possono essere contenute in un unico provvedimento (cfr. Cass. 05/06/2009, n. 12986, nonchè Cass. Sez. U. 15/05/2015, n. 9935).

Nè può condividersi l’osservazione del ricorrente secondo cui, “essendo il P.M. parte processuale alla stregua dei creditori o del debitore, deve avanzare formale richiesta di fallimento alle stesse condizioni e con le stesse forme impartite per gli altri soggetti non riconoscendosi alcun privilegio di sorta”. Come si è già rilevato, infatti, rassegnare conclusioni oralmente all’udienza è la modalità ordinaria di partecipazione del pubblico ministero al processo, e in tale modalità non si è mai ravvisato un privilegio essendo essa funzionale, invece, all’ordinato e celere svolgimento del processo, nonchè pienamente rispettosa del contraddittorio e del diritto di difesa della altre parti.

La richiesta di fallimento del pubblico ministero, contemplata nell’ultimo periodo dell’art. 162, comma 2 L. Fall., trova dunque la sua compiuta disciplina nell’ambito della procedura di concordato preventivo e non è disciplinata dall’art. 7 L. Fall., che si riferisce alla diversa ipotesi in cui la richiesta del pubblico ministero introduca un autonomo procedimento prefallimentare (l’autonomia della previsione della richiesta di fallimento del pubblico ministero nell’ambito della procedura di concordato preventivo, rispetto alla previsione di cui all’art. 7, è stata già affermata da questa Corte, con riguardo alla revoca del concordato ai sensi dell’art. 173, nella sentenza 24/04/2014, n. 9271). Peraltro la richiamata disciplina di cui all’art. 162 è conforme alla ratio dell’art. 7, in quanto il pubblico ministero apprende dell’insolvenza appunto nel corso di un distinto procedimento, quello di concordato, del quale viene informato ai sensi dell’art. 161, comma 5.

Può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: alla richiesta di fallimento formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 162, comma 2, L. Fall. quale conseguenza dell’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, non si applica il disposto dell’art. 7, alla cui ratio, peraltro, anche la specifica disciplina della richiesta in questione si conforma.

2.1.2. Resta assorbita la censura riguardante la seconda delle due autonome rationes decidendi – quella incentrata sulla sussistenza anche di una istanza di parte – che sorreggono l’accertamento della sussistenza di una valida iniziativa per la dichiarazione del fallimento.

3. Il terzo motivo di ricorso ha per oggetto la dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, anch’essa basata dai giudici di merito su due distinte ed autonome rationes decidendi: a) l’illegittimità delle modalità previste per la liquidazione dell’azienda; b) la violazione della par condicio creditorum insita nell’accollo e pagamento, da parte della società affittuaria dell’azienda, di debiti della S.A.N. verso i propri dipendenti, con previsione di sconto del relativo importo sul prezzo di acquisto dell’azienda opzionata.

Denunciando vizio di motivazione e violazione degli artt. 162 e 182 L. Fall., il ricorrente contesta la prima ratio deducendo l’erronea interpretazione del novellato art. 182 L. Fall., il quale lascia invece al debitore ampia libertà di regolare la liquidazione; contesta inoltre la seconda ratio lamentando il superamento dei limiti posti dalla legge alle valutazioni di competenza del giudice ín ordine al piano concordatario, le quali non possono riguardare la fattibilità economica, di cui invece i giudici di merito avevano finito col giudicare censurando la clausola di accollo dei debiti verso i dipendenti da parte della società affittuaria e possibile acquirente dell’azienda.

3.1. La censura riguardante quest’ultima ratio decidendi è manifestamente infondata.

Si sostiene dal ricorrente che i giudici di merito abbiano compiuto una inammissibile valutazione in merito alla convenienza della proposta di concordato e alla fattibilità del piano.

In primo luogo, invece, è escluso che la Corte d’appello abbia espresso alcuna valutazione di fattibilità economica del piano di concordato, la quale consiste nella prognosi circa la realizzabilità in concreto del piano concordatario: giudizio prognostico che manca del tutto nella sentenza impugnata. Ma è altresì errato che i giudici di appello abbiano sindacato la convenienza della proposta per il ceto creditorio: essi invece si sono limitati a valutare che la proposta, per come articolata, violava la par condicio creditorum, la quale è un principio giuridico e non un criterio di opportunità. Sicchè, se di giudizio di fattibilità si vuole parlare, si tratta di quella che viene definita “fattibilità giuridica” (nel senso, in buona sostanza, di legittimità della proposta e del piano), non già della fattibilità economica.

Va aggiunto, per completezza, che non possono essere prese in considerazione le critiche che alla accertata sussistenza della violazione del principio della par condicio creditorum il ricorrente muove nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. Si tratta, invero, di censure nuove rispetto a quella articolata nel ricorso (consistente, come si è visto, nella sola denuncia dell’eccedenza della valutazione operata dai giudici di appello rispetto ai loro poteri, non della infondatezza della stessa) e che la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., come si è già osservato, è destinata soltanto ad illustrare, non certo ad integrare o modificare.

3.2. Le censure attinenti alla seconda delle due rationes decidendi sopra indicate sono assorbite.

4. Il ricorso va in conclusione respinto.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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