Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9569 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 25/05/2020), n.9569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30982/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3539/01/2018 della Commissione tributaria

regionale della SICILIA, depositata il 30/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi di lavoro autonomo per l’anno di

imposta 2009, emersi a seguito di verifica delle movimentazioni dei conti correnti intestati al contribuente, la CTR con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto da quest’ultimo ed annullava l’avviso di accertamento ritenendo difettasse la delega di firma in capo al funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo e che la presunzione legale di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, non operasse nei confronti dei lavori autonomi.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di due motivi, cui non replica l’intimato.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, artt. 112 e 115 c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, sostenendo che aveva errato la CTR nel ritenere che nei confrotni dei lavoratori autonomi non operasse la presunzione legale poste dai citati D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51.

2. Il motivo è manifestamente fondato e va accolto.

3. E’ orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, come ribadito da ultimo da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22931 del 26/09/2018 (v. anche Cass. n. 16440 del 2016, n. 19806 e n. 19807 del 2017), quello secondo cui “In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti”.

3.1. Peraltro, la manifesta erroneità della tesi sostenuta dai giudici di appello emerge in maniera evidente dal principio giurisprudenziale secondo cui “la limitazione (…) dell’ambito applicativo della disciplina in esame ai soli soggetti “esercitanti attività d’impresa commerciale, agricola, artistica o professionale” è priva di qualsivoglia riscontro normativo” (Cass. n. 22514 del 2013), ribadito anche da Cass. n. 2432 del 31/01/2017 secondo cui “La presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art. 32, anche al medesimo D.P.R., art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari)” (in termini già Cass. n. 19692 del 2011, in motivazione; conf. anche Cass. n. 29572 del 2018).

3.2. Ne consegue che la statuizione impugnata, che a tali principi non si è attenuta, va cassata con rinvio alla CTR che rivaluterà la vicenda processuale tenendo conto, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari a carico di lavoratori autonomi, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, in materia di IVA, consentendo di riferire a redditi imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo, e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017).

4. E’ fondato anche il secondo motivo di ricorso con cui la difesa erariale censura la sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

5. La CTR ha annullato l’avviso di accertamento per difetto di delega in capo al funzionario che l’aveva sottoscritto, affermando che “del tutto assorbente risulta, comunque, la circostanza della mancata validità della delega eccepita già nel primo grado del giudizio e ribadita nell’appello del contribuente”.

5.1. Trattasi, come correttamente censurato dalla difesa erariale, di motivazione meramente apparente.

5.2. Invero, la motivazione posta a sostegno della decisione deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), in quanto i giudici di merito in punto di verifica della validità della delega di firma, si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del giudizio valutativo dei fatti dimostrati in giudizio, senza, tuttavia, evidenziare le premesse logiche ed il discorso argomentativo attraverso il quale è stato possibile pervenire a tale conclusione. Nel formulare una statuizione meramente assertiva, in cui si risolve l’affermazione sopra trascritta, i giudici di appello omettono di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali elementi ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. In definitiva quello in esame è un tipico esempio di abdicazione all’obbligo imposto al Giudice di rappresentare compiutamente gli elementi di fatto e le ragioni sui quali si è formato il proprio convincimento.

5.3. E’ noto che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che, come nel caso in esame, contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

5.4. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

6. Peraltro, la statuizione impugnata non sembra neppure conforme all’orientamento recentemente espresso da questa Corte in materia, secondo cui “La delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente D.P.R. n. 600 del 1973, ex all’art. 42, comma 1, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione nè del nominativo del soggetto delegato, nè della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019, Rv. 653352; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414).

7. Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per nuovo esame alla stregua dei superiori principi giurisprudenziali e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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