Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9569 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/04/2017, (ud. 15/02/2017, dep.13/04/2017),  n. 9569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9625/2012 proposto da:

Comune di Caldonazzo, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato

in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

J.W., elettivamente domiciliato in Roma, Via F.

Confalonieri n. 5, presso l’avvocato Di Mattia Salvatore, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Provincia Autonoma di Trento;

– intimata –

e contro

Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente della Giunta

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 11,

presso l’avvocato Stella Richter Paolo, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Manica Monica, Pedrazzoli Nicolò, giusta

procura speciale Rep. n. (OMISSIS) – Racc. n. (OMISSIS), autenticata

dalla Dott.ssa S.G. – Direttore dell’Ufficio Contratti ed

Approvvigionamenti della Provincia;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

J.W., elettivamente domiciliato in Roma, Via F.

Confalonieri n.5, presso l’avvocato Di Mattia Salvatore, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Comune di Caldonazzo;

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 19/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito, per il controricorrente J., l’Avvocato S. Di Mattia che ha

chiesto il rigetto dei ricorsi principale e incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale Provincia

Autonoma di Trento, l’Avvocato P. Stella Richter che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità o rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

J.W. convenne in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Trento il Comune di Caldonazzo e la Provincia Autonoma di Trento, chiedendo la determinazione dell’indennità per l’espropriazione, disposta il 23 ottobre 2009, della porzione di mq. 160 della sua proprietà, ritenendo iniqua quella offerta, perchè valutata dalla Provincia come edificabile, ma determinata mediando il valore agricolo e quello di mercato e senza considerare che l’esproprio comportava la soppressione di due posti auto e la riduzione dell’area a giardino dell’abitazione. La Corte adita, con la sentenza indicata in epigrafe, ritenne, per quanto d’interesse, che: a) l’area andava qualificata, a fini espropriativi, come edificabile, L.P. 19 febbraio 1993, n. 6, ex art. 14; b) il criterio previsto dall’art. 3, comma 4, del Regolamento 26/10/2009, n. 24, emanato in attuazione della suddetta disposizione, secondo cui il valore della pertinenza o dell’area satura non poteva superare il 50% del valore della medesima area fabbricabile, andava disapplicato, perchè illegittimo e non conforme ai principi di rango costituzionale vigenti in materia e posti dalla CEDU, in quanto comportava che l’indennità in tal modo calcolata non solo non si poneva in rapporto ragionevole con il valore venale del bene ma implicava una valutazione del tutto astratta e sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato; c) l’indennità andava calcolata in misura pari al valore venale del bene quantificato dalla struttura provinciale competente, e confermato dal CTU, pari ad Euro 420,00 al mq ed a complessivi Euro 67.200,00.

Per la cassazione di tale sentenza, ricorrono, in via principale, il Comune di Caldonazzo con quattro motivi ed, in via incidentale, la Provincia Autonoma di Trento, con un mezzo. L’espropriata resiste con distinti controricorsi. La Provincia e la W. hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione all’accertata natura edificabile dell’area espropriata. La Corte, afferma il ricorrente, dà per acquisita la natura edificabile dell’area, affermando, al contempo, di condividere la specificazione adottata dal CTU, che l’ha definita come edificata, ponendo l’alternativo inquadramento di area edificata satura ovvero di area pertinenziale.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L.P. n. 6 del 1993, artt. 13, 14 e 15. Posto che secondo gli accertamenti del CTU è rimasta esclusa l’espropriazione parziale, assumeva valenza dirimente la destinazione urbanistica delle aree ablate, costituenti piazzale e giardino annessi all’edificio residenziale che la Corte aveva considerato pertinenziale e quindi edificata, tanto più che la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo cui, a fini indennitari la pertinenza è autonoma rispetto al bene principale.

3. Col terzo motivo, si deduce che, nel disapplicare il regolamento approvato il 26.10.2009, la Corte trentina è incorsa nella violazione della L. n. 2248, art. 5, all. E e della L.P. n. 6 del 1993, art. 14, il cui comma 4, demanda ad un regolamento di attuazione la determinazione dei criteri di stima riferiti alle pertinenze ed alle aree a ridotta potenzialità edificatoria, il cui parametro è stato pretermesso, in violazione in proprio, dei principi di specificità e ragionevolezza, che impongono di non parificare a fini indennitari un’area edificabile ed una del tutto priva di attitudine edificatoria.

4. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati i primi due e fondato il terzo. 5. Occorre rilevare che la L.P. n. 6 del 1993, ha distinto, all’art. 11, le modalità di determinazione dell’indennità di espropriazione tra aree non edificabili, edificabili ed edificate, precisando che tale distinzione vale esclusivamente ai fini indennitari ed è ininfluente sulla disciplina legislativa ed amministrativa degli interventi sul territorio. Avvalendosi della sua competenza legislativa primaria nella materia (cfr. Corte Cost. 20/5/2014 n. 187), la legge provinciale ha, dunque, prescelto all’art. 12, un peculiare criterio di classificazione dei suoli, fornendo una specifica elencazione delle aree non edificabili, in quattro categorie (quelle vincolate dai piani urbanistici in vigore al mantenimento in via principale della destinazione agricola, silvo-pastorale e improduttiva; b) quelle soggette a particolari vincoli connessi alla sicurezza idrogeologica del territorio ed alla tutela dei beni storico-artistici, archeologici e paesaggistico-ambientali; c) quelle di rispetto cimiteriale; d) la viabilità nonchè le aree destinate agli impianti di risalita e alle piste da sci, insistenti sulle aree sopra definite), individuando, poi, le aree edificabili nella categoria generale e residuale nella quale sono, appunto, incluse tutte “quelle aventi una destinazione urbanistica diversa” ed indicando, infine, quali “aree edificate quelle sulle quali insistono costruzioni e le loro strette pertinenze”. L’art. 14 ha quindi rinviato ad un regolamento (previsto del resto anche dall’art. 37, comma 5 T.U. espropriazioni) anche per “definire specifiche modalità di calcolo per la determinazione del valore venale delle aree a ridotta potenzialità edificatoria, quali la stretta pertinenza e le aree su cui sorgono costruzioni”, regolamento che è stato approvato con D.P.P. n. 24 del 2009, e che all’art. 3, comma 3, lett. a, ha preso in considerazione l’ipotesi in cui “la superficie da espropriare è parte di un’area satura” disponendo in tal caso, come in quello in cui l’area sia destinata a “stretta pertinenza”, che il suo valore venale “non può superare il 50 per cento del valore venale calcolato per la medesima area edificabile, libera e con cubatura pari all’indice medio della zona edificata circostante, se al momento della valutazione estimativa l’area oggetto di espropriazione è compresa in un’area edificata”.

6. A tale stregua, risulta evidente, da una parte, che la destinazione urbanistica dell’area ablata è in sè irrilevante, essendo la scelta del legislatore provinciale volta a conferire l’edificabilità legale a tutte le aree che non ricadano nell’ambito delle quattro categorie escluse, laddove risulta accertata la natura pertinenziale del suolo espropriato (cortile e giardino dell’edificio residenziale), essendo la qualifica di area satura riferita all’intero lotto, non potendo, peraltro, non rilevarsi che la distinzione è priva di interesse, ai fini qui in rilievo, tenuto conto che le due tipologie sono indennizzate secondo il medesimo criterio (50% del valore venale come calcolato in base alla disposizione regolamentare menzionata).

7. La disapplicazione della disposizione regolamentare incorre, invece, nella censura che le è stata rivolta. Disatteso, anzitutto, l’eccepito difetto di autosufficienza, essendo stati esposti i dati fattuali necessari alla comprensione della vicenda e trattandosi di questione di diritto, deve escludersi che la norma regolamentare abbia inteso istituire un criterio di stima riduttivo ed astratto, in contrasto con quello del valore venale posto dai principi enunciati dalla Corte EDU e dalla Corte Costituzionale cui si ispira lo stesso art. 14 della L.P., al quale, al contrario, ha dato attuazione, individuando specifici parametri e modalità di calcolo dell’effettiva edificabilità dell’area espropriata (comma 3) e cioè provvedendo a conferire un parametro di edificabilità di fatto che diversamente le aree non avrebbero avuto: sull’edificabilità attribuita direttamente dalla legge (ovvero dagli strumenti urbanistici) incide, infatti, in misura determinante proprio l’edificabilità effettiva – quale attitudine del suolo ad essere concretamente destinato a fini edificatori – tanto che la stessa può venir ridotta o addirittura esclusa quando le realizzazioni edilizie siano precluse dall’insufficiente dimensione dell’area, o dall’esaurimento per le costruzioni realizzate, degli indici di fabbricabilità della zona perciò resa “satura”, o dalla distanza da opere pubbliche limitrofe e più in generale da altre condizioni o limiti (posti anche dagli strumenti di terzo livello) che ne riducono dunque o addirittura escludono la commerciabilità sul mercato come aree edificatorie. 8. Proprio a queste tipologie di aree legalmente edificabili si è rivolto l’art. 3, commi 3-6 del Regolamento, prendendo in considerazione (per quanto qui interessa), nel comma 4, il caso della pertinenza, il cui valore venale non può superare il “50 per cento del valore venale calcolato per la medesima area edificabile, libera e con cubatura pari all’indice medio della zona edificata circostante” se, come nella specie, “al momento della valutazione estimativa l’area oggetto di espropriazione è compresa in un’area edificata” (e nella specie il lotto costituisce un’area edificata satura, priva di potenzialità edificatoria in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti), ed escludendo in base al sistema più favorevole ai proprietari espropriandi da una parte l’autonoma valutazione delle pertinenze propria del sistema nazionale, e comunque l’assimilazione del prezzo commerciale a quello delle aree inedificabili suggerito dalle caratteristiche di tale tipologia di terreni in riferimento all’intero lotto: il previsto indennizzo non riflette dunque, un valore ridotto rispetto alle caratteristiche reali ed al giusto prezzo di mercato dell’area, ma un plusvalore ai soli fini indennitari da ricercare esclusivamente in base al parametro specificamente individuato, di cui è stato fissato il limite massimo non superabile dalle parti e dal giudice, titolari invece del potere discrezionale di determinarlo all’interno di tale limite.

9. Resta da aggiungere che il dubbio di costituzionalità del sistema, sollevato in via subordinata, dalla controricorrente, per violazione della riserva di legge, appare manifestamente infondato, tenuto conto le disposizioni impugnate si limitano a rinviare alla fonte secondaria per la normativa di dettaglio (che si è vista più favorevole per l’espropriato della disciplina statale) e non sussistendo la dedotta riserva assoluta di legge nella materia in esame.

10. L’impugnata sentenza, che non si è attenuta ai predetti principi va, in conclusione, cassata, restando assorbita ogni altra questione, con rinvio alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà alla rideterminazione dell’indennità di esproprio attenendosi ai principi esposti, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il primo ed il secondo motivo, accoglie il terzo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trento, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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