Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9567 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/04/2017, (ud. 07/02/2017, dep.13/04/2017),  n. 9567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) coop. a r.l., in persona del l.r.p.t. B.M.,

anche in proprio, rappr. e dif. dall’avv. Elisabetta Costa e

dall’avv. Geraldine Pagano, elett. dom. in Roma, preso lo studio

della seconda, in Largo della Gancia n. 1, come da procura calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) coop. a r.l., in persona del cur. fallim. p.t.,

rappr. e dif. dall’avv. Mara Avancini, elett. dom. in Roma, presso

lo studio dell’avv. Maria Luisa De Rose, alla via Di Villa Severini

n. 54, come da procura in calce all’atto

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Milano 5 luglio 2013, n.

2754/2013 in R.G. 1130/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 7 febbraio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

udito l’avvocato M. Avancini per il controricorrente;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) coop. a r.l ed anche il suo legale rappresentante in proprio ( B.M.) impugnano la sentenza App. Milano 5.7.2013, n. 2754 in R.G. n. 1130/2013 con cui è stato rigettato il proprio reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della cooperativa, già resa da Trib. Milano 1.3.2013, n. 212/13 su istanza di M.F..

2. Ritenne la corte d’appello che: a) non c’erano stati vizi nel procedimento di notifica L. Fall., ex art. 15, benchè l’istanza fosse stata denominata come precetto (in realtà coincideva con il ricorso del creditore), nè la notifica era errata (essa era avvenuta ai sensi dell’art. 143 c.p.c., alla legale rappresentante, posta la infruttuosità del tentativo presso la sede sociale e alla residenza); b) la cooperativa aveva svolto in concreto e sistematicamente attività commercialè, nel settore della compravendita dei libri d’arte e con intermediazione di servizi di consulenza aziendale e marketing, a nulla rilevando l’iscrizione all’Albo nazionale delle cooperative e la certificazione del MISE, mancando perciò ogni attinenza con l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate; c) a seguito di attività ispettive della Guardia di Finanza la cooperativa era stata dichiarata decaduta dalle agevolazioni proprie dei soggetti svolgenti attività mutualistica; d) l’insolvenza a sua volta non era contraddetta dalla sussistenza di un solo creditore istante, posto che si erano insinuati crediti per oltre 1 milione e 82 mila Euro in privilegio e quasi 800 mila Euro in chirografo, con esposizione verso i dipendenti, omesso versamento di ritenute al 31.12.2012, avvisi di accertamento nel frattempo pervenuti per le annualità 2007-2008 con contestazioni di oltre 8,3 milioni e rispettivamente oltre 22,6 milioni di Euro, mentre l’unico attivo erano opere d’arte di difficile valutazione e senza rilevanza dei valori di libro delle stampe, mancando atti certi sui prezzi d’acquisto di altri beni.

3. Il ricorso è su tre motivi, ad esso resistendo con controricorso il fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., avendo la società fallita subito il procedimento notificatorio dell’istanza di fallimento ai sensi dell’art. 143 c.p.c., in capo alla legale rappresentante, ma senza che previamente fossero stati adempiuti validamente gli altri incombenti della notifica diretta alla società ex art. 140 c.p.c., in contraddizione con la circostanza che questo secondo procedimento risultava esperito con successo con riguardo alla sentenza di fallimento poi così notificata.

2. Con il secondo, motivo si censura l’errato riconoscimento dei requisiti di fallibilità della cooperativa sociale a prevalente scopo, mutualistico, ai sensi degli artt. 2511 c.c. e segg. e L. n. 381 del 1991, art. 1, come emerge dallo statuto e dai bilanci, dalla certificazione del MISE e dal relativo parere.

3. Con il terzo motivo si contesta la violazione della L. Fall., art. 5, in punto di insolvenza e di equilibrio, che vi sarebbe stato, tra attivo e passivo.

4. Il primo motivo è infondato. Dalla sentenza impugnata emerge che l’istanza di fallimento e il decreto di convocazione camerale erano stati inutilmente oggetto di notifica già tentata dal creditore presso la sede legale della società, rinvenuta “chiusa e inoperativa”, con analoga infruttuosità dell’adempimento presso la residenza anagrafica in (OMISSIS) della legale rappresentante, che “da informazioni assunte in loco risulta da anni trasferita altrove”, secondo la relata dell’ufficiale giudiziario, ciò determinando – come riconosciuto dai ricorrenti – il rinvio dell’udienza prefallimentare ad una terza convocazione, autorizzata dal giudice ed espletata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., alla amministratrice. Tali circostanze comprovano la correttezza dell’iter seguito, in relazione al procedimento notificatorio imposto per le società dall’art. 145 c.p.c. (Cass. 1165/2017), poichè il rito proprio della notifica a persone di residenza dimora o domicilio sconosciuti è oggetto di espresso richiamo da parte dell’u.c. art. cit., che rinvia all’art. 143 c.p.c., in capo alla persona fisica che rappresenti l’ente, senza dunque imporre un adempimento ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in capo alla società, per la quale, anche nel caso concreto, vi era stato un verbale di “vane ricerche” (Cass. 19457/2012, 6693/2012). Nè assume alcun rilievo la circostanza della materiale ricezione della successiva sentenza di fallimento, notificata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., alla società, la cui effettiva ricezione ha solo determinato l’effetto pratico di una sanatoria di un procedimento peraltro – non previsto dall’art. 145 c.p.c. e comunque attiene a vicende non storicamente coincidenti con quelle di cui ha dato atto l’ufficiale giudiziario all’epoca dell’instaurazione del procedimento L. Fall., ex art. 15, come conseguente a ricerche ordinarie condotte in loco e non altrimenti contestate dalle parti.

5. Il secondo motivo è infondato. Anche la corte d’appello ha correttamente opposto ai dati formali dell’iscrizione della cooperativa all’albo nazionale e alla certificazione del MISE i risultati di un’indagine concernente la natura dell’effettiva attività svolta, unitamente alla sua incidenza connotativa sui requisiti di mutualità ovvero anche commercialità. Quest’ultima è stata pienamente provata non solo per la totale estraneità di complesse e onerose operazioni speculative di acquisto e rivendita di oggetti d’arte (per oltre 1 milione di Euro) rispetto alla pretesa vocazione mutualistica (oltre che con le finalità del reinserimento lavorativo di persone svantaggiate), ma altresì in virtù delle proporzioni di rischio assunte con riguardo alla intermediazione di servizi di consulenza aziendale e marketing, procurati da terzi e poi ricollocati nel mercato, come poi censurato dall’Agenzia delle Entrate in sede di contestazione di decadenza dalle agevolazioni di settore. Va pertanto ricordato che “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in una società cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci”. Tant’è che “anche tale società ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art. 2545 terdecies c.c.” (Cass. 6835/2014, 14250/2016). Va solo aggiunto, con riguardo al caso di specie, che a maggior ragione la predetta commercialità risulta esattamente affermata allorchè, prescindendo dalle enunciazioni dell’oggetto sociale e dai requisiti iscrizionali, nonchè dal parere ministeriale (elementi non vincolanti), l’attività dell’ente – indagata ai fini fallimentari in contraddittorio con i creditori – risulti contaminata da rilevanti operazioni che, per natura e complessità, appaiano incompatibili con lo scopo mutualistico. Esse oltretutto, nella vicenda, non risultano nè ipotizzate di una qualche strumentalità occasionale rispetto alle principali finalità dell’ente, nè circoscritte a singole deviazioni di gestione ed in realtà appaiono, nell’accertamento condotto dal giudice di merito, prive di qualunque giustificazione rispetto alla rivendicata esenzione concorsuale.

6. Il terzo motivo è inammissibile. La censura si risolve, al di là della sua rubrica, nella denunzia di un vizio di motivazione e, pur osservandosene l’erroneità per un profilo (ove invoca, nella sostanza, il criterio patrimonialistico nello scrutinio dell’insolvenza, ma non lo raccorda ad uno stato anche formale di liquidazione dell’ente), se ne ravvisa l’inammissibilità. Invero “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. s.u. 8053/2014).

Il ricorso va dunque rigettato, con disciplina delle spese regolata alla stregua del criterio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 10.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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