Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9566 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/04/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 22/04/2010), n.9566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., C.L., S.P.,

G.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che li rappresenta

e difende, giusta mandato a margine dei controricorsi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 950/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/06/2006 r.g.n. 1320/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato GIOVANNI GENTILE per delega MASSARA SIGILLO’

GIUSEPPE;

udito l’Avvocato ANTONELLA MARRAMA per delega ENRICO LUBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per: inammissibilità per C. e

M. e rigetto per gli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi al Tribunale di Firenze, quale giudice del lavoro, i nominativi in epigrafe indicati avevano chiesto l’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con Poste Italiane s.p.a. successivamente alla data del 30 aprile 1998, ai sensi dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi prodotti e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”;

con la conseguente conversione dei relativi rapporti a tempo indeterminato e quindi con la condanna della società a riammettere in servizio i lavoratori ricorrenti, pagando loro, a titolo di risarcimento danni, le retribuzioni medio tempore perdute.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 28 giugno 2006, riuniti i procedimenti, ha respinto gli appelli della società avverso le sentenze del Tribunale che aveva accolto le domande di declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, dichiarando intercorso tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, rispettivamente dal (OMISSIS) per C.L., dal (OMISSIS) per M.A., dal (OMISSIS) per S.P. e dall'(OMISSIS) per G.E. e condannando la società a riammettere i lavoratori in servizio e a risarcire loro i danni dalla data in cui avevano offerto la prestazione.

Avverso tale sentenza, la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo la violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, nonchè degli artt. 1362 e ss. c.c. e l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo nella interpretazione dell’accordo collettivo del 25.9.97, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. 1994.

Alle domande della società hanno resistito, con un unico controricorso, S.P., C.L. ed G.E. e con altro atto difensivo M.A..

Con memoria ai sensi dell’art 378 c.p.c. la società ha chiesto la dichiarazione della cessazione della materia del contendere con C.L. e con M.A., avendo con questi controricorrenti raggiunto in sede sindacale un accordo transattivo della vicenda, che ha depositato; con compensazione delle spese di questo giudizio. Nei confronti dei restanti due intimati la società ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Anche G.E. e S.P. hanno depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata la cessazione della materia del contendere tra Poste Italiane s.p.a. e C.L. nonchè tra la medesima società e M.A., a seguito della intervenuta conciliazione in sede sindacale tra tali parti; con compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione, nello spirito di tale accordo.

Con riguardo agli altri intimati il ricorso è infondato.

In proposito, nonostante l’erroneità dell’affermazione per cui la posizione di un termine di efficacia sarebbe connaturale alla causale individuata, sulla base dell’autorizzazione contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, dall’accordo sindacale del 1997 integrativo del C.C.N.L. per i dipendenti delle Poste Italiane e utilizzata nei contratti in esame, ciò non comporta l’accoglimento in proposito del ricorso, in quanto la Corte territoriale ha poi comunque individuato negli accordi attuativi del 1997 e 1998 citati in sentenza, l’imposizione di un termine alla causale relativa alle esigenze legate alla ristrutturazione aziendale, accertando che tale termine era scaduto il 30 aprile 1998.

Al riguardo, va ricordato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

Nel caso in esame, come ricordato anche dalla ricorrente, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo dell’art. 8, 2 comma del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi accordi attuativi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, ha ripetutamente confermato, con orientamento ormai consolidato, le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati in base alla previsione di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 e cassato le poche decisioni di segno opposto.

Pur negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive previste dai contraenti collettivi a ciò autorizzati dalla L. n. 56 del 1987, la necessità che quella di cui all’accordo in questione debba essere istituzionalmente contenuta in limiti temporali predeterminati, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito secondo cui, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e ai successivi accordi attuativi sottoscritti in data 16 gennaio 1998 e in data 27 aprile 1998, le parti avevano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza della situazione descritta nell’accordo integrativo unicamente fino al 31 gennaio e poi fino al 30 aprile 1998, per cui, per far fronte alle esigenze in tale sede indicate, l’impresa poteva procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale data.

Tale uniforme giurisprudenza di questa Corte ha infatti rilevato che siffatta interpretazione:

– non viola il canone ermeneutico che rimanda al significato letterale degli accordi, laddove questo è stato valutato dai giudici di merito come evidente ed univoco e quindi non necessitante di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti;

– è comunque rispettosa del canone di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, in quanto ritenendo che gli accordi attuativi non avrebbero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, essi risulterebbero privi di un qualunque utile effetto;

– appare altresì corretta laddove ha ritenuto irrilevante, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga e quindi quando il diritto del lavoratore alla stabilità del rapporto si era già perfezionato.

Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi in questa sede, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nelle difese della ricorrente sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti (ancorchè, venendo in considerazione intese sindacali non riconducibili a veri e propri contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, esse non possano costituire oggetto di diretta interpretazione da parte di questa Corte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come integrato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

La decisione impugnata, relativa all’accertata illegittimità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro dei resistenti per la causale individuata dall’accordo 25 settembre 1997 integrativo del C.C.N.L., in quanto stipulati successivamente alla data del 30 aprile 1998, si sottrae pertanto alle censure svolte dalla ricorrente, sopra riassunte.

Infine, in via subordinata, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 210 e 421 c.p.c., avendo la Corte omesso ogni decisione in ordine all’istanza di esibizione della documentazione utile a consentire la corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti medio tempore dagli originari ricorrenti per le attività svolte alle dipendenze o nell’interesse di terzi.

Anche tale censura è infondata, avendo i giudici di merito evidentemente ritenuto l’istanza di natura meramente esplorativa, senza che fosse stato dedotto specificatamente il fatto da provare attraverso la richiesta, del resto non indicato specificatamente neppure in questa sede, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso nei confronti di S. e di G. è infondato e va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, operato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di C. e di M., compensando le relative spese; rigetta nel resto il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai resistenti le spese di questo giudizio, liquidate complessivamente in Euro 36,00 per spese ed Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

 

 

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