Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9566 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/04/2017, (ud. 03/02/2017, dep.13/04/2017),  n. 9566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26022/2012 R.G. proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dagli Avv. Antonio D’Auria

e Fabio D’Auria, con domicilio eletto in Roma, via di Santa

Costanza, n. 27, presso lo studio dell’Avv. Elisabetta Marini;

– ricorrente –

contro

L.A. e M.S., in qualità di eredi di

M.D., AP.AG. e GAMBOGI COSTRUZIONI S.P.A., in

qualità di mandataria dell’A.T.I. con le società CHINI E TEDESCHI

S.P.A., GRASSETTO COSTRUZIONI S.P.A., FIORONI S.P.A., ING.

N.F. S.R.L. e PIZZAROTTI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 392/12

depositata il 12 aprile 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 febbraio 2017

dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’Avv. Fabio D’Auria;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.G., già proprietario di un fondo della superficie di mq. 795 sito in (OMISSIS), sul quale insistevano un villino ed altri manufatti, convenne in giudizio la Gambogi Costruzioni S.p.a., in qualità di mandataria dell’A.T.I. costituita con le società Chini e Tedeschi S.p.a., Grassetto Costruzioni S.p.a., Fioroni S.p.a., Ing. N.F. S.r.l. e Pizzarotti S.p.a., nonchè gli ing. Ap.Ag. e M.D., per sentirli condannare tutti al risarcimento dei danni cagionati dall’arbitraria occupazione e demolizione del fabbricato, e l’ Ap. anche al risarcimento dei danni per la distruzione dei beni mobili affidati alla sua custodia.

Premesso che l’area pertinenziale del villino ed i manufatti ivi esistenti avevano costituito oggetto di espropriazione parziale per la costruzione della linea ferroviaria a monte del Vesuvio, e precisato che il relativo decreto, emesso 6 il ottobre 1990, nulla aveva disposto in ordine ai manufatti insistenti sull’area non espropriata, l’attore sostenne che, sulla base di una c.t.u. espletata dall’ing. M., che aveva erroneamente affermato l’inclusione del fabbricato tra i beni espropriati, l’A.T.I. aveva ottenuto dal Pretore di Nocera Inferiore, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., l’emissione di un’ordinanza di rilascio dell’immobile, che era stato demolito, nonchè la nomina dell’ing. Ap. a custode dei beni mobili ivi esistenti, che erano andati dispersi.

Si costituirono i convenuti, e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 1 luglio 2009, il Tribunale di Nocera Inferiore rigettò la domanda.

2. Sull’impugnazione proposta dall’ A., si costituirono in giudizio L.A. e M.S., in qualità di eredi dell’ing. M..

2.1. Con sentenza del 12 aprile 2012, la Corte d’Appello di Salerno ha rigettato l’impugnazione.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso che, nel pronunciare in ordine alla legittimità dell’operato dei convenuti, il Tribunale fosse incorso in ultrapetizione, osservando che la domanda proposta dall’attore non aveva ad oggetto la verifica dell’inesistenza di un provvedimento giudiziale che legittimasse l’occupazione e la demolizione del fabbricato, ma quella della responsabilità dei convenuti, il cui accertamento era del tutto indipendente dall’esito del giudizio di merito che aveva fatto seguito all’emissione del provvedimento d’urgenza.

Nel merito, pur rilevando che l’estraneità del fabbricato all’espropriazione era comprovata da un attestato del Prefetto di Salerno, dal quale risultava che l’immobile sorgeva sull’area non espropriata, e dalle visure catastali, dalle quali era emerso che a seguito dell’espropriazione il fondo dell’attore aveva costituito oggetto di frazionamento, la Corte ha confermato la legittimità dell’occupazione e della demolizione, osservando che il fabbricato, oltre ad essere menzionato in un atto integrativo stipulato tra l’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e l’impresa appaltatrice, nel verbale d’immissione in possesso e nell’elenco dei beni allegato al decreto di esproprio, risultava incluso nell’accordo amichevole sull’indennità di espropriazione stipulato il (OMISSIS) tra l’attore ed il Consorzio Mo.Vo.Fer., responsabile delle procedure espropriative, per effetto del quale l’ente espropriante aveva acquistato la proprietà dell’immobile, dietro pagamento dell’indennità concordata. Tale acquisto aveva avuto luogo ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, artt. 49 e 61, trattandosi d’immobile insistente a ridosso della linea ferroviaria e ricadente nella zona di rispetto, del quale il proprietario aveva accettato la demolizione, a seguito del pagamento di un’indennità che non poteva considerarsi destinata a ristorare la perdita di valore determinata dalla costruzione della linea ferroviaria, non risultando tale finalità menzionata nell’accordo, ed essendo stato accertato che l’importo pagato era comparabile al valore complessivo del fabbricato.

La Corte ha ritenuto quindi infondate anche le censure riflettenti la scadenza dei termini per il completamento della procedura espropriativa, confermando inoltre il rigetto della domanda di risarcimento per la perdita dei beni mobili, in quanto non provata, avuto riguardo alla genericità della descrizione contenuta nel verbale di rilascio ed alla conseguente impossibilità anche di una valutazione equitativa.

3. Avverso la predetta sentenza l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 48, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’accordo sull’indennità di espropriazione comprendesse anche il valore del fabbricato, laddove lo stesso riguardava esclusivamente il valore dell’area pertinenziale, i manufatti ivi esistenti e parte del fabbricato ricadente nell’area di sedime dell’opera pubblica. Aggiunge che tale accordo non avrebbe potuto spiegare alcuna efficacia nella procedura espropriativa, essendo volto esclusivamente a consentire l’emissione del decreto di espropriazione, e non risultando stipulato dinanzi ad un notaio o ad un altro funzionario autorizzato.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 753 del 1980, art. 61, affermando che, nel ritenere legittima la demolizione del fabbricato, la sentenza impugnata non ha considerato da un lato che lo stesso non insisteva sull’area espropriata, dall’altro che la L. n. 2359 del 1865, art. 22, subordina l’esercizio della facoltà di espropriare i beni attigui alla costruenda opera pubblica ad un’espressa previsione della dichiarazione di pubblica utilità o ad un atto posteriore dell’autorità che l’ha emessa.

3. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dello art. 112 c.p.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla domanda di risarcimento dei danni, nonostante l’intervenuto accertamento che il fabbricato non era mai stato oggetto di espropriazione nè di cessione con atto pubblico.

5. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti questioni intimamente connesse, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

Nel rigettare il gravame, la Corte di merito non ha affatto omesso di pronunciare in ordine alla domanda di risarcimento dei danni cagionati dalla demolizione del fabbricato, avendo preso specificamente in esame le censure mosse alla sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso la responsabilità dell’A.T.I., ed avendo confermato la legittimità dell’occupazione e della demolizione dell’immobile, in quanto avvenute ai sensi del D.P.R. n. 753 del 1980, artt. 49 e 61, dietro pagamento di un’indennità convenuta con il proprietario nell’ambito dell’accordo amichevole raggiunto in ordine alle indennità dovute per l’occupazione e l’espropriazione dell’area limitrofa.

5.1. L’esclusione dell’illiceità della condotta tenuta dall’A.T.I. non si pone in contrasto con la L. n. 2359 del 1865, art. 22, non essendo la fattispecie riconducibile a tale disposizione, ma, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, a quella, ben diversa, dettata dal D.P.R. n. 753 del 1980, art. 61.

Entrambe le norme si riferiscono infatti a fondi attigui a quelli sui quali è destinata a sorgere l’opera pubblica, ma soltanto la prima, avente portata generale, ne consente l’espropriazione, subordinatamente all’espressa previsione della relativa facoltà nella dichiarazione di pubblica utilità o in un decreto successivo, ove si tratti di beni non strettamente indispensabili per la realizzazione dell’opera, ma la cui occupazione si ponga in rapporto di diretta strumentalità con lo scopo principale della stessa. La seconda disposizione, avente carattere speciale in quanto inclusa in un decreto in materia di polizia, sicurezza e regolarità dello esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto, mira invece ad assicurare la realizzazione e l’osservanza delle c.d. fasce di rispetto, disciplinate dagli artt. 49, 51, 52, 53, 54, 55 e 56 del medesimo decreto, e non prevede l’acquisizione in proprietà dei fondi ricadenti all’interno delle stesse, ma solo l’adeguamento di situazioni od opere preesistenti non conformi alle predette disposizioni, quando ciò sia ritenuto necessario per la sicurezza dell’esercizio, stabilendo che in tal caso è dovuta una indennità da determinarsi in base alle leggi sulle espropriazioni per pubblica utilità, a condizione che si tratti di opere realizzate precedentemente alla pubblicazione dell’avviso di approvazione del progetto dell’opera ferroviaria. La ratio dell’art. 61 risiede essenzialmente nella portata circoscritta delle limitazioni imposte all’utilizzazione dei fondi inclusi nelle fasce di rispetto, la cui osservanza non preclude qualsiasi forma di sfruttamento del suolo, ma solo quelle specificamente vietate dagli articoli indicati, con la conseguenza che non viene meno l’interesse del proprietario alla conservazione del diritto sul fondo, ferma restando, conformemente alla previsione dell’art. 42 Cost., comma 3, la necessità di un adeguato ristoro, ove l’imposizione del vincolo comporti la rimozione di opere preesistenti (nessun indennizzo, com’è noto, è invece dovuto per la mera imposizione del vincolo, il quale ha carattere generale, riguardando, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione, e, dal punto di vista oggettivo, beni immobili individuati a priori per categoria, derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto all’opera pubblica: cfr. Cass., Sez. 1, 17/12/2012, n. 23210; 13/04/2012, n. 5875; 1/12/2011, n. 25718). Le finalità di tali vincoli, consistenti nel garantire la praticabilità delle linee ferroviarie e la sicurezza della circolazione sulle stesse, nonchè nell’evitare che i proprietari degl’immobili confinanti possano subire danni in conseguenza dell’esercizio dei servizi di trasporto, si pongono certamente in stretto collegamento con la funzione dell’opera pubblica, ma il relativo oggetto, costituito dallo jus aedificandi e dalla facoltà di apportare modificazioni al suolo, oppure da particolari forme di utilizzazione (quali la costruzione di fucine, fornaci o fonderie o la destinazione a deposito di materiali), consente di escludere che per la realizzazione di tali finalità debba procedersi necessariamente all’occupazione del suolo, come accade invece nell’ipotesi contemplata dalla L. n. 2359 del 1865, art. 22.

5.2. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, accertato che il fabbricato demolito insisteva a ridosso della linea ferrovia per la cui costruzione si era proceduto all’espropriazione dell’area limitrofa, e ricadeva dunque nella fascia di rispetto prevista dal D.P.R. n. 753 del 1980, art. 49, ne ha ritenuto legittima l’occupazione e la demolizione, nonostante l’edificio non fosse indicato nell’originario decreto di espropriazione e non fosse stato avviato un apposito procedimento ablatorio. Ai fini dell’adeguamento del fondo alle disposizioni concernenti la fascia di rispetto, era infatti sufficiente l’abbattimento del manufatto insistente sul suolo, non risultando invece necessaria l’acquisizione in proprietà dell’area di sedime, suscettibile di altre destinazioni conformi agli strumenti urbanistici, che non ne implicassero l’edificazione. Il concordamento dell’indennità non richiedeva poi necessariamente la stipulazione di un negozio avente la forma e l’efficacia di atto pubblico, non trattandosi di procedere ad un trasferimento immobiliare, ma solo all’assunzione di una obbligazione da parte dell’ente espropriante, nonchè alla liquidazione dell’importo dovuto, che, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, potevano legittimamente aver luogo anche nell’ambito dello accordo riguardante le indennità dovute per l’occupazione e l’espropriazione dell’area confinante.

5.3. Non possono trovare ingresso, in questa fase, le argomentazioni svolte dal ricorrente in ordine alla riferibilità del predetto accordo anche all’indennità dovuta per l’occupazione e la demolizione del fabbricato, trattandosi di censure coinvolgenti la ricostruzione della volontà delle parti, e quindi un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o dell’illogicità o incongruenza della motivazione, nella specie neppure dedotte (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 3, 14/07/2016, n. 14355; 26/05/2016, n. 10891; 10/02/2015, n. 2465).

6. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1226 c.c. e degli artt. 67 e 115 c.p.c., sostenendo che, nell’escludere la responsabilità dell’ing. Ap., la sentenza impugnata non ha considerato che egli era venuto meno ai suoi doveri di custode, avendo consegnato immediatamente il fabbricato alle imprese incaricate della demolizione ed avendo fatto depositare nello spazio antistante tutti i mobili e le suppellettili. Aggiunge che, nel ritenere non provato il valore dei beni e nell’escludere la possibilità di una valutazione equitativa, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’avvenuta produzione di una perizia stragiudiziale già prodotta nel giudizio di merito conseguente all’emissione dell’ordinanza di rilascio, e mai contestata dalle controparti.

6.1. Nella parte concernente l’esclusione della responsabilità dello ing. Ap., il motivo è inammissibile, non attingendo la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, nel confermare il rigetto della domanda proposta nei confronti del custode, non ne ha affatto negato la responsabilità, avendo ritenuto anzi dimostrati i relativi presupposti, costituiti dalla nomina a custode e dalla consegna dei beni ad opera dell’ufficiale giudiziario incaricato dell’esecuzione del rilascio, ma avendo ritenuto non provato il quantum della pretesa risarcitoria, in virtù della genericità della descrizione dei beni contenuta nel verbale di rilascio e della conseguente impossibilità di determinarne il valore, anche in via equitativa.

6.2. Il motivo è invece infondato nella parte riflettente l’omessa valutazione della perizia stragiudiziale prodotta a sostegno della domanda, trattandosi di un atto al quale, anche se asseverato con giuramento dal suo autore, non può riconoscersi l’efficacia di un mezzo di prova, in mancanza di una norma che ne consenta la precostituzione al di fuori del giudizio, ma solo valenza indiziaria, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, ed il cui apprezzamento è pertanto affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale non è obbligato in nessun caso a tenerne conto (cfr. Cass., Sez. 5, 29/07/2011, n. 16650; Cass., Sez. 3, 22/04/2009, n. 9551; 25/02/2002, n. 2737).

7. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degrintinnati.

PQM

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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