Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9565 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 29/04/2011), n.9565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

LUDO SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 28/2005 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 30/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3

0/03/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia Delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza, di cui in epigrafe, resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente, con la quale era stato rigettato l’appello da esso Ufficio proposto avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia. Quest’ultima aveva accolti i ricorsi avanzati dal Fallimento della Ludo s.r.l. avverso gli avvisi di rettifica relativi all’Iva per gli anni d’imposta 1995 e 1996, emessi sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, previi accertamenti bancari effettuati a carico di altra societa’, la Panda s.r.l., il cui capitale era interamente distribuito nelle quote appartenenti all’amministratore della Ludo s.r.l., nonche’ dei due fratelli e della madre dello stesso.

Il ricorso e’ fondato su motivo unico. L’intimato non controdeduce.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il ricorso in esame l’Agenzia denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e segg.; artt. 2697, 2727, 2729 c.c.; art. 112, 115, 116, 132, 295 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 oltre vizi della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Assume che il giudice d’appello non ha tenuto conto che la recente giurisprudenza si e’ orientata nel ritenere che le norme di cui sopra contengano una presunzione legale relativa, tale da comportare un inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, e che, comunque, da una parte la “gravita’” delle presunzione e’ in re ipsa, stante il rinvenimento di versamenti o prelevamenti operati sul conto del socio, non giustificati ne’ riscontrabili e che, dall’altra, devono considerarsi presunzioni gravi, precise e concordanti quelle evidenziate dall’ufficio e consistenti nell’esiguita’ dei ricavi e delle operazioni imponibili contabilizzate dalla contribuente a fronte dei notevoli importi dei versamenti effettuati sui c/c dell’amministratore, da considerarsi “provento occulto”, non potendo provenire dalle altre societa’ che non garantivano pagamenti in contanti.

2. La censura e’ fondata.

2.1 Quanto al primo profilo denunciato si rileva che la motivazione del provvedimento impugnata dimentica l’insegnamento di questa Corte (Cass n. 18083 del 2010, conf.: Cass. n. 374 del 2009)) secondo il quale “In tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della societa’ contribuente – in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 riguardo all’IVA – autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilita’ al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti”.

In effetti il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, consente agli Uffici di procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse, quindi, le indagini bancarie previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale. In questi casi la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non e’ qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, poiche’ e’ il D.P.R. n. 633 cit., art. 51, comma 2, n. 2), a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

2.2 Quanto al secondo profilo denunciato si rileva che il giudice a quo non ha fatto buon uso del principio gia’ affermato da questa Corte (Cass. n. 26341 del 2009) secondo il quale il ricorso al metodo induttivo e’ ammissibile anche in presenza di contabilita’ formalmente regolare quando l’attendibilita’ della stessa risulti inficiata da presunzioni contrarie, purche’ gravi, precise e concordanti, nonche’ in presenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attivita’ svolta.

Nel caso di specie il ricorso – dotato sul punto della necessaria autosufficienza in quanto riporta la motivazione dell’atto impositivo impugnato – ha correttamente dato rilievo sia all’elemento fattuale – costituito dalla circostanza che solo la societa’ Ludo, per l’attivita’ esercitata, poteva settimanalmente disporre di ingenti somme in contanti -, sia alla mancanza di qualsiasi giustificazione (rectius prova contraria) sulla riferibilita’ delle operazione bancarie contestate ad attivita’ diverse da quella riferibile alla societa’ Ludo.

3. Tutto cio’ premesso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale che provvedera’ ad applicare i principi di diritto sopra enunciati, oltre che alla regolamentazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Cosi’ deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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