Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 956 del 20/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 20/01/2010), n.956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19950-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SORDA GIUSEPPE SAVERIO, giusta delega

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 460/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/06/2005 R.G.N. 962/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO per delega COSSU BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2449/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Genova dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra P.S. e la s.p.a. Poste italiane, stipulato per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97, per il periodo 18-32-1998/31-1-1999, e condannava la società a corrispondere le retribuzioni maturate dal 29-6-2001.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Il P. si costituiva resistendo al gravame della società e in via alternativa chiedendo la declaratoria di illegittimità del termine apposto “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” ad altro contratto stipulato per il periodo 3-8-1998/30-9-1998.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 30-6-2005, respingeva l’appello della società e la condannava al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste italiane ha proposto ricorso con un unico motivo.

Il P. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la società, da un lato, contesta l’interpretazione data dalla Corte di merito all’accordo integrativo del 25-9-97 ed agli accordi attuativi deducendo che questi ultimi avevano natura meramente ricognitiva, dall’altro censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che il termine fissato dalle parti (al 30- 4-98 con l’accordo 16-1-98, e poi con l’accordo 27-4-98 e con l’addendum all’art. 7 del ccnl del 1998 al 31-12-98) facesse riferimento alla durata massima dei contratti.

Il motivo deve essere rigettato, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la contrattazione collettiva abbia fissato termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di contratti a termine per l’ipotesi de qua.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, ex art. 23 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4- 8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”.

(v. fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1″ (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (” in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30-4-98″) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7- 2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, pertanto, respinto il ricorso della società, confermandosi la nullità del termine apposto al contratto in esame (stipulato successivamente al 30-4-1998).

Appare invece inesatta la statuizione della Corte territoriale secondo cui gli accordi attuativi ebbero a stabilire, non i termini entro i quali era consentita l’adozione del tipo contrattuale, ma proprio i termini che legittimamente potevano essere apposti ai contratti individuali.

Questa Corte Suprema (v. Cass. 10-1-2006 n. 166), decidendo su un ricorso avverso una sentenza della Corte d’Appello di Genova basata sulla medesima interpretazione dell’accordo in data 27 aprile 1998 e del ed. addendum all’art. 7 del ccnl del 98, ha ritenuto tale interpretazione viziata per violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti; in particolare ha osservato che l’interpretazione accolta dalla Corte di merito ha finito per attribuire all’accordo 27-4-98 l’effetto di chiarire l’intento delle parti al di là del significato letterale di altre previsioni pattizie, precedenti e persino successive, in violazione dell’art. 1362 c.c. e con motivazione insufficiente e contraddittoria.

Anche tale orientamento deve essere in questa sede pienamente ribadito.

Tuttavia (v. da ultimo Cass. 28-3-2008 n. 8121) il conseguente accoglimento della censura sotto questo profilo non determina la cassazione della sentenza impugnata, atteso che il dispositivo in essa contenuto deve ritenersi conforme a diritto; infatti, essendo stato il contratto de quo stipulato in data successiva al 30-4-1998, lo stesso, come si è in precedenza rilevato, doveva ritenersi comunque illegittimo in quanto successivo alla scadenza del termine concordato fra le parti con i ed. accordi attuativi.

Il ricorsola pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del P..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del P., delle spese, liquidate in Euro 15,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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