Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9558 del 13/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 13/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.13/04/2017),  n. 9558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2899/2015 proposto da:

ITALYART SOCIETA’ COOPERATIVA A RL, in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, Sig. C.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO ALBERTO 18, presso lo studio

dell’avvocato CARMELO COMEGNA, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.E., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO TRIONFALE 7,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO FIORINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato MANUELA PARIS giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3784/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/03/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Italyart soc. coop. a r.l. risultava soccombente in entrambi i gradi di giudizio sulla domanda di R.E. avente ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione di immobile ad uso diverso da quello abitativo per inadempimento della predetta società conduttrice all’obbligo di versamento dei canoni, nonchè la condanna della stessa al pagamento dei canoni maturati nel periodo agosto 2009-settembre 2010.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 5.6.2014 n. 3784, rilevava che la condizione giuridica dell’immobile, non conforme alla vigente normativa urbanistica, non impediva la validità della locazione, non ricorrendo ipotesi di illiceità sanzionate con la nullità ex art. 1418 c.c., comma 2, nè ipotesi di nullità virtuale, e che tale condizione dell’immobile era stata specificamente indicata nel contratto di locazione ed accettata dalla conduttrice, che aveva approvato per iscritto separatamente la relativa clausola, rimanendo quindi esclusa l’applicazione della disciplina normativa dei vizi della cosa locata.

Quanto alla gravità dell’inadempimento, il mancato pagamento dei canoni non era suscettibile di compensazione con la somma depositata a titolo di cauzione, in considerazione sia della diversa funzione di garanzia assolta dal deposito, sia della espressa rinuncia fatta dal conduttore a sollevare eccezioni in merito al pagamento dei canoni.

La conoscenza da parte del conduttore delle condizioni di fatto e di diritto dell’immobile e l’assunzione in contratto dell’obbligo di eseguire a proprie spese lavori di adattamento e ristrutturazione, rendevano infondata la pretesa di recupero degli esborsi effettuati dal conduttore a tale titolo.

La sentenza di appello non notificata è stata impugnata dalla società conduttrice con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale si censura la violazione di norme di diritto e vizio di omesso esame di fatti decisivi.

Ha resistito con controricorso la locatrice R..

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con l’unico motivo di ricorso la società reitera le stesse censure già prospettate con i motivi di gravame esaminati dalla Corte d’appello.

In particolare la ricorrente ripropone la questione della nullità del contratto di locazione per impossibilità ed illiceità dell’oggetto ex art. 1346 c.c. e della causa concreta per contrarietà – sembra – a norme imperative (la rubrica indica come norme violate gli artt. 1325, 1343, 1346, 1578 e 1579 c.c.).

A quanto è dato comprendere dallo svolgimento della esposizione la società si duole di avere dedotto avanti il Giudice del gravame la nullità del contratto di locazione per impossibilità dell’oggetto, in quanto l’immobile non aveva la destinazione pattuita, e non anche la nullità del contratto in quanto il bene locato era da ritenersi fatiscente; dunque risultava errata la pronuncia della Corte d’appello che aveva rigettato il motivo di gravame alla stregua del principio di diritto secondo cui l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia ed urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto, poichè il requisito della liceità dell’oggetto cui ha riguardo l’art. 1346 c.c., non va riferito al bene in sè (e dunque alla condizione giuridica abusiva o meno dell’immobile locato in relazione alla vigente disciplina normativa edilizia ed urbanistica), ma alla prestazione, e dunque al contenuto dell’atto di autonomia negoziale che, nel rapporto locativo deve individuarsi, secondo lo schema legale, nella concessione in godimento dell’immobile dietro pagamento del corrispettivo (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 583 del 29/01/1982; id. Sez. 3, Sentenza n. 4228 del 28/04/1999; id. Sez. 3, Sentenza n. 19190 del 15/12/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 22312 del 24/10/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 12983 del 27/05/2010; vedi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11964 del 16/05/2013).

Il motivo è infondato.

La questione della nullità del contratto è stata compiutamente esaminata dalla Corte territoriale, sotto entrambi i profili di illiceità dell’oggetto e di illiceità della causa. In particolare, quanto al primo aspetto, i Giudici di merito hanno rilevato che la difformità urbanistica dell’immobile, specificamente per quanto concerneva la destinazione commerciale dei locali, era stata oggetto di espressa clausola, sottoscritta anche separatamente dalla società conduttrice, in conformità all’art. 1341 c.c., comma 2, traendone la conseguenza, da un lato, che la condizione di difformità urbanistica dell’immobile non inficiava la illiceità della prestazione (concessione in godimento del bene), e dall’altro che la conduttrice aveva espressamente accettato tale condizione assumendo quindi il rischio dell’eventuale impossibilità di sfruttamento dell’immobile ad uso commerciale.

La Corte territoriale ha pertanto deciso conformemente ai consolidati principi di diritto enunciati in materia da questa Corte secondo cui:

– il carattere “abusivo” di una costruzione concretandosi in una illiceità dell’opera, può costituire fonte della responsabilità dell’autore nei confronti dello Stato ma non comporta la invalidità del contratto di locazione della costruzione stipulato tra privati, trattandosi di rapporti distinti e regolati ciascuno da proprie norme, venendo e riverberare la condizioni giuridica predetta sulla qualità del bene immobile, e non anche sulla eseguibilità della prestazione del locatore avente ad oggetto la concessione del pieno e continuato godimento del bene (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 583 del 29/01/1982 che ha esaminato il caso di abuso edilizio consistente nella costruzione fatta dal privato su terreno demaniale. Vedi giurisprudenza sopra richiamata: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 583 del 29/01/1982; id. Sez. 3, Sentenza n. 4228 del 28/04/1999; id. Sez. 3, Sentenza n. 19190 del 15/12/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 22312 del 24/10/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 12983 del 27/05/2010; vedi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11964 del 16/05/2013);

– nel caso in cui non sia stata resa nota, nè altrimenti conosciuta dal conduttore la condizione urbanistica dell’immobile locato, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili – ovvero alla abitabilità dei medesimi – non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata concreta utilizzazione del bene locato (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23695 del 21/12/2004), in difetto soccorrendo, invece, il rimedio della risoluzione del contratto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12708 del 25/05/2010);

– se il locatore ha assunto la obbligazione di garantire il pacifico godimento dell’immobile espressamente in funzione della specifica destinazione prevista e concordata in contratto, occorrendo all’uopo una “specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento della idoneità dell’immobile da parte del conduttore”, in tal caso l’impedimento all’esercizio della attività svolta dal conduttore per difetto di rilascio del provvedimento di conformità urbanistica della destinazione impressa dalle parti all’immobile, determina il colpevole inadempimento del locatore alla esecuzione della prestazione di godimento derivante dal contratto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20831 del 26/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 17/01/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 5836 del 13/03/2007);

– se invece la situazione urbanistica, pur se di ostacolo all’ottenimento delle autorizzazioni o licenze relative all’esercizio della attività commerciale da condurre nell’immobile locato, era nota ed è stata consapevolmente accettata dal conduttore, alcuna responsabilità contrattuale potrà gravare sul locatore per la impossibilita di utilizzazione dell’immobile locato in funzione dell’esercizio della predetta attività in quanto non risulti successivamente autorizzata la modifica di destinazione d’uso (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1398 del 21/01/2011).

I predetti principi sono stati compendiati, da ultimo, nelle più recenti sentenze di questa Corte, nella statuizione, condivisa dal Collegio, secondo cui “in tema di obblighi del locatore, in relazione ad immobili adibiti ad uso non abitativo convenzionalmente destinati ad una determinata attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione del bene sotto il profilo edilizio – e con particolare riguardo alla sua abitabilità e alla sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale – solo quando la mancanza di tali titoli autorizzativi dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e quindi da non consentire in nessun caso l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatte salve le ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi o, di converso, sia conosciuta e consapevolmente accettata dal conduttore l’assoluta impossibilità di ottenerli” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016).

Tanto premesso, la critica svolta dal ricorrente, secondo cui la illiceità viene ad inficiare non il “bene” immobile, in sè ma la “prestazione” oggetto della obbligazione del locatore, rifluendo quindi sull’oggetto del contratto, è meramente reiterativa delle argomentazioni già svolte nel motivo di gravame e ritenute infondate, sulla scorta dei principi sopra esposti, dalla Corte di appello che ha escluso la illiceità dell’oggetto in considerazione della espressa accettazione da parte della conduttrice dello stato di fatto e di diritto – e più in particolare della attuale difformità della destinazione d’uso commerciale rispetto alla normativa urbanistica che assoggettava la zona a vincolo archeologico – dell’immobile, alcun ulteriore argomento avendo aggiunto la società nel motivo di ricorso per cassazione, idoneo ad inficiare la decisione impugnata. E’ appena il caso di osservare, al riguardo, come la mera allegazione, da parte della ricorrente, di una “sopravvenuta” – in corso di rapporto – conoscenza della difformità urbanistica, oltre ad essere priva di qualsiasi riscontro probatorio è smentita dall’accertamento di merito compiuto dal Giudice di appello in ordine alla espressa accettazione e sottoscrizione della clausola contrattuale con la quale: a) veniva specificamente dato atto della non conformità dell’immobile alla normativa urbanistica e catastale; b) il conduttore dichiarava di “ben conoscere la situazione urbanistica, catastale ed amministrativa dell’immobile” ed assumeva ogni rischio in ordine all’ottenimento di qualsiasi autorizzazione amministrativa necessario all’esercizio della attività commerciale “con esonero di ogni responsabilità del locatore”; c) alcuna specifica garanzia aveva assunto, pertanto, il locatore in ordine alla effettiva destinazione dell’immobile locato all’uso commerciale che intendeva farne il conduttore, non essendo sufficiente, come visto, ad integrare una espressa assunzione di tale obbligazione la mera “allegata certificazione catastale” – categoria C1 – al contratto (clausola art. 11 contratto locazione, riprodotta nella sentenza di appello, nel ricorso, pag. 14, e con testo completo nel controricorso, pag. 12-13).

Le altre doglianze, esposte nel motivo, in quanto meramente riproduttive delle medesime tesi svolte con i motivi di gravame, e dunque prive del requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, per i motivi di ricorso per cassazione, debbono ritenersi tutte inammissibili, non contenendo una critica in diritto alle statuizioni della sentenza di appello, nè peraltro essendo stati indicati dalla ricorrente puntuali fatti, provati in giudizio e rivestenti carattere “decisivo”, che il Giudice di appello non avrebbe considerato nella valutazione delle risultanze istruttorie, tali non potendosi ritenere nè la clausola contrattuale (art. 5 contratto) che addossava al conduttore le spese per i lavori di ristrutturazione ed adattamento necessari a rendere funzionale l’immobile all’attività che intendeva svolgere, nè il precedente rigetto con Det. Dirigenziale n. 708 del 2002 del Comune di Roma di una istanza di condono (il contenuto della quale peraltro non viene trascritto), tenuto conto che la Corte territoriale, se pure in modo sintetico, ha esaminato anche tali elementi istruttori, laddove, da un lato, ha riconosciuto che la difformità urbanistica dell’immobile non aveva comunque impedito un utilizzo dello stesso da parte del conduttore per il periodo trascorso dall’inizio della locazione fino al rilascio dell’immobile, e dall’altro ha ritenuto infondata la eccezione di nullità del contratto, in quanto le clausole concernenti “i lavori di ristrutturazione da eseguirsi a cura e spese del conduttore” e “la situazione urbanistica” dell’immobile erano state “approvate separatamente e per iscritto in calce al contratto” dovendo essere considerate pertanto “pienamente valide ed efficaci” (sentenza, in motiv. pag. 3).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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