Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9557 del 12/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 12/04/2021), n.9557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13593/2015 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GULLO,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE MAGARAGGIA, e UMBERTO

MAGARAGGIA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1308/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/06/2014 R.G.N. 3257/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza del 9 giugno 2014, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’assistita, volta al riconoscimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, in adesione alle conclusioni dell’ausiliare nominato in sede di gravame;

2. per la cassazione della sentenza propone ricorso E.P. e affida l’impugnazione a tre motivi di censura;

3. l’Inps ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. si deduce, con il primo motivo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere il consulente tecnico officiato in giudizio omesso la valutazione dell’incidenza del quadro patologico sulla capacità di lavoro specifica (bracciante agricola) o semispecifica (attitudine per lavori manuali) che avrebbe potuto comportare l’aumento, entro i termini di legge, della soglia invalidante; la medesima omissione è denunciata, con il secondo mezzo, per violazione del D.M. n. 43 del 1992, art. 1, all. 1, di approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità, in relazione al D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 2, comma 2; infine, con il terzo motivo, si deduce violazione delle disposizioni già richiamate e della L. n. 118 del 1971, art. 13, per avere la Corte del gravame prestato adesione a consulenza tecnica che, per il quadro clinico importante, avrebbe dovuto svolgere l’indagine svincolata dai limiti specificati dalla tabella, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, e che aveva trascurato dati essenziali (l’altezza dell’assistita);

5. i motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono da rigettare;

6. i distinti presupposti per le provvidenze d’invalidità civile e quelle previste dalla L. n. 222 del 1984, sono oggetto di consolidati approdi di legittimità (v., per tutte, Cass. n. 11185 del 2019 e i precedenti ivi richiamati) che hanno chiarito come solo le provvidenze previste dalla L. n. 222 del 1984, siano fondate sulla riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato in luogo della generica capacità lavorativa del soggetto;

7. il parametro di valutazione dell’invalidità civile è, invece, costituito da un sistema di tabelle che individuano indici medi riferiti ad un’attività lavorativa generica;

8. la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con D.M. 5 febbraio 1992, in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2, integra la norma primaria, vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice che prescinda del tutto dall’esame della tabella comporta un vizio di legittimità, denunciabile con ricorso per cassazione (v., fra le altre, Cass. n. 6850 del 2014);

9. inoltre, la variazione in più del valore base, che la parte ricorrente pretenderebbe obbligatoria, costituisce una mera possibilità (cfr., fra le tante, Cass. n. 9807 del 2008; Cass. n. 4802 del 2012; 14442 del 2012);

10. la sentenza impugnata non è incorsa in alcuna delle denunciate violazioni di legge;

11. la ricorrente richiama il principio, affermato da questa Corte nella sentenza n. 16251 del 2004, secondo il quale il codice 7105 della tabella contenuta nel D.M. 5 febbraio 1992, include l’obesità con complicanze artrosi che nella fascia di invalidità dal 31 al 40 per cento, quando vi sia un indice di massa corporea compreso tra 35 e 40, sicchè quando l’indice di massa corporea risulti superiore, occorre un’ indagine diretta ad acclarare l’effettivo grado di invalidità, svincolata dai limiti specificati dalla richiamata tabella;

12. a tale principio la Corte territoriale si è attenuta, laddove ha richiamato e condiviso le conclusioni del consulente tecnico, che aveva riconosciuto una percentuale invalidante del 71 per cento, superiore rispetto a quella massima prevista dalla voce 7105, così svincolandosi dalle previsioni della tabella proprio in considerazione della maggiore gravità della patologia riscontrata rispetto a quella ivi considerata;

13. la ricorrente, chiedendo che la propria malattia sia classificata in una voce di tabella riferita a malattia diversa, ma assimilabile alla propria per gravità, non formula in sostanza una critica relativa all’errata applicazione delle tabelle, ma alla valutazione della gravità della propria patologia come ritenuta dal consulente tecnico d’ufficio, chiedendone una valutazione superiore e la denuncia si risolve quindi nella mera prospettazione di un sindacato di merito sulla valutazione, inammissibile in sede di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 17644 del 2016);

14. nella parte in cui sostiene la non corretta applicazione della tabella indicativa delle percentuali di invalidità di cui al D.M. 5 febbraio 1992, il ricorrente lamenta in sostanza una sottovalutazione delle affezioni, chiedendone un diverso inquadramento in ragione di una maggiore ritenuta gravità, il che si sostanza nella richiesta di un nuovo giudizio di merito;

15. infine, la censura di omesso esame non si colloca nel paradigma del novellato l’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel senso chiarito da Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014 e numerose successive conformi);

16. in particolare, nella nuova prospettiva dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria);

17. il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;

18. nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale – che ha prestato adesione alle conclusioni dell’ausiliare officiato in giudizio – e le censure in oggetto sostanzialmente attengono non all’omesso esame d’un fatto, bensì ad una non esauriente motivazione circa determinate valutazioni tecnico-scientifiche;

19. costituisce ulteriore principio consolidato quello secondo il quale il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costìtuisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (v., ex plurimis, Cass. n. 27378 del 2014);

20. non si provvede alla regolazione delle spese sussistendo le condizioni previste dall’art. 12 disp. att. c.p.c., per l’esonero;

21. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2021

 

 

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