Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9556 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.13/04/2017),  n. 9556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13545-2014 proposto da:

R.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARMINE AIELLO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GRAND HOTEL FLORA SRL in persona del suo amministratore unico e

legale rappresentante pro tempore rag. R.A., GIFRA 3000

SRL – società in liquidazione – in persona del liquidatore e legale

rappresentante pro tempore sig.ra L.M., M.M.,

R.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUIGI CALAMATTA,

16, presso lo studio dell’avvocato LUDOVICA DE FALCO, rappresentati

e difesi dall’avvocato PASQUALE MANFREDI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

GIFRA 3000 SRL IN LIQUIDAZIONE, GRAND HOTEL FLORA SRL, M.M.,

D.R.F.S. SAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3549/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 11/10/2013, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da R.A.L. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, ha rigettato la domanda proposta dalla R. per la convalida dello sfratto per morosità dalla stessa intimato nei confronti della F. s.a.s., quale conduttrice di un immobile di cui la R. era comproprietaria, nonchè di R.S., in qualità di legale rappresentante della F. s.a.s., della Gifra 3000 s.r.l. e della Grand Hotel Flora s.r.l. in qualità di subconduttori.

Nel giudizio è intervenuto volontariamente M.M., altro comproprietario dell’immobile locato, opponendosi alle domande dell’attrice.

Con la sentenza impugnata, la corte d’appello napoletana, dopo aver evidenziato le gravi lacune formali dell’impugnazione proposta dalla R., ne ha sottolineato in ogni caso l’insussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento, confermando il difetto di legittimazione dell’originaria attrice ad agire per il rilascio dell’immobile locato, tenuto conto del dissenso validamente ed efficacemente manifestato dagli altri comproprietari dell’immobile locato, titolari di quote superiori al 50%.

2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione R.A.L., sulla base di quattro motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria.

3. Resistono con controricorso la Grand Hotel Flora s.r.l., la Gifra 3000 s.r.l., M.M. e R.S., che hanno concluso per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.

4. La F. s.a.s. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 348 bis, 348 ter e art. 101 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), ovvero, in via gradata, per violazione degli artt. 112, 132, 156, 161, 342 e 434 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte d’appello erroneamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello con sentenza, anzichè con ordinanza, omettendo di sentire preventivamente le parti sul punto, nonchè per aver dettato una motivazione carente (o financo mancante) sul punto concernente la non ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) ovvero, in via gradata, per violazione degli artt. 112, 132, 156, 161, 342 e 434 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto la carenza dell’atto di appello proposto dalla R., in relazione alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c., in contrasto con le puntuali specificazioni contenute in detta impugnazione (come ribadite in questa sede nel corpo del ricorso).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 132, 156 e 161 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi: 1) sull’eccezione relativa all’effettività, la validità o l’efficacia del dissenso degli altri comproprietari circa la domanda di risoluzione e di pagamento di canoni proposta dall’attrice (ferma restando la possibile qualificazione di dette domande quali azioni di ratifica dell’attività del gestore, in conformità ai presupposti indicati nella sentenza della Corte di cassazione n. 11135/2012);

2) sull’eccezione relativa alla produzione del diverso contratto di locazione del 31/1/2010 (registrato il 7/6/2010) e sulla relativa opponibilità all’appellante;

3) sull’eccezione relativa alla condanna alle spese processuali;

4) sull’eccezione relativa agli effetti dell’eventuale rinnovo del contratto di locazione quale pretesa dimostrazione del dissenso dei comproprietari rispetto all’azione di sfratto per morosità;

5) sull’eccezione relativa alla data di registrazione da considerare ai fini della certezza della stipulazione del nuovo contratto di locazione;

6) sull’eccezione relativa alla nullità, inefficacia e inopponibilità all’appellante del nuovo contratto di locazione;

7) sull’eccezione relativa all’insufficienza della quota di pertinenza degli altri comproprietari ai fini della stipulazione di un nuovo contratto di locazione eccedente l’ambito dell’ordinaria amministrazione.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice d’appello omesso: 1) di fornire alcuna motivazione circa l’avvenuta estensione del difetto di legittimazione, riconosciuto in relazione alla domanda di rilascio dell’immobile locato, alle altre domande proposte per la risoluzione del contratto e per il pagamento di canoni di locazione scaduti; 2) di esaminare le circostanze e le prove relative all’esistenza del contratto di locazione oggetto di giudizio, nonchè quelle relative all’avvenuta sottoscrizione dello stesso da parte degli altri comproprietari specificamente indicati in ricorso; 3) di esaminare le eccezioni sollevate dall’appellante in relazione alle gravi carenze formali della sentenza di primo grado; 4) di esaminare e di giudicare correttamente sulle eccezioni relative ai dedotti travisamenti, in cui era incorso il giudice di primo grado, circa la qualità dell’attrice quale firmataria del contratto di locazione oggetto di causa; 5) di esaminare le eccezioni sollevate dall’appellante in relazione al vizio di extrapetizione in cui era incorso il giudice di primo grado in relazione al punto concernente la valida manifestazione di dissenso della maggioranza dei comproprietari in epoca anteriore all’esercizio dell’azione della R., nonchè in relazione ai punti concernenti la pertinenza dei richiami giurisprudenziali da parte del primo giudice (in relazione all’opponibilità del contratto di locazione), e le motivazioni del primo giudice circa le maggioranze di una comunione utili ai fini della valida manifestazione di volontà di stipulazione del contratto locazione; 6) di esaminare le eccezioni relative al motivo di appello concernenti l’esistenza del contratto di locazione, l’identità delle relative parti e le relative fonti di prova; 7) di esaminare le eccezioni relative ai motivi dell’atto di appello concernenti la malafede processuale di R.S. (ai fini dell’accertamento della responsabilità aggravata della stessa in relazione alla regolazione delle spese del giudizio), nonchè in relazione alla mancata ammissione, da parte del giudice di primo grado, dei mezzi di prova richiesti.

5. Tutti e quattro i motivi di ricorso – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati, quando non inammissibili.

Preliminarmente, dev’essere rilevata l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla R. con riguardo alla pretesa irritualità dell’adozione della forma della sentenza per la decisione di inammissibilità dell’appello, avendo la corte territoriale (al di là degli articoli del codice di rito espressamente richiamati) puntualmente proceduto;

a seguito della regolare instaurazione del contraddittorio tra le parti;

ad esaminare ciascuno dei punti toccati dall’impugnazione della R., dettando un’espressa argomentazione giustificativa sulle questioni ritenute di preliminare ed assorbente rilevanza, rispetto ai contenuti delle domande proposte, e limitandosi a ritenere assorbito (o implicitamente a superare) il rilievo di ognuna delle restanti questioni d’indole processuale o sostanziale ritenute logicamente e giuridicamente prive di alcuna decisività, ai fini del giudizio, alla luce delle premesse decisorie espressamente definite in via preliminare.

Pertanto, al di là del generale principio ai sensi del quale, in tema di provvedimenti del giudice civile, le pronunce si distinguono in base alla regola della prevalenza della sostanza sulla forma (cfr., ex plurimis, Sez. U, Sentenza n. 25837 del 11/12/2007, Rv. 600828), nel caso di specie a difettare deve ritenersi propriamente l’interesse della ricorrente alla sollevazione di una simile questione formale, avendo la stessa sottoposto a impugnazione in questa sede (non già una sentenza di primo grado, ex art. 348 ter c.p.c., nè un’ordinanza di inammissibilità dell’appello avente contenuto sostanziale di sentenza, bensì) una pronuncia avente pacificamente la forma e il contenuto propri di una sentenza resa in sede d’appello sulle domande originariamente proposte dall’attrice.

Del tutto priva di ammissibilità deve inoltre ritenersi la doglianza sollevata dalla ricorrente in ordine alla denunciata insufficienza, o financo l’omessa motivazione, in relazione alla non ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello, avendo la corte territoriale espressamente indicato le ragioni della decisione adottata sul punto (sostanzialmente legate alla rilevata carenza di legittimazione attiva dell’originaria attrice), sulla base di un discorso giustificativo diffusamente ed esaurientemente motivato secondo i termini di seguito precisati.

Al riguardo, occorrerà evidenziare come la corte territoriale, nel condividere il giudizio del tribunale circa il difetto di legittimazione attiva della R. alla proposizione delle domande originariamente avanzate in primo grado, si sia correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, qualora il partecipante alla comunione compia un atto di ordinaria amministrazione (anche consistente in un negozio giuridico o in un’azione giudiziale aventi tali finalità, come l’agire per finita locazione contro i conduttori della cosa comune, etc.), la presunzione del consenso degli altri comunisti, che sussiste ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 1, può essere superata dimostrando l’esistenza del relativo dissenso per una quota maggioritaria o eguale della comunione, senza che occorra che tale dissenso risulti espresso in una deliberazione a norma dell’art. 1105 c.c., comma 2, (Sez. 3, Sentenza n. 11553 del 14/05/2013, Rv. 626712).

Nel caso di specie, la corte d’appello, preso atto del compimento, da parte dell’originaria attrice, di atti di ordinaria amministrazione nell’interesse della cosa comune (nella specie consistiti nell’iniziativa giudiziale diretta alla risoluzione del contratto di locazione dell’immobile comune, alla relativa restituzione e al pagamento dei debiti del locatore nei confronti della comunione), ha rilevato la sussistenza del dissenso (espressamente manifestato anche attraverso la resistenza alla predetta iniziativa giudiziale) degli altri comproprietari rappresentanti una quota maggioritaria della comunione, da tale occorrenza derivando il riscontro della carenza di legittimazione attiva dell’originaria attrice, in conformità all’insegnamento fatto proprio dalla giurisprudenza di questa corte (che il collegio condivide e fa proprio, ritenendo di doverne assicurare continuità), ai sensi del quale, con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, dev’essere negata la legittimazione (attiva) del comproprietario del bene locato, ove risulti l’espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell’art. 1105 c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, cadendo conseguentemente il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell’ordinaria amministrazione della cosa comune (Sez. 3, Sentenza n. 480 del 13/01/2009, Rv. 606198; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 11589 del 13/05/2010, Rv. 613294).

Ciò posto, la Corte d’appello di Napoli ha indicato in modo specifico le ragioni dell’irrilevanza delle questioni concernenti la supposta indispensabile anteriorità del dissenso degli altri comproprietari, rispetto al compimento degli atti di ordinaria amministrazione da parte dell’attrice, sottolineando correttamente come detto dissenso fosse emerso, tanto ex post, attraverso la resistenza alle iniziative giudiziali assunte dalla R., quanto ex ante, in forza dell’interpretazione degli atti (negoziali e non) posti in essere dagli stessi comproprietari e specificamente richiamati in sentenza.

A tale ultimo riguardo, deve ritenersi inammissibile la pretesa dell’odierna ricorrente di sottoporre a censura la valutazione operata dai giudici del merito, in ordine al significato (oltre che all’effettività, validità o efficacia, anche relativa) da attribuire agli atti dei comproprietari valorizzati nella prospettiva del manifestato dissenso (ovvero in ordine alla mancata considerazione di altri atti o documenti asseritamente destinati ad attestare, al contrario, un preteso consenso degli stessi alle iniziative della R.), dovendo escludersi la possibilità della ricorrente di spingersi, in questa sede di legittimità, alla prospettazione di un riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, trattandosi di competenze sottratte alle prerogative della Corte di cassazione, a fronte di un discorso motivazionale del giudice di merito da ritenersi, come quello dettato nella sentenza impugnata, completo ed esauriente, immune da gravi vizi d’indole logico-giuridica, oltre che da radicali omissioni in ipotesi rilevabili in sede di legittimità.

Con riguardo alle indicate questioni, infatti – relative alla validità e/o all’inefficacia del dissenso manifestato dagli altri comproprietari; alla validità e/o all’opponibilità del successivo contratto di locazione del 31/1/2010 (e, soprattutto, alla relativa considerazione quale espressione del dissenso degli altri comproprietari rispetto all’azione giudiziale della R.); alla prova della conclusione, della sottoscrizione e delle parti del contratto di locazione oggetto di lite, etc. -, è appena il caso di evidenziare come l’odierna ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione.

In particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della R., l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Quanto agli aspetti concernenti il preteso vizio di motivazione, la stessa si è spinta a delineare i tratti di un vaglio di legittimità esteso al riscontro di pretesi difetti o insufficienze motivazionali (nella prospettiva dell’errata interpretazione o configurazione del valore rappresentativo degli elementi di prova esaminati) del tutto inidonei a soddisfare i requisiti imposti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sotto altro profilo, varrà evidenziare come del tutto correttamente la corte territoriale abbia giudicato definitivamente decisiva e assorbente la ritenuta carenza di legittimazione attiva della R., rispetto alle restanti doglianze di ordine processuale dalla stessa denunciate (segnatamente in relazione alle censure sollevate con riguardo al preteso erroneo riconoscimento, da parte della corte territoriale, della carenza dell’atto di appello in relazione alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c.; al preteso omesso esame, ad opera della stessa corte, delle carenze formali o dei vizi di extrapetizione contenuti nella sentenza di primo grado, etc.) trattandosi in ogni caso di questioni il cui eventuale accoglimento non sarebbe comunque valso (come non varrebbe in questa sede) a modificare l’esito del giudizio, nel senso del radicale difetto di legittimazione attiva della R. alla proposizione delle domande originariamente avanzate dinanzi al giudice di primo grado.

Del tutto corretta, infine, deve ritenersi la decisione dettata dal giudice d’appello in relazione alla regolazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio (decisione comprensiva del denegato ingresso dell’istruttoria riferita al preteso contegno processuale di mala fede di R.S.), avendo la corte territoriale (così come il primo giudice) ritualmente definito tali questioni in applicazione del fondamentale canone della soccombenza.

6. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata l’infondatezza (quando non l’inammissibilità) di tutte le censure sollevate dalla ricorrente nei confronti della sentenza impugnata, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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