Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9555 del 13/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.13/04/2017),  n. 9555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10777-2015 proposto da:

BIANCO SPA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

sig. B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAN

GIACOMO PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO DI TORO

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

EMMEBI SRL, in persona del suo amministratore unico, sig.ra

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE DEI PARIOLI 76, presso

lo studio dell’avvocato SEVERINO D’AMORE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CARLO TABELLINI giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 417/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. CHIARINI MARIA MARGHERITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato MARCO DI TORO;

udito l’Avvocato ALFREDO DEL VECCHIO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 464/2014 del 5 luglio 2014, il Tribunale di Asti rigettava la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni proposta (originariamente nelle forme del procedimento per convalida di sfratto per morosità) dalla Emmebi s.r.l. nei confronti della Bianco S.p.A. ed avente ad oggetto un immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione sito in (OMISSIS).

Accogliendo l’appello spiegato dalla locatrice, la Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 417/2015 del 16 marzo 2015, dichiarava risolto il contratto di locazione per inadempimento della conduttrice e condanna quest’ultima al rilascio del bene.

Avverso questa sentenza ricorre per Cassazione la Bianco S.p.A., affidandosi a cinque motivi; resiste con controricorso l’intimata. Ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “omesso esame della complessiva domanda giudiziale di Emmebi, in relazione alle norme sulla competenza ed in particolare in relazione all’applicazione dell’art. 39 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente assume che la sentenza gravata abbia erroneamente disatteso la proposta eccezione di litispendenza, risultando incontestabile dai documenti acquisiti (di cui perciò lamenta l’omesso esame) che la domanda di risoluzione contrattuale fosse (per parziale identità dei canoni insoluti) la medesima di altra già proposta in controversia ancora pendente.

La censura va disattesa.

Essa, in primo luogo, è connotata da una inesatta sussunzione nell’ambito della ragione di impugnazione descritta dal dell’art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che il diniego (peraltro debitamente argomentato dalla Corte territoriale) della invocata declaratoria di litispendenza non costituisce (qualora in astratta ipotesi essa fosse sussistente) vizio motivazionale ascrivibile all’omesso esame di un fatto decisivo, ma una (tipica) violazione delle norme sul procedimento, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, diversamente da quanto opinato dal controricorrente, tuttavia, la errata riconduzione sub specie juris non inficia l’ammissibilità del motivo, apparendo dall’articolazione dello stesso chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato ed avendo specificato il ricorrente le conseguenze importate dal lamentato errore (sulla legge) processuale con il richiedere la dichiarazione di litispendenza ad opera della adita Corte (cfr. sulla valenza non inficiante dell’erronea intestazione del motivo di ricorso, Cass., Sez.U, 24/07/2013, n. 17931; Cass. 20/02/2014, n. 4036; Cass. 28/09/2015, n. 19124).

Seppur ammissibile, l’assunto attoreo è però infondato.

Dall’esame degli atti di causa (cui questa Corte è abilitata, versandosi in tema di supposta inosservanza di norme processuali) ma, invero, anche dal contenuto degli scritti difensivi di questo grado di giudizio, si evince che, a fondamento della richiesta di risoluzione del contratto da cui è scaturita la sentenza qui gravata, la locatrice ha posto la mancata corresponsione dei canoni relative alle mensilità successive all’ottobre 2013 (in tal senso, chiaramente, le conclusioni rassegnate nella memoria integrativa successiva al mutamento del rito disposto ex art. 667 c.p.c., nel cui corpo il riferimento a pregresse pigioni insolute ha solo scopo descrittivo dell’intera vicenda), canoni ben distinti da quelli costituenti la morosità dedotta (sempre a fini risolutori) nella lite introdotta innanzi il Tribunale di Alba ed ora pendente presso la Corte di Appello di Torino.

Inadempimenti riferiti a periodi temporali diversi ed integranti dunque causae petendi differenti, idonee ad escludere l’identità degli elementi dell’azione in cui si concreta la litispendenza.

2 Con il secondo motivo, il ricorrente, per violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rileva come la Corte di Appello di Torino abbia apoditticamente ritenuto quale grave inadempimento l’omesso pagamento dei canoni di ottobre e novembre 2013 e del 50% dei canoni successivi, senza compiere un apprezzamento in concreto della colpevolezza di siffatto inadempimento e delle ragioni soggettive che avrebbero indotto il contegno della conduttrice.

La doglianza non può essere accolta.

E’ jus receptum che in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisca questione di fatto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità soltanto per vizi motivazionali, nella specie nemmeno prospettate (ex plurimis, Cass. 30/03/2015, n. 6401; Cass. 28/06/2006, n. 14974).

A ciò aggiungasi, per mero scrupolo argomentativo, che la entità delle (pacificamente non versate) pigioni, pari all’intero importo per i mesi da ottobre a dicembre 2013 ed alla metà dell’importo per un considerevole numero di mensilità successive, configura, per la sola consistenza quantitativa, alterazione del sinallagma contrattuale di tale rilevanza da giustificare lo scioglimento del rapporto di locazione ad uso diverso, sol che si consideri la ben più ridotta misura della morosità predeterminata dalla legge (della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 5) come causa di risoluzione delle locazioni abitative, ove socialmente più rilevante appare l’esigenza di protezione della posizione del conduttore.

3 Con il terzo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2909 c.c., e art. 282 c.p.c., nonchè dell’art. 1218 c.c., art. 1256c.c., in relazione agli artt. 1453 e 1455 c.c.”, parte ricorrente deduce di non aver arbitrariamente sospeso il pagamento del canone bensì di aver ottemperato al dictum della sentenza del Tribunale di Alba n. 355/2013 la quale aveva dichiarato cessata la materia del contendere in precedente controversia inter partes recependo il contenuto di un accordo transattivo intercorso innanzi il c.t.u. nominato in quel giudizio, sentenza invece ritenuta non vincolante (per l’inidoneità ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale) dalla Corte di Appello di Torino.

Con il quarto motivo, per violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., con riferimento agli artt. 1175 e 1375 c.c., la ricorrente si duole della mancata considerazione, al fine di escludere la colpevolezza nell’inadempimento, della condotta in buona fede serbata da essa conduttrice, consistita nell’attuare la transazione valorizzata dalla sentenza del Tribunale di Alba.

Le doglianze – congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione – vanno rigettate, senza necessità di indagare sulla corretta qualificazione della predetta “transazione” o sulla efficacia della menzionata declaratoria di cessazione della materia del contendere (su cui diffusamente indugiano, con letture fortemente contrastanti, gli scritti difensivi delle parti) nè di soffermare l’attenzione sulla rilevanza in questa sede della riforma della sentenza del Tribunale di Alba disposta, in pendenza di ricorso per cassazione, dalla Corte di Appello di Torino adita quale giudice di appello.

A disattendere le descritte censure è infatti sufficiente rilevare come l’evocato “accordo transattivo” (trascritto nel suo contenuto nel ricorso introduttivo) prevedesse – tra l’altro – la possibilità per la conduttrice di compensare un proprio credito nei riguardi della locatrice versando a quest’ultima, per i settantadue mesi successivi al giugno 2012, un importo pari, all’incirca, alla metà del canone mensile ex contractu dovuto (precisamente per ogni mese compensando Euro 9.722,22 e corrispondendo Euro 9.027,28); per converso, l’inadempimento dedotto in lite, accertato dalla Corte territoriale e reputato grave concerne il mancato pagamento per intero delle pigioni afferenti le mensilità di ottobre, novembre e dicembre 2013 (nonchè la metà delle pigioni per periodi temporali posteriori).

Quantomeno in ordine a siffatto inadempimento (che, come detto, fonda e giustifica la pronunciata risoluzione), del tutto a sproposito la ricorrente asserisce pertanto di aver in buona fede ottemperato alla “transazione”, che facultava soltanto una ridotta corresponsione (e non già una totale omissione) dei canoni dovuti.

4. Con il quinto motivo, “per violazione e falsa applicazione ” degli artt. 1453, 1455, 1175, 1206, 1207 e 1220 c.c.,” il ricorrente si duole del fatto che l’offerta banco judicis delle somme dovute formulata dalla conduttrice sin dalla costituzione nel procedimento per convalida di sfratto sia stata reputata dalla Corte di Appello non rilevante ai fini della valutazione della colpevolezza dell’inadempimento, poichè non avente le caratteristiche della offerta reale.

Anche questo motivo è infondato.

Come è noto, nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla disciplina L. n. 392 del 1978, art. 55, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera in tema di contratti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, in ordine ai quali l’offerta dei canoni insoluti effettuata dopo l’intimazione di sfratto non elide l’inadempimento rilevante a fini risolutori, dacchè, in forza del generale principio sancito dall’art. 1453 c.c., comma 3, dalla data della domanda giudiziale (che è quella avanzata ex art. 657 c.p.c., con l’intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto) il conduttore non può più adempiere (tra le tante, Cass. 31/05/2010, n. 13248; Cass., Sez. U, 28/041/1999, n. 272).

5. Disatteso il ricorso, il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis. La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, dott. Raffaele Rossi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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