Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9553 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 25/05/2020), n.9553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7652/2019 R.G. proposto da:

A.M.A. ARTISTICA MARMI ANGLONA S.R.L. in liquidazione, in persona del

liquidatore p.t., C.M.A. e S.M.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Gian Piero Depperu, con domicilio

in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di

cassazione;

– ricorrente –

contro

JULIET S.P.A., in persona della procuratrice B.M., in

qualità di mandataria della BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Gemma Maurizi, con domicilio eletto

in Roma, via Cola di Rienzo, n. 252, presso lo studio dell’Avv.

Marika Miceli;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del Tribunale di

Siena depositata il 5 febbraio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Lucio CAPASSO, che ha chiesto la

dichiarazione d’inammissibilità del regolamento di competenza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’A.M.A. Artistica Marmi Anglona S.r.l. in liquidazione, C.M.A. e S.M. convennero in giudizio la Juliet S.p.a., in qualità di mandataria della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 1433/18, emesso l’11 ottobre 2018 e dichiarato provvisoriamente esecutivo, con cui il Tribunale di Siena aveva intimato al’AMA, in qualità di debitrice principale, ed agli altri opponenti, in qualità di fideiussori, il pagamento della somma complessiva di Euro 201.297,98, oltre interessi legali, a titolo di saldo debitore di due conti correnti intestati alla società presso la Filiale di Olbia del MPS.

A sostegno dell’opposizione, eccepirono l’incompetenza del Giudice adì-to, assumendo che la debitrice principale aveva la propria sede nel circondario del Tribunale di Tempio Pausania, dove avrebbe dovuto essere eseguita l’obbligazione, ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 4. Contestarono inoltre che la società avesse mai intrattenuto i rapporti di conto corrente indicati nel ricorso per decreto ingiuntivo, rilevando che a quest’ultimo non era allegato alcun contratto, ma solo la certificazione di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 50, riguardante peraltro un conto diverso.

Si costituì la Juliet, e ribadì la competenza del Giudice adito, ai sensi dell’art. 20 c.p.c. e dell’art. 1182 c.c., comma 3, sostenendo inoltre che il decreto ingiuntivo era stato legittimamente emesso sulla base degli estratti conto, i quali costituivano prova del credito anche nel giudizio di opposizione.

3. Con ordinanza del 5 febbraio 2019, il Tribunale di Siena ha disposto la sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, rilevando, tra l’altro, l’infondatezza dell’eccezione d’incompetenza sollevata dagli opponenti, in quanto il credito azionato risultava perfettamente determinabile in base agli estratti conto prodotti in giudizio.

4. Avverso la predetta ordinanza gli opponenti hanno proposto istanza di regolamento di competenza, illustrata anche con memoria, alla quale la Juliet ha resistito con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premesso che, ai fini della decisione in ordine all’eccezione d’incompetenza da loro sollevata, l’ordinanza impugnata non avrebbe potuto fare riferimento agli estratti conto, ma avrebbe dovuto limitarsi ad esaminare i contratti di conto corrente posti a fondamento della domanda, i ricorrenti sostengono innanzitutto che, in quanto frutto dell’esercizio di poteri d’indagine che sarebbero risultati altrimenti preclusi, il convincimento espresso in ordine alla questione di competenza deve ritenersi definitivo, e quindi impugnabile con il regolamento di competenza. Aggiungono che la questione non può ritenersi delibata esclusivamente ai fini della sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, essendo stata esaminata in sede cautelare, previa costituzione della convenuta, affermando comunque che la prosecuzione del giudizio dinanzi al Giudice incompetente, oltre ad esporre essi ricorrenti ad elevati costi di difesa, comporterebbe la violazione dei principi costituzionali del giudice naturale e della ragionevole durata del processo, traducendosi inoltre in un illecito abuso dello strumento processuale, e ponendosi altresì in contrasto con il dovere d’interpretare le norme processuali in modo da evitare lo spreco di energie giurisdizionali.

Ciò posto, i ricorrenti ribadiscono che la competenza in ordine alla domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo spetta al Tribunale di Tempio Pausania, nel cui circondario è situata la sede dell’AMA e, ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 4, avrebbe dovuto essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio. Rilevato infatti che il credito azionato in giudizio non è indicato nel titolo contrattuale fatto valere con il ricorso, nè determinabile sulla base dei criteri ivi indicati, ma al più determinabile in base a documenti ulteriori, affermano che, nell’insistere sulla possibilità di desumerne l’ammontare dagli estratti conto prodotti, la convenuta confonde la liquidità originaria del credito con i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità necessari ai fini dell’accertamento del merito. Precisato inoltre di aver sempre negato che l’AMA avesse intrattenuto rapporti con la Filiale di Olbia del MPS, osservano che a sostegno della domanda la convenuta si è limitata a produrre dei moduli firmati non recanti alcuna condizione generale, uno schema di contratto privo di sottoscrizione ed estratti conto in parte relativi a rapporti diversi da quelli azionati, mentre ha omesso di allegare il saldaconto relativo ad uno dei conti correnti indicati.

2. Il ricorso è inammissibile.

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che l’ordinanza con la quale venga negata la sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto opposto ha natura interinale ed è produttiva di effetti destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronunzia sull’opposizione, senza interferire sulla definizione della causa, sicchè non è impugnabile con regolamento di competenza, neppure se rechi una sommaria delibazione della questione di competenza, finalizzata alla decisione sulla sussistenza o meno delle condizioni per la concessione della richiesta sospensione, attesa la natura strumentale e provvisoria del provvedimento, che non comporta alcuna decisione definitiva, neppure implicita, sulla competenza stessa (cfr. Cass., Sez. VI, 9/06/2017, n. 14513; 13/11/2015, n. 23309; Cass., Sez. III, 15/06/2006, n. 13765).

I ricorrenti contestano l’applicabilità del predetto principio alla fattispecie in esame, sostenendo che, in quanto fondata sull’esame di documenti diversi dai titoli contrattuali posti a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, l’affermazione della liquidità del credito azionato e della conseguente applicabilità dell’art. 1182 c.c., comma 3, dalla quale il Tribunale ha desunto la propria competenza, quale giudice del luogo in cui avrebbe dovuto essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio, non costituisce il frutto di una mera delibazione, ma di un accertamento al quale deve attribuirsi carattere definitivo, anche perchè intervenuto in sede cautelare, all’esito di un’udienza appositamente fissata e previa costituzione della convenuta. La distinzione in tal modo introdotta tra la mera delibazione, fondata sull’esame dei titoli contrattuali, e la decisione definitiva sulla competenza, fondata sui documenti prodotti in sede di opposizione, non può pe raltro essere condivisa, avuto riguardo al disposto dell’art. 38 c.p.c., comma 4, il quale, nel disciplinare la decisione della questione di competenza, prevede testualmente che la stessa dev’essere adottata “in base a quello che risulta dagli atti e, quando reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni”, in tal modo dispensando il giudice dall’espletamento di un’istruttoria approfondita come quella richiesta ai fini della decisione di merito, ma non escludendone l’ammissibilità, ove risulti compatibile con l’esigenza di una rapida definizione della questione pregiudiziale, e soprattutto evitando di distinguere tra gli elementi di prova a tal fine utilizzabili.

E’ noto d’altronde che, ai fini dell’individuazione di una decisione sulla competenza suscettibile d’impugnazione con il mezzo previsto dall’art. 42 c.p.c., la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso a criteri più rigorosi e meno opinabili di quello invocato dai ricorrenti, e segnatamente al dato di carattere procedimentale rappresentato dal previo adempimento delle formalità di cui agli artt. 187 e 189 c.p.c., in mancanza del quale ha richiesto che l’intento di definire una volta per tutte la questione di competenza emerga incontestabilmente dal tenore del provvedimento adottato: si è infatti affermato costantemente che il provvedimento con cui il giudice, senza rimettere la causa in decisione, e senza invitare le parti a precisare integralmente le proprie conclusioni, anche di merito, abbia affermato la propria competenza, disattendendo la corrispondente eccezione di parte e disponendo la prosecuzione del giudizio dinanzi a sè, non è impugnabile con il regolamento di competenza, a meno che lo stesso giudice non abbia manifestato, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incon-trovertibilità, la natura decisoria della propria pronuncia, evenienza questa che ricorre quando risulti, in modo appunto inequivoco ed oggettivo, che egli, nell’esprimersi sulla questione di competenza, ha inteso far luogo ad una valutazione che reputa non più discutibile ai sensi dell’art. 187 c.p.c., comma 3, e art. 177 c.p.c., comma 1 (cfr. Cass., Sez. Un., 29/09/ 2014, n. 20449; Cass., Sez. VI, 7/06/2017, n. 14223; 12/10/2016, n. 20608). L’applicazione di tale criterio non si pone in alcun modo in contrasto con il canone di ragionevole durata del processo, recepito a livello costituzionale dall’art. 111 Cost., la cui attuazione, in presenza di una questione di competenza, è rimessa in definitiva al prudente apprezzamento del giudice, il quale è chiamato a scegliere, in base ad una valutazione della sua fondatezza, tra l’immediata risoluzione della stessa, che espone la decisione alla impugnazione immediata ai sensi dell’art. 42 Cost., ed il rinvio della definizione all’esito dell’istruttoria, che può determinare un inutile dispendio di attività processuali. La predetta valutazione costituisce inoltre un efficace antidoto all’eventuale utilizzazione abusiva dello strumento processuale, non ricollegabile automaticamente alla mera proposizione della domanda dinanzi ad un giudice incompetente, la quale non è necessariamente dovuta all’intento di arrecare pregiudizio o rendere più difficile la difesa alla controparte, potendo dipendere anche da un errore nell’interpretazione o nell’applicazione dei criteri di collegamento previsti dalla legge.

La valorizzazione congiunta del dato formale e di quello sostanziale, risultante dall’orientamento citato, conduce nella specie ad escludere necessariamente la portata decisoria dell’ordinanza impugnata, la quale, oltre a non essere stata preceduta dalla formulazione dell’invito a precisare le conclusioni e dall’assegnazione della causa in decisione, non reca in motivazione alcuna espressione dalla quale possa desumersi, senza possibilità di equivoco, l’intenzione del Giudice di risolvere definitivamente la questione di competenza: nel disattendere l’eccezione sollevata dagli opponenti, a sostegno della quale era stata richiamata la nota pronuncia delle Sezioni Unite che ha risolto il contrasto insorto tra le Sezioni semplici nella definizione della nozione di liquidità dell’obbligazione, anche ai fini dell’individuazione del forum destinatae solutionis (cfr. Cass., Sez. Un., 13/09/2016, n. 17989), il provvedimento si è infatti limitato ad escluderne sinteticamente la fondatezza, affermando, senza ulteriori precisazioni, che il credito azionato risultava perfettamente determinabile sulla base degli estratti conto prodotti in giudizio.

3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 25 maggio 2020

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