Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9552 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 25/05/2020), n.9552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2172/2019 R.G. proposto da:

4A GRANITI E MATERIALI LAPIDEI DI A.A. S.A.S., in

persona del socio accomandatario A.A., rappresentata e

difesa dagli Avv. Alessandro Melis e Luca Balzano, con domicilio

eletto in Roma, via P. Falconieri, n. 100, presso lo studio

dell’Avv. Paola Fiecchi;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SETTIMO SANPIETRO, in persona del Sindaco p.t.,

rappresentato e difeso dagli Avv. Maria Gabriella Boero e Carlo

Caboni, con domicilio eletto in Roma, via Portuense, n. 104, presso

lo studio del Dott. Fabio Trinca;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso la sentenza del Tribunale di

Cagliari n. 3052/18 depositata il 4 dicembre 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto

la dichiarazione di competenza del Tribunale di Cagliari.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La 4A Graniti e Materiali Lapidei di A.A. S.a.s., già proprietaria di alcuni lotti di terreno edificabili siti in (OMISSIS), ed inclusi nel piano di lottizzazione residenziale di iniziativa privata denominato Le Spighe di Grano, convenne in giudizio il Comune, per sentir pronunciare l’annullamento per dolo o errore della convenzione stipulata il 21 aprile 2005, con cui, nell’ambito della procedura espropriativa promossa dal Comune, era stata concordata la cessione bonaria dei predetti suoli, da destinare all’edilizia residenziale pubblica.

A sostegno della domanda, l’attrice espose che l’indennità corrisposta dal Comune risultava notevolmente inferiore all’effettivo valore di mercato dei suoli, sostenendo di averla accettata per effetto delle pressioni del Comune, il quale l’aveva indotta a ritenere erroneamente che, in alternativa, sarebbe stata costretta a subire l’espropriazione, con la liquidazione di un’indennità inferiore a quella offerta.

Si costituì il Comune, e resistette alla domanda, negando che la stipulazione del contratto avesse avuto luogo nell’ambito di un procedimento espropriativo, in quanto lo stesso non era mai stato avviato, dal momento che la proposta di cessione era stata avanzata dagli stessi espropriati, i quali avevano presentato, in allegato al progetto di lottizzazione, uno schema di convenzione recante la determinazione dell’indennizzo, integralmente recepito dal contratto poi stipulato. Contestò inoltre la sussistenza del dolo o dell’errore e la riconoscibilità di quest’ultimo, negando altresì che l’indennizzo fosse irrisorio o comunque inferiore ai valori di mercato correnti.

1.1. Con sentenza del 4 dicembre 32018, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato la propria incompetenza per materia, rimettendo le parti dinanzi alla Corte d’appello in unico grado.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha affermato che la corte d’appello è funzionalmente competente a conoscere in unico grado tutte le controversie inerenti alla determinazione della giusta indennità di espropriazione, non solo in sede di opposizione alla stima, ma anche nei casi in cui al soggetto espropriato è riconosciuta la facoltà di chiedere la liquidazione dell’indennità dovuta in base ai parametri di legge in concreto applicabili, a fronte di cessione volontaria, acquisizione sanante o deprezzamento delle aree residue. Premesso infatti che, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e 191 del 2006, la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo è rimasta circoscritta alle occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione ed attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, mentre ricadono nella giurisdizione ordinaria le occupazioni illegittime conseguenti a comportamenti di mero fatto, ha precisato che tale criterio di ripartizione ha trovato conferma nel D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. g), il quale ha fatto salva la giurisdizione del Giudice ordinario relativamente alle controversie riguardanti la liquidazione dell’indennità di espropriazione, concludendo che la competenza del tribunale è ormai limitata a quelle riguardanti le occupazioni di mero fatto che configurano un illecito aquiliano ed i procedimenti instaurati nel periodo compreso fra la data di entrata in vigore del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e quella di entrata in vigore della L. 21 luglio 2000, n. 205.

Ciò posto, il Tribunale ha osservato che la cessione volontaria rappresenta un modo tipico di chiusura del procedimento ablatorio, consistente in un contratto di diritto pubblico regolato dalla legge speciale in materia di espropriazioni, ed inquadrabile nella categoria degli accordi sostitutivi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, dai quali si differenzia tuttavia per l’assenza di profili di discrezionalità relativi al contenuto tipico, in quanto la determinazione dell’indennità non può derogare in alcun modo ai parametri stabiliti dalla legge. Precisato che non tutti gli accordi aventi ad oggetto la cessione di un bene da destinarsi alla realizzazione di un’opera pubblica sono riconducibili al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 45, non potendosi escludere che la Pubblica Amministrazione possa acquisire un immobile a mezzo di un ordinario contratto di compravendita, ha affermato che, ai fini della configurabilità di una cessione volontaria, occorre 1) l’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, 2) la preesistenza di un’efficace dichiarazione di pubblica utilità, 3) un subprocedimento di determinazione dell’indennità e la relativa offerta ed accettazione, 4) un prezzo di trasferimento correlato ai parametri legali inderogabilmente previsti per la determinazione dell’indennità di espropriazione. Ha rilevato che nella specie ricorrevano tutte le predette condizioni, in quanto a) il piano urbanistico comunale aveva previsto la realizzazione di un intervento di edilizia residenziale pubblica ricadente in parte nelle aree incluse nel piano di lottizzazione convenzionata di iniziativa privata denominato Le Spighe di Grano, b) tale piano era stato adottato e definitivamente approvato con delibere consiliari, c) nelle delibere si dava atto dell’intervenuta dichiarazione di pubblica utilità delle aree da destinare all’edilizia residenziale pubblica, d) alle delibere erano allegati il piano particellare di esproprio, la stima del valore di mercato delle aree da acquisire ed il calcolo delle indennità da liquidare in caso di cessione volontaria, e) le ditte lottizzanti avevano dichiarato di accettare le indennità, f) con l’atto del 21 aprile 2005 era stata stipulata la prescritta convenzione di lottizzazione, con contestuale cessione delle aree al Comune, g) nella convenzione si ribadiva che le indennità erano state determinate ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37. Ha quindi concluso per la configurabilità di un accordo pubblicistico di cessione, ai sensi del predetto D.P.R. n.327 del 2001, art. 45, e per la conseguente necessità di rimettere le parti dinanzi alla Corte d’appello, competente ai sensi dell’art. 54, ai fini della liquidazione della giusta indennità spettante all’attrice, anche per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dei criteri in concreto utilizzati per la stima e della successiva modificazione dell’art. 37 citato.

2. Avverso la predetta sentenza l’attrice ha proposto istanza di regolamento di competenza, illustrata anche con memoria, alla quale il Comune ha resistito con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premesso che nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari la competenza del Giudice adito non è stata mai messa in discussione, nè dal Comune, il quale si è limitato a difendersi nel merito, nè dallo stesso Tribunale, il quale non ha mai accennato alla competenza funzionale della Corte d’appello, la ricorrente osserva, in particolare, che l’incompetenza non è stata eccepita nè rilevata nè nella prima udienza nè in quella successiva, nella quale sono stati concessi i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, con la conseguenza che la causa è stata regolarmente istruita, fatta eccezione per il mancato espletamento della c.t.u. Afferma pertanto che la questione di competenza, sollevata soltanto nella sentenza impugnata, è stata rilevata d’ufficio in violazione dell’art. 38 c.p.c., comma 3, ai sensi del quale l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio inderogabile sono rilevabili d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 183. Precisato che, in quanto prevista libro I del codice di rito, la predetta preclusione ha carattere generale, ed è pertanto applicabile anche alla competenza funzionale in unico grado attribuita alla corte d’appello del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 53 e 54, afferma comunque che dagli atti e dalle allegazioni delle parti emergeva incontrovertibilmente che la domanda proposta da essa ricorrente aveva ad oggetto la liquidazione della giusta indennità di esproprio, da commisurare al valore di mercato delle aree cedute.

2. Il ricorso è fondato.

E’ infatti pacifico che la questione di competenza è stata sollevata per la prima volta dalla sentenza impugnata, non essendo stata rilevata d’ufficio nel corso della trattazione della causa nè eccepita dall’Amministrazione convenuta, la cui difesa, anzi, ha espressamente affermato di ritenere anch’essa competente il Giudice adito, sia pure in virtù di una qualificazione del rapporto controverso differente da quella prospettata dall’attrice, e precisamente della tesi secondo cui la convenzione stipulata tra le parti avrebbe natura squisitamente privatistica, in quanto non collegata ad un procedimento ablatorio.

L’omessa rilevazione della questione di competenza nel termine ultimo rappresentato dalla chiusura dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. ne ha comportato, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., comma 3, la definitiva preclusione, che avrebbe impedito al Tribunale di dichiarare la propria incompetenza, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la competenza per materia della corte d’appello in ordine alla determinazione dell’indennità di espropriazione sia configurata dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 1250, art. 29, comma 2, come competenza in unico grado, avente carattere funzionale, in considerazione della portata generale dell’art. 38 c.p.c., collocato nel libro I del codice di rito, e della mancata previsione di eccezioni alla regola da esso stabilita. Si è d’altronde rilevato che la previsione di competenze in unico grado è implicitamente contemplata dall’art. 9 c.p.c., ovverosia da una norma anch’essa contenuta nella disciplina generale della competenza, la quale, dopo aver indicato nell’art. 7 le ipotesi di competenza del giudice di pace, dispone che il tribunale è competente su tutte le cause che non siano di competenza di altro giudice, in tal modo riferendosi anche alle ipotesi di competenza in unico grado della corte d’Appello o di sezioni specializzate dello stesso tribunale (cfr. in riferimento all’analoga competenza precedentemente prevista dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, Cass., Sez. I, 27/10/2016, n. 21735; 12/10/2007, n. 21434; Cass., Sez. III, 17/03/2006, n. 5962).

3. E’ invece inammissibile la questione sollevata dalla difesa del Comune nella memoria di costituzione, in cui, pur confermando di non aver mai inteso contestare la competenza del Giudice adito, censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 20, 45 e 54, nella parte in cui ha qualificato l’accordo intervenuto tra le parti come cessione volontaria.

In tema di regolamento di competenza, l’art. 47 c.p.c., u.c., attribuendo alle parti cui è notificato il ricorso soltanto la facoltà di depositare scritture difensive e documenti, esclude l’ammissibilità del ricorso incidentale, ponendo a carico della parte che intenda impugnare a sua volta la pronuncia sulla competenza l’onere di proporre autonoma istanza di regolamento nel termine previsto dall’art. 47 c.p.c., comma 2 (o, in mancanza di comunicazione del provvedimento impugnato, in quello di cui all’art. 327 c.p.c.), la cui inosservanza preclude comunque ogni possibilità di conversione delle censure proposte in autonomo regolamento (cfr. Cass., Sez. VI, 20/08/2018, n. 20826; 16/07/2012, n. 12143; Cass., Sez. III, 29/09/2005, n. 19131).

La mera circostanza che, ai fini della decisione della competenza, la sentenza impugnata abbia proceduto alla qualificazione del contratto stipulato tra le parti non può d’altronde ritenersi sufficiente a far sorgere un interesse all’impugnazione: è noto infatti che la sentenza del giudice che statuisca unicamente sulla competenza non contiene alcuna pronuncia di merito, nè esplicita nè implicita, idonea a passare in giudicato, sicchè, anche nell’ipotesi in cui abbia esaminato e deciso questioni di merito ai fini dell’accertamento della competenza, dà luogo ad un giudicato solo formale e non preclude al giudice dichiarato competente l’esame e l’applicazione, ai fini della decisione di merito, delle norme di diritto sostanziale, ancorchè in contrasto con le premesse della sentenza sulla competenza (cfr. Cass., Sez. I, 18/07/2019, n. 19472; 20/03/2018, n. 6970; Cass., Sez. II, 26/11/2014, n. 25144).

4. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con la conseguente dichiarazione di competenza del Tribunale di Cagliari, dinanzi al quale le parti vanno rimesse, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

dichiara la competenza del Tribunale di Cagliari, dinanzi al quale il processo dovrà essere riassunto nel termine di legge.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 25 maggio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA