Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9550 del 30/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9550 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 20389-2012 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, EMANULELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

MARRA MAFALDA, CICALA FILOMENA, CICALA VITO,
CICALA OTTORINO, CICALA ANTONIETTA, CICALA CESIRA,
nella qualità di eredi di CICALA COSIMO;
– intimati –

Data pubblicazione: 30/04/2014

avverso la sentenza n. 147/2011 della CORTE D’APPELLO di
LECCE del 9/03/2011, depositata 11 7/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito l’Avvocato MAURO RICCI difensore del ricorrente che si riporta

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con sentenza n. 147/2011, depositata in data 7 settembre 2011, la
Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto -,
pronunciando sull’impugnazione proposta dall’I.N.P.S., nei confronti di
Cosimo Cicala, avverso la decisione resa dal Tribunale di Taranto,
confermava la declaratoria del diritto dell’assicurato alla conversione
della pensione di invalidità in quella di vecchiaia a decorrere dal primo
giorno del mese successivo a quello del perfezionamento dei relativi
requisiti (compimento dell’età).
L’I.N.P.S. ricorre per cassazione con due motivi.
Parte intimata (nella specie il ricorso è stato notificato a Mafalda
Marra, Filomena Cicala, Vito Cicala, Ottorino Cicala, Antonietta Cicala
e Cesira Cicala, nella qualità di eredi di Cosimo Cicala, giusta certificato
di morte di quest’ultimo e stato di famiglia del Comune di Taranto,
ritualmente prodotti dal ricorrente) è rimasta tale.
Con il primo motivo di doglianza l’Istituto previdenziale denuncia la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1, comma 10, della legge n. 222
del 1984, dell’art. 8 del d.l. n. 463 del 1983, conv. nella legge n. 638 del
1983, dell’art. 60 del r.d.l. n. 1827 del 1935, dell’art. 9 del r.d.l. n. 639 del
1939, dell’art. 2 della legge n. 218 del 1952, degli artt. 1, 2, 5 e 6 del d.lgs.
n. 503 del 1992, nonché vizio di motivazione. Censura l’Istituto la parte
della motivazione in cui si è osservato che, in sede di trasformazione del
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agli scritti.

titolo della pensione, rimane salvo il trattamento previdenziale più
favorevole in godimento.
Con il secondo motivo di ricorso, nel dedurre la violazione delle
medesime disposizioni, nonché vizio di motivazione, l’Istituto censura la
sentenza impugnata in quanto il diritto alla trasformazione non si

vecchiaia, ma solo a seguito di specifica domanda presentata
dall’interessato.
Entrambi i motivi sono manifestamente fondati.
E’ opportuno, in via preliminare, richiamare i principi enunciati da
questa Corte in materia.
La trasformazione della pensione d’invalidità acquisita nella vigenza
del regime di cui all’art. 10 del r.d.l. 14 aprile 1939 in pensione di
vecchiaia è possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti
anagrafico e contributivo propri di quest’ultima prestazione, non
potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianità contributiva,
il periodo di godimento della pensione d’invalidità. Infatti, deve
escludersi la possibilità di applicare alla pensione d’invalidità la diversa
regola prevista dall’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984 in
riferimento all’assegno d’invalidità – secondo cui i periodi di godimento
di detto assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si
considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacché
ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione,
nella normativa sulla pensione d’invalidità, della utilizzazione del
periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva,
il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento
previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di
prestazione di attività lavorativa e di versamento di contributi, nonché le
differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione d’invalidità e quella
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realizza automaticamente al perfezionarsi dei requisiti per la pensione di

sull’assegno d’invalidità, laddove quest’ultimo, segnatamente, è
sottoposto a condizioni più rigorose, anche e soprattutto rispetto al
trattamento dei superstiti (cfr. Cass. 7 luglio 2008, n. 18580; id. 9 marzo
2009, n. 5646; 27 dicembre 2011, n. 29015).
Inoltre, la conversione della pensione di invalidità in pensione di

anagrafici e contributivi previsti per quest’ultima prestazione ma come
effetto di una specifica opzione dell’interessato che, pertanto, è tenuto a
presentare domanda di trasformazione (cfr. in tal senso Cass. 26
febbraio 2007; id. 25 novembre 2009, n. 24772; 17 marzo 2010, n. 6434;
17 febbraio 2011, n. 3855). Ne consegue che il diritto alla conversione
decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione
della relativa domanda amministrativa e non dà titolo alla conservazione
del più favorevole trattamento economico eventualmente in godimento,
essendo ricollegata la trasformazione del titolo alla libera scelta
dell’assicurato e non ad automatismi che possano giustificare
l’irriducibilità del trattamento (cfr. la già citata Cass. n. 3855 del 2011).
Tanto premesso, va osservato che la statuizione della Corte di
appello, nel ritenere la sussistenza dell’interesse ad agire anche nel caso
in cui le due prestazioni non si differenzino impinge, invero, la
questione su cui principalmente vene il motivo di ricorso e cioè se nel
caso di trasformazione della pensione di invalidità ante lege n. 222/84 in
pensione di vecchiaia, l’importo di vecchiaia possa essere inferiore a
quello della pensione di invalidità in godimento, e l’assicurato non abbia
diritto alla conservazione del trattamento di maggiore importo.
Orbene, sul punto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che
la conservazione è valida solo nel regime della trasformazione della
prestazione da assegno ordinario di invalidità (1. n. 222/84, art. 1,

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vecchiaia non opera automaticamente al compimento dei requisiti

comma 1 e segg.), in pensione di vecchiaia (Cass. 26 luglio 2010, n.
17492).
Di conseguenza deve ritenersi errata l’affermazione del giudice di
merito che, in caso di trasformazione, l’importo della pensione di
vecchiaia non possa essere minore di quello della pensione di invalidità,

prestazione da assegno ordinario di invalidità in pensione di vecchiaia.
Egualmente errata (ancorché, per quanto sopra evidenziato, di fatto
ininfluente ai fini della pretesa – infondata – di conservazione del
trattamento di miglior favore) è la ritenuta decorrenza del nuovo
trattamento pensionistico dal compimento dell’età e non dalla domanda
amministrativa.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, in accoglimento del
ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio ad altra Corte
di appello che deciderà la causa attenendosi ai principi sopra enunciati, il
tutto, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.”.
2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore
siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata
giurisprudenza di legittimità in materia.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata
sentenza; non ricorrendo i presupposti per definire la causa nel merito
ex art. 384, comma 2, seconda parte, cod. proc. civ., deve disporsi il
rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Lecce,
in diversa composizione, che deciderà la causa attenendosi ai principi
sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

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valendo tale previsione solo nel regime della trasformazione della

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce, in diversa
composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2014.

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