Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9550 del 13/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 13/04/2017, (ud. 02/11/2016, dep.13/04/2017),  n. 9550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20712/2013 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrente –

contro

F.M., B.A. e B.C., in qualità di

eredi di B.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato EDOARDO CAPPELLINI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 906/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/11/2016 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA;

udito l’Avvocato VINCENZO RAGO per l’Avvocatura dello Stato;

udito l’Avvocato GIAMMARIA CAMICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del motivo 2 di

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2008, B.S. convenne in giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti ad infezione da HCV, contratta a causa di una trasfusione effettuata nel febbraio (OMISSIS).

Si costituì in giudizio il Ministero convenuto, eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto azionato, l’infondatezza della domanda per mancanza del nesso causale e per difetto di un comportamento colpevole del Ministero, essendo stata somministrata la trasfusione quando era ancora sconosciuto anche il virus HBV.

La causa veniva istruita mediante CTU medico-legale, la quale, tra l’altro, evidenziava che, fin dagli anni 1966-1967 era stato accertato e scoperto il virus dell’epatite B, era nota la possibilità di una sua trasmissione attraverso il sangue ed erano previsti esami che, se effettuati, avrebbero evitato o comunque fortemente limitato il diffondersi del virus.

Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 3134/2011, respinta l’eccezione di prescrizione del Ministero della Salute, pur ritenendo sussistente il nesso causale fra il danno subito dall’attore e la trasfusione, rigettò la domanda per assenza di prove della responsabilità del convenuto.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 906 dell’11 giugno 2013. La Corte, ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata specificazione dei motivi di impugnazione, nonchè la domanda, svolta in via incidentale dall’Amministrazione appellata, per la dichiarazione della prescrizione; ha invece ritenuto sussistente la responsabilità del Ministero osservando che, già fin dagli anni 1970, il Ministero, nelle sue funzioni di massimo organo di vigilanza della salute pubblica e dell’organizzazione sanitaria in generale, avrebbe dovuto adottare tutte le cautele possibili per evitare l’acquisizione di sangue già infetti e comunque non idonei, per anamnesi, malattie specifiche in atto o pregresse, a garantire l’immunità da virus del sangue ceduto.

3. Avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione il Ministero della Salute, sulla base di due motivi.

3.1 Resistono con controricorso gli eredi di B.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso, il Ministero lamenta la “violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Erroneo rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello avversario per mancata specifica impugnazione di una parte della sentenza di primo grado”.

Secondo il ricorrente, il B., nel giudizio di appello, non avrebbe assolto all’onere di indicare i motivi di appello, nonchè di specificare in maniera chiara ed inequivoca le ragioni in fatto ed in diritto della doglianza, in modo da consentire l’identificazione esatta dei limiti del devolutum e di dedurre gli errori logici e giuridici della decisione impugnata.

L’appellante si era infatti limitato a dedurre che il giudice di primo grado si sarebbe discostato dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario, senza chiarire in che modo l’orientamento richiamato avrebbe giustificato una valutazione di erroneità della decisione di primo grado (in particolare circa l’assenza di prova di valori delle transaminasi superiori alla norma nel plasma utilizzato per le trasfusioni e circa l’assenza di prova dell’omissione dei controlli prescritti dalla circolare ministeriale n. 50/1966).

Il richiamo dell’appellante alla sentenza delle S.U. n. 577/2008, applicativa del principio della vicinanza della prova, sarebbe inconferente perchè non supererebbe l’affermazione del Tribunale circa l’assenza di prova e perchè tale principio sarebbe applicabile solo alle Aziende Sanitarie ma non al Ministero della salute, terzo rispetto al contratto di spedalità e impossibilitato ad acquisire i dati sensibili riguardanti il paziente per difendersi nel giudizio. Sarebbe invece il paziente ad avere l’onere di acquisire i dati che lo riguardavano.

Inoltre, la Corte di appello sarebbe viziata per aver presunto, in virtù del principio di vicinanza della prova, nesso causale e colpa del Ministero pur in difetto di accertamento circa l’effettiva omissione dei controlli da parte del medesimo Ministero.

Il motivo è infondato.

In merito al requisito della specificità dei motivi di cui all’art. 342 c.p.c., (nella formulazione, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012), l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza è quello secondo cui escluso “qualsiasi particolare rigore di forme” (Cass. n. 6978/2013), il requisito “deve ritenersi sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione consenta di individuare le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, così da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure e alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva. Non è invece richiesta nè l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione” (Cass. n. 22502/2014; cfr. anche Cass. n. 22781/2014).

Nel caso di specie, i giudici di seconde cure, come risulta dalla sentenza impugnata, hanno individuato con esattezza le ragioni di doglianza da parte del B. (attinenti al riparto dell’onere probatorio circa la sussistenza o l’insussistenza della condotta omissiva), evidenziando altresì che l’appellante aveva riportato ampi brani della sentenza impugnata, confrontandoli con i principi giurisprudenziali richiamati.

4.2. Con il secondo motivo, si denuncia “violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 350 c.p.c., n. 3. Erroneità della sentenza che ha dato per scontata la sussistenza del nesso di causalità tra la patologia epatica e le trasfusioni del (OMISSIS), data in cui non era ancora stato scoperto il virus HBV. Difetto di nesso causale e, in ogni caso, difetto di qualsiasi comportamento omissivo imputabile al Ministero”.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente aderito alle conclusioni del CTU che aveva riconosciuto il nesso causale tra il contagio e la trasfusione del (OMISSIS), quando non erano ancora stati individuati nè il virus del HBV, nè efficaci metodi di individuazione del virus nel sangue dei donatori.

Il recente orientamento della Cassazione secondo cui la responsabilità del Ministero decorrerebbe dalla metà degli anni ‘60, perchè in quel periodo sarebbe avvenuta la conoscenza del rischio di contagio epatico da emotrasfusione, si sconterebbero con pacifica letteratura medica, secondo la quale i virus epatici sarebbero distinti tra loro e diversi sarebbero i test rivelatori.

In ogni caso, nessuna responsabilità colpevole potrebbe essere addebitata al Ministero per danni da emotrasfusioni effettuate in data antecedente alla scoperta del virus HBV (1978).

Il motivo è infondato.

Secondo l’orientamento ormai maggioritario della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità omissiva dell’Amministrazione per contagio derivante da emotrasfusione o da utilizzo di prodotti emoderivati, sussiste la responsabilità dell’Amministrazione anche nel caso di trattamenti precedenti alla data in cui il virus dell’epatite B è stato definitivamente identificato in sede scientifica internazionale, in quanto già prima di tale data, a partire della metà degli anni ‘60, era noto il rischio collegato alla trasmissione dell’epatite ed il Ministero era tenuto a vigilare sulla sicurezza del sangue e ad adottare le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana (Cass. civ., Sez. 6 Lavoro ord. 4/2/2016 n. 2232; Cass. civ. 7126-7127-7129/2015; Cass. civ. 6746/2015; Cass. civ. 1131/2015; Cass. civ. Sez. 3, 12/12/2014 n. 26152; Cass. civ. Sez. 3, 30 agosto 2013, n. 19995; Cass. civ. Sez. 3, 29/08/2011, n. 17685).

Risulta quindi superato l’opposto orientamento espresso da Cass. 2250/2013, la quale aveva escluso la responsabilità del Ministero per contagi avvenuti a causa di trattamenti anteriori al 1978, senza necessità di ulteriori accertamenti da parte del giudice del merito, non ricorrendo la regolarità causale tra omesso controllo da parte del Ministero e tali contagi.

Peraltro, le successive pronunce che avevano raccolto tale orientamento avevano fatta salva la possibilità che il giudice del merito accertasse la conoscenza oggettiva, ai più alti livelli scientifici, della possibilità della veicolazione di virus attraverso sangue infetto, anche in una data antecedente a quella del riconoscimento del virus dell’epatite B da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 20/05/2015 n. 10291; Cass. Civ. 821-823/2015).

E, nel caso, la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado aveva stabilito che, fin dagli anni 1966-1967, era stato scoperto il virus dell’epatite B, era nota la possibilità di una sua trasmissione attraverso il sangue ed erano previsti esami che, se effettuati, avrebbero evitato o comunque fortemente limitato il diffondersi del virus.

Si osserva inoltre che non rispetterebbe i consolidati principi della giurisprudenza di legittimità la pronuncia che addossasse al danneggiato “l’onere di provare la colpa del Ministero nel processo di diffusione dei virus trasmissibili con la trasfusione al momento della medesima” (Cass. 19995/13).

Al contrario, è in capo all’Amministrazione, l’onere di vincere la presunzione di colpa e di provare di aver adottato le condotte necessarie per evitare la contagiosità del sangue destinato alla trasfusione che ha provocato il danno per cui è causa, a prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica (Cass. Civ. Sez. 3, 14/3/2014, n. 5954). Il Ministero della salute, infatti, era tenuto a vigilare sulla sicurezza del sangue e ad adottare le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana.

La Corte di Firenze, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra enunciati.

5. Le spese del giudizio di legittimità in considerazione della complessità della vicenda sono compensate.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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