Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9549 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 29/04/2011), n.9549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28030/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

R.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 70/2005 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 11/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 70/07/05, depositata l’11.7.05, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di Milano, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto da R.R. avverso l’avviso di accertamento IRPEF ed ILOR, per gli anni 1989 e 1990.

2. La Commissione Tributaria Regionale – dopo avere accolto il motivo di appello concernente l’applicazione retroattiva degli indici e coefficienti presuntivi (c,d. redditometri) di cui ai D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, – rigettava, invero, l’appello nel merito.

Il giudice del gravame riteneva, difatti, irrilevante, ai fini della tassazione, il possesso di un’autovettura da parte del R., poichè strumentale all’attività di impresa del contribuente, e statuiva che le spese inerenti alla casa di abitazione del medesimo andassero ridotte al 50%, tenuto conto dei dati desumibili dalla dichiarazione dei redditi del coniuge, C.R..

3. Per la cassazione della sentenza della C.T.R. n. 70/07/05 hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve, in via pregiudiziale, dichiararsi la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente.

Ed invero, va osservato che, qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi verificata, ancorchè per implicito, l’estromissione del Ministero delle Finanze dal giudizio.

Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Premesso quanto precede, si passa, a questo punto, all’esame delle censure proposte dall’Agenzia delle Entrate avverso l’impugnata sentenza.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, e dei principi in tema di determinazione del reddito di impresa.

L’Agenzia delle Entrate si duole, invero, del fatto che la CTR abbia ritenuto irrilevante, ai fini dell’accertamento del reddito del R. assoggettabile a tassazione, il possesso di un’autovettura da parte del medesimo, ritenendo che tale bene fosse strumentale all’attività svolta dal contribuente (agente di commercio).

2.2. Il motivo è fondato e va accolto.

Osserva, invero, la Corte che, in tema di accertamento dei redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 2, – nel testo temporalmente applicabile alla fattispecie in esame – costituisce un elemento indicativo di capacità contributiva, tra gli altri, “la disponibilità”, in Italia o all’estero, di “autoveicoli”. Il possesso del bene in questione, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, pertanto, una presunzione legale di capacità contributiva, ai sensi dell’art. 2728 c.c., atteso che è la legge stessa a ricollegare al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva. Ne discende che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità contributiva, non può privare tali elementi della capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma. E ciò in quanto tali somme siano – per qualsiasi ragione – non imponibili, o siano già sottoposte ad imposta, o – ancora – siano, in tutto o in parte, esenti da tassazione (v., in tal senso, Cass. 16284/07).

2.3. Orbene, nel caso di specie, la CTR ha ritenuta esaustiva l’allegazione del contribuente, secondo il quale l’autovettura in contestazione era stata indicata in dichiarazione come bene strumentale all’attività svolta e, pertanto, la stessa non poteva essere considerata un bene per il quale erano da ritenersi applicabili i criteri presuntivi, di cui ai D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992.

2.4. Tale assunto del giudice di appello è erroneo, e non può, pertanto, essere condiviso.

Va osservato, infatti, che per la deducibilità delle spese relative a beni strumentali, ai fini delle imposte sui redditi, è necessaria – a differenza di quanto è previsto per l’IVA, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e ss., – l’annotazione del registro dei beni ammortizzabili, prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, in difetto della quale non può farsi luogo, pertanto, alla deducibilità dei relativi costi ai fini IRPEF e ILOR (Cass. 16702/05).

Nel caso concreto, il contribuente – sul quale incombeva il relativo onere – non ha fornito prova alcuna di avere posto effettivamente in essere tale condizione per la deducibilità delle spese in parola, per cui il motivo di ricorso formulato, al riguardo, dall’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto.

3. Con il secondo motivo di ricorso, l’Ufficio censura la motivazione insufficiente dell’impugnata sentenza, nella parte in cui ha statuito che le spese inerenti alla casa di abitazione del R. andassero ridotte al 50%, tenuto conto dei dati desumibili dalla dichiarazione dei redditi del coniuge, C.R..

3.1. Anche tale motivo, a giudizio della Corte, si palesa fondato e deve essere accolto.

Premesso, infatti, che anche la disponibilità, in Italia o all’estero, di “residenze principali o secondarie” da luogo a presunzione legale di capacità contributiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 2, (nel testo applicabile ratione temporis) e art. 2728 c.c. (Cass. 16284/07, non può revocarsi in dubbio che, a fortiori, la CTR avrebbe dovuto tenere conto in motivazione della deduzione dell’Ufficio circa la mancanza, nella dichiarazione dei redditi del R., del codice fiscale della consorte, C. R..

Tale allegazione dell’Ufficio, in quanto inerente ad un punto essenziale della controversia, essendo in discussione proprio la partecipazione – dedotta dal contribuente – della moglie al pagamento delle spese in questione, avrebbe dovuto essere presa in considerazione dal giudice di appello, sia pure al solo fine di affermarne l’irrilevanza. Tanto più che la CTR ha ritenuto di valorizzare – ai fini del superamento della presunzione di capacità contributiva del R., derivante dal possesso di una casa di abitazione – l’elemento documentale costituito dalla dichiarazione dei redditi della C., ritenendolo probante nel caso sottoposto al suo esame. E tuttavìa, il giudice di appello non ha in alcun modo esplicitato le ragioni per le quali tale dichiarazione si sarebbe rivelata decisiva nel caso concreto, nè quali fossero i dati emergenti dal modello 740 presentato dalla C., ritenuti pienamente attendibili.

Sicchè il vizio motivazionale censurato dall’Ufficio ricorrente, a parere della Corte, si palesa del tutto evidente.

4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta l’opposizione proposta dal contribuente.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità, oltre a quelle delle fasi di merito, vanno poste a carico della contribuente soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione;

dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnato sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta dal contribuente; condanna l’intimato al rimborso delle spese del presente giudizio, a favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 1.200,00, oltre le spese prenotate a debito, nonchè delle spese dei giudizi di merito, che liquida in Euro 400,00 per diritti ed Euro 700,00 per onorari, per ciascuna fase di merito, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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