Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9549 del 13/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 13/04/2017, (ud. 02/11/2016, dep.13/04/2017),  n. 9549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7562/2014 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro in carica

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

O.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO

TROGO 21, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MATALUNO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FERNANDO VALERI giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2476/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/11/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato VINCENZO RAGO;

udito l’Avvocato FERNANDO VALERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 3.5.2013 n. 2476, ha confermato la decisione di prime cure che aveva condannato il Ministero della Salute a risarcire O.G. dei danni alla salute patiti in conseguenza di contrazione della epatite C determinata da trasfusione di sangue infetto effettuata nel 1976.

I Giudici di appello ritenuta infondata la eccezione di prescrizione proposta dal Ministero, hanno ritenuto che la normativa vigente al tempo della trasfusione, pur in assenza della elaborazione dei markers del virus HBC e HCV, imponeva l’adozione di specifiche condotte volte ad evitare il rischio di trasmissione di infezioni attraverso le trasfusioni di sangue e le somministrazioni di emoderivati: l’omissione di tali prescrizioni, ed ancora la mancata prova della attività di sorveglianza svolta dal Ministero sulle strutture sanitarie per accertare che si conformassero a tali prescrizioni precauzionali, integrava la fattispecie illecita sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpa, sia sotto il profilo della riconducibilità dell’evento lesivo (contagio del virus) a tale condotta omissiva. La unitarietà del fatto genetico idoneo a produrre il danno, rendeva poi irrilevante la natura del virus HCV trasmesso alla danneggiata.

La sentenza di appello non notificata, è stata impugnata per cassazione dal Ministero della Salute con un unico mezzo relativo a vizio di errore di diritto. Resiste con controricorso O.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il Ministero censura la sentenza di appello per violazione dell’art. 2043 c.c., sostenendo che il virus HCV era stato scoperto soltanto nell’anno 1988 ed il virus HBV nell’anno 1978, non disponendo l’organizzazione sanitaria al tempo del fatto di conoscenze scientifiche e di strumenti di prevenzione idonei ad eliminare il rischio di infezione, con la conseguenza che, anche a conformarsi all’arresto delle SS.UU. di cui alla sentenza n. 576/2008 (che individuava nelle diverse forme di patologia epatica non eventi dannosi autonomi ma manifestazioni patogene di un unico evento lesivo – trasfusione di sangue infetto -, sicchè la prevenzione adottata al tempo della conoscenza della epatite B, ove fosse stata in concreto osservata, era da ritenere idonea ad impedire o scemare in misura rilevante anche il contagio degli altri virus ancora non noti), non sarebbe stato comunque consentito imputare alcuna condotta omissiva illecita alla Amministrazione dello Stato per fatti risalenti a data anteriore alla scoperta del virus HBV. Il Ministero ricorrente supporta la censura richiamandosi alla sentenza n. 11609/2005 di questa Corte ed ad altra recente pronuncia, secondo cui la mancata conoscenza ai massimi livelli scientifici della esistenza del virus al tempo della trasfusione, incide escludendola sulla regolarità causale tra la condotta medica – trasfusione – e l’evento lesivo – trasmissione del contagio – dovendo ritenersi tale evento come “assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolarità causale”.

Il motivo è infondato.

La sentenza di appello ha puntualmente ricostruito, con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, nè peraltro censurato dal Ministero ricorrente, la normativa di prevenzione vigente al tempo della effettuata trasfusione, nonchè lo stato delle conoscenze scientifiche raggiunte, avendo evidenziato la Corte territoriale, in particolare, che il virus della epatite B, scoperto negli anni 1965-1966 (allora definito come antigene – Australia o HBsAg), era stato isolato al microscopio elettronico nell’anno 1970, ed inoltre che già con circolare n. 50/1966, pur in assenza di indagini validate per la scoperta di virus epatici, il Ministero della Sanità aveva richiesto “la determinazione sistematica e periodica delle transaminasi sieriche ai donatori di sangue” ed in caso di valori riscontrati abnormi la esclusiva destinazione del sangue prelevato alla produzione di gammaglobuline. Con D.P.R. n. 1256 del 1971, era stata prescritta la esclusione dalla donazione dei soggetti risultati affetti, o che erano stati affetti, da epatite virale.

Da qui il Giudice di appello ha operato l’inferenza logica, condotta alla stregua del principio di causalità adeguata, secondo cui la mancata adozione da parte delle strutture sanitarie competenti delle prescrizioni cautelative indicate e la mancata adozione di efficaci controlli da parte del Ministero volti ad accertare che le strutture sanitarie si conformassero a dette prescrizioni (controlli imposti dalla legislazione vigente al tempo: L. n. 592 del 1967, D.P.R. n. 1256 del 1971, L. n. 519 del 1973), aveva integrato il presupposto determinante la serie causale che aveva concretizzato il rischio di trasmissione delle patologie epatiche.

Tale accertamento in fatto non viene investito dal motivo di ricorso che insiste sulla identificazione ufficiale, da parte dell’OMS, del virus dell’epatite B nell’anno 1978, senza tuttavia contestare che: 1 – il rischio di contrazione di infezioni epatiche attraverso l’utilizzo terapeutico del sangue era noto da tempo; 2 – l’antigene Australia era noto fin dall’anno 1965; 3 – per prevenire il rischio di possibili contagi di virus, pur all’epoca non conosciuti, lo stesso Ministero aveva impartito direttive volte a restringere rigorosamente la platea dei soggetti donatori.

Orbene le Sezioni Unite di questa Corte, nei predetti arresti del 2008, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, in materia di responsabilità da omessa vigilanza del Ministero della Sanità (ora della Salute), premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza sull’impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, il Giudice, accertata l’omissione di tali attività, ed accertata l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento.

E tale accertamento, condotto attraverso “l’enunciato “controfattuale” che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato”, è stato svolto dalla Corte d’appello sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad un standard “…di “certezza probabilistica” ín materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)”. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008).

La Corte territoriale, con giudizio prognostico postumo, ha infatti ritenuto sussistere la prevedibilità oggettiva dell’evento lesivo, acquisita in base alle conoscenze scientifiche del tempo sui rischi di contagio virale trasmissibile attraverso le emotrasfusioni, e su tale elemento ha fondato la relazione logica causale tra la condotta omissiva – delle strutture sanitarie e del Ministero della Salute – e la contrazione della infezione epatica, in quanto, al momento della trasfusione, effettuata nelle specifiche condizioni rilevate, e dunque in difetto della esecuzione degli screening sul donatore di sangue già al tempo previsti, non era del tutto improbabile che dall’atto sanitario potesse conseguire la patologia epatica successivamente riscontrata.

La sentenza impugnata va esente, pertanto, da censura, essendosi conformato il Giudice di appello alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17685 del 29/08/2011; id. Sez. 6 – Ordinanza n. 2232 del 04/02/2016) che, in ordine all’accertamento del nesso di causalità tra la condotta omissiva della vigilanza – violativa delle prescrizioni di norme di legge – e l’evento dannoso (patologia epatica), ha affermato che, in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto, e che, trattandosi quest’ultimo di rischio conosciuto, l’evento lesivo era da ritenersi prevedibile, anche allo stato delle conoscenze scientifiche anteriori al 1978 (individuazione del virus HBV) ed elevatamente probabile, indipendentemente dall’isolamento del tipo di “virus” e dalla predisposizione di “tests” di rilevazione efficienti, e dunque integrante una conseguenza pregiudizievole oggettivamente contrastabile ove fosse stato tenuto il comportamento omesso.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, dovendo dichiararsi interamente compensate le spese del giudizio di legittimità non essendosi ancora consolidato l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità alla data di introduzione della lite.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di O.G. riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017

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