Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9548 del 12/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9548 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 19928-2011 proposto da:
CARABILLO’

PAOLO

fu

DOMENICO CRBPLA45H26G273K,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A RIBOTY 23,
presso lo studio dell’avvocato PIETRO ANTONUCCIO, che
lo rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

CARABILLO’

PAOLO

fu

MICHELE

CRBPLA41L17L112M,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE
MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato SERGIOI

1

Data pubblicazione: 12/05/2015

LIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO
FIORANI giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrente nonchè contro

PILATO FABIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1023/2010 della CORTE
D’APPELLO di PALERMO, depositata il 21/07/2010,
R.G.N. 1942/05 e 185/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato PIETRO ANTONUCCIO;
udito l’Avvocato LUPIS STEFANO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’accoglimento del 5 ° motivo di ricorso rigetto degli
altri;

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CARABILLO’ FILIPPA, PILATO SALVATORE, PILATO MICHELE,

I FATTI
Paolo Carabillò fu Domenico, odierno ricorrente, convenne
dinanzi al Tribunale di Termini Imerese l’omonimo cugino Paolo
Carabillò e il di lui padre Michele in proprio e quali legali
rappresentanti della ditta “Michele Carabillò”, chiedendo che

esclusiva su di un terreno sito in Termini Imerese denominato
“C. Da Cosimo”, con conseguente diritto alla restituzione
dell’immobile e dei fabbricati ivi insistenti, oltre al
risarcimento dei danni scaturenti dalla detenzione

sine titulo

dei detti beni da parte dei convenuti, sulla premessa che tra
esso attore e lo zio Michele erano intervenute tre scritture
private in pari data (7.10.69) il cui contenuto deponeva
univocamente nel senso del suo legittimo diritto di proprietà
così come rappresentato in citazione.
I convenuti, nel resistere alla domanda, chiesero a loro volta,
in via riconvenzionale, l’accertamento di uno proprio speculare
diritto di proprietà sui detti immobili.
Il giudice di primo grado, dopo una prima interruzione del
processo dovuta alla morte di Michele Carabillò, con sentenza n.
51 dell’11.2.1991, non appellata e pertanto passata in cosa
giudicata, respinse entrambe le domande, ritenendo che il
contenuto delle tre scritture private evocate dall’attore
inducesse in realtà a riconoscere la legittimità del titolo di
possesso dei beni in capo al cugino dell’attore, Paolo Carabillò
fu Michele, sulla premessa secondo cui l’oggetto del giudizio

3

venisse accertato e riconosciuto il suo diritto di proprietà

era costituito dall’accertamento del diritto di proprietà sul
fondo e sui fabbricati.
Osservò, in particolare, il Tribunale, da un canto, che la
mancanza di un atto scritto avente ad oggetto il trasferimento
della proprietà degli immobili de quibus da Domenico Carabillò

alla società di fatto costituita con il fratello Michele
impedisse di ritenere esistente il trasferimento stesso (come
invocato in via riconvenzionale dal convenuto Paolo Carabillò fu
Michele), dall’altro, che l’esistenza di una promessa di vendita
di cui alla scrittura privata 7.10.69 (promessa avente ad
oggetto il trasferimento dei terreni da Paolo Carabillò fu
Domenico allo zio Michele, ancora in vita all’epoca) con
contestuale immissione nel possesso dei beni (la sentenza
discorre, testualmente, di “cessione del possesso”) impedisse a
sua volta l’accoglimento dell’azione principale di rivendica,
“in assenza di qualsivoglia azione volta ad invalidare il
contratto de quo”.
Con successivo atto di citazione del 28 ottobre 1992, Paolo
Carabillò fu Domenico chiese allora che l’adito Tribunale:
– dichiarasse nulla e inefficace una delle tre scritture del
7.10.1969 – con cui egli aveva concordato con lo zio
Michele lo scioglimento della società originariamente
intercorsa tra quest’ultimo e il fratello Domenico, la
conseguente devoluzione delle attività di rivendita di
carburanti facenti capo alla sede di Termini Imerese al
predetto Michele, la contestuale attribuzione a se medesimo

,///g–,/

4

del ramo d’azienda esercitato a Palermo e a Caltanissetta,
con liquidazione dei reciproci rapporti di dare e avere
affidati al prof. Filippo Giganti – per mancata esecuzione
degli accordi ivi contenuti da parte del convenuto;
– disponesse lo scioglimento della

società di

fatto

condannasse il convenuto Paolo Carabillò di Michele alla
restituzione del fondo e degli annessi fabbricati, al
rendimento del conto di tutta l’attività commerciale svolta
nello

stabilimento

Termini

di

Imerese

e

delle

fruttificazioni degli immobili a far data dal 7.10.1969,
alla corresponsione della quota degli utili a lui
spettanti.
Il convenuto, dopo aver sollevato eccezioni di rito (tra cui
quella di giudicato scaturente dalla pronuncia 51/1991 del
medesimo Tribunale di Termini Imerese) e di merito a suo dire
ostative

tout court

all’accoglimento delle domande attoree,

chiese in via riconvenzionale l’accoglimento della domanda di
accertamento del suo diritto dominicale sui beni in
contestazione per intervenuta usucapione.
Il giudice di primo grado, ravvisata nelle tre scritture
dell’ottobre 1969 una fattispecie di negozio collegato, ritenne
di dover procedere, ai sensi dell’art.

1349 c.c., alla

liquidazione dei reciproci rapporti di dare e avere intercorsi
tra le parti (giudicando cessata l’efficacia dell’incarico 0
illo tempore,

all’uopo conferito dalle parti,
5

al prof. Gigante

intercorsa tra i fratelli Domenico e Michele Carabillò;

con una delle tre scritture in parola),

e,

all’esito

dell’espletata CTU, con sentenza 263/1999, condannò il convenuto
Paolo Carabillò fu Michele al pagamento, in favore del cuginoattore, della somma di L. 52.195.255 quale sorte capitale, oltre
interessi a far data dal 7.6.1979 e maggior danno da computarsi

Ogni altra pretesa attorea fu rigettata, al pari della domanda
riconvenzionale di intervenuta usucapione del Carabillò fu
Michele.
La corte di appello di Palermo, dianzi alla quale la pronuncia
era stata impugnata

hinc et inde,

con sentenza n. 801/2001,

rilevata preliminarmente la non integrità del contraddittorio
con riguardo alla posizione processuale del Carabillò fu Michele
(del quale dovevano ritenersi litisconsorti necessari la moglie
e le due figlie), la annullò rimettendo gli atti di causa al
primo giudice.
Con sentenza del 22.4.2005, il Tribunale di Termini Imerese,
dinanzi al quale il procedimento era stato riassunto, rilevata
la inammissibilità per novità di alcune delle domande proposte
con l’atto di riassunzione del giudizio nuovamente introdotto da
Paolo Carabillò fu Domenico, ne rigettò l’istanza volta alla
declaratoria di nullità della scrittura dell’ottobre 1969
(giacché l’attore pretendeva di far derivare tale nullità
dall’inadempimento del negozio, onde era lecito discorrere non
di vizio genetico, ma funzionale del contratto); ne rigettò
ancora l’istanza di scioglimento della società di fatto

6

sulla base degli indici annuali ISTAT.

stabilitasi tra i germani Domenico e Michele Carabillò, atteso
che la società si era già sciolta in conseguenza delle più volte
ricordate convenzioni negoziali del 7.10.1969; confermò
l’accoglimento della domanda di condanna alla corresponsione
della metà dell’attivo della disciolta società (così
extensum

l’originario petitum

di condanna al

pagamento della metà degli utili conseguiti dalla società
stessa) senza peraltro riconoscere al Carabillò fu Domenico il
diritto agli interessi e alla rivalutazione; accolse la domanda
di restituzione dei frutti del terreno, condannando il Carabillò
fu Michele al pagamento del relativo controvalore a far data
dalla domanda; dichiarò inammissibile per intervenuto giudicato
la domanda riconvenzionale del convenuto di rilascio del fondo.
La sentenza fu impugnata da entrambi i cugini Carabillò con
separati atti di appello, poi riuniti dinanzi al medesimo
collegio della Corte palermitana, che confermò la statuizione di
prime cure salvo che per la parte concernente la corresponsione
dei frutti degli immobili, domanda erroneamente accolta, a
giudizio della Corte territoriale, nonostante l’efficacia
preclusiva del giudicato di rigetto della domanda di
risarcimento dei danni (rigetto

ipso facto

esteso anche

all’istanza, erroneamente accolta, relativa ai frutti degli
immobili).
Paolo Carabillò fu Domenico ha proposto ricorso per cassazione
sorretto da 5 motivi di censura.

7

interpretando in

Resiste Paolo Carabillò fu Michele con controricorso illustrato
da memoria.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

I primi quattro motivi del ricorso sono infondati.
Merita invece accoglimento la quinta censura.
si denuncia violazione e falsa applicazione

di norme dell’art. 2909 c.c. in ordine all’accoglimento
dell’eccezione dell’efficacia preclusiva del giudicato derivante
dalla sentenza n. 51/1991 del Tribunale di Termini Imerese ai
fini dell’accoglimento della domanda del ricorrente di pagamento
dei frutti civili (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Con il secondo motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione di norme dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 821,
1148 c.c. in ordine al diritto di percezione dei frutti maturati
dopo la sentenza del Tribunale di Termini Imerese n. 51/1991
(art. 360 n. 3 c.p.c.).
I motivi possono formare oggetto di esame congiunto, attesane
l’intrinseca connessione.
A sostegno delle censure mosse alla sentenza impugnata, il
ricorrente sostiene:
– che la Corte territoriale avrebbe omesso di individuare gli
elementi costitutivi caratterizzanti le due azioni proposte
nei diversi giudizi dal Carabillò fu Domenico, senza
considerarne la chiara diversità di
petendi

petitum

e di

causa

(la prima domanda avendo ad oggetto la richiesta di

risarcimento del danno sulla base della dedotta occupazione

8

Con il primo motivo,

sine titulo

degli immobili, la seconda di converso il

pagamento di frutti civili prodotti dai beni in
contestazione in conseguenza della riconosciuta esistenza
di un legittimo titolo di possesso in capo ai convenuti);
che la preclusione

ex ludicato

non poteva comunque

in considerazione dalla sentenza n. 51 del 1991.
Le doglianze sono prive di pregio.
Esse si infrangono, difatti, sul corretto impianto motivazionale
adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto,
in conformità con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice,
da un canto, che la domanda di risarcimento del danno contenga
in sé, in guisa di cerchio concentrico di più ampie dimensioni,
anche quella relativa alla fruttificazione, che ne costituisce
species di un più ampio genus

(qualificata in termini di danno

cd. figurativo), così correttamente considerando che la
richiesta di risarcimento del danno (per la quale si era formato
il giudicato a seguito della mancata impugnazione della sentenza
del Tribunale 51/1991) avesse contenuto più ampio di quella di
corresponsione dei frutti degli immobili, poiché il danno
dedotto era appunto costituito dal mancato godimento e dalla
mancata percezione dei frutti stessi, onde la preclusione della
relativa domanda spiegata nel corso del successivo giudizio;
dall’altro, che il primo giudice aveva espressamente rilevato,
con considerazione di carattere assorbente prima ancora che
preclusiva di ogni ulteriore domanda (e ciò è a dirsi al di là

9

estendersi al periodo temporale successivo a quello preso

ed a prescindere dalla correttezza giuridica di quella
decisione, ormai passata in cosa giudicata),

“la titolarità di

un giusto titolo a possedere” in capo al Carabillò fu Michele,
“circostanza idonea a paralizzare la domanda di rivendica e a
far ritenere infondata quella di risarcimento del danno per il

Il principio della copertura

ex re iudicata

del dedotto e

deducibile rende, pertanto, incensurabile la decisione oggi
impugnata, onde il pur suggestivo espediente processuale di
riproporre una domanda (solo formalmente) diversa con l’atto di
citazione del 28.10.1992 era ed è ancor oggi destinato
all’insuccesso, come all’insuccesso deve dirsi avviato
l’altrettanto suggestivo tentativo di limitare al periodo
precedente alla sentenza del 1991 l’effetto preclusivo della
domanda lato sensu risarcitoria, attesane la inaccoglibilità a
cagione della mancanza del necessario presupposto

in iure,

e

cioè la illegittimità del titolo di possesso in capo
all’accipiens.
Non senza rammentare ancora, sul piano strettamente processuale,
che l’accertamento del contenuto sostanziale (e dell’effetto
preclusivo) che il giudicato può spiegare in un successivo
giudizio, risolvendosi nella sostanza in un apprezzamento di
fatto, sfugge al sindacato di legittimità se (come nella specie)
correttamente ed esaustivamente motivato

(ex multis,

Cass. n.

15222 del 2005).

10
,

mancato godimento degli immobili connessa alla prima”.

Con il terzo motivo,

si

denuncia

nullità della sentenza per

violazione dell’art. 112 c.p.c. per omissione di pronuncia sulla
domanda di nullità/inefficacia delle scritture del 7.10.1969 per
colpevole inadempimento di parte convenuta (art. 360 n. 4
c.p.c.)..

La Corte di appello, al folio 26 della sentenza oggi impugnata,
ha correttamente evidenziato, con argomentazioni scevre da
qualsiasi vizio logico-giuridico, come l’elemento
caratterizzante l’atto introduttivo del primo giudizio e quello
emergente dalla citazione in riassunzione, ben lungi
dall’integrare “una sostanziale identità di domande”, fosse
costituito dal fatto che, mentre nel primo si deduceva la
nullità delle scritture del 1969, nel secondo se ne chiedeva la
risoluzione onde la rilevata e correttamente predicata
diversità delle due domande, e la conseguente inammissibilità
della seconda per patente novità.
Con il quarto motivo,

si

denuncia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 113 e 342 c.p.c.; violazione dell’art.
1224 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.); insufficiente motivazione sul
fatto controverso e decisivo della decorrenza dal 9.6.1979 di
interessi

e

rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta

dovuta al ricorrente (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La doglianza non può essere accolta.
La Corte territoriale, al folio 28 della sentenza impugnata,
rileva come lo speculare motivo di appello relativo alla pretesa

11

Il motivo non ha giuridico fondamento.

debenza degli interessi e della rivalutazione sulle somme
riconosciute come dovute all’odierno ricorrente in conseguenza
dello scioglimento della società di fatto alla data del
7.10.1969 (quantificati dal CTU in L. 52.1959.225, come esposto
in narrativa) fosse inammissibile per difetto di specificità,

aveva ritenuto di disattendere tale richiesta, senza che tale
motivazione fosse stata oggetto di specifica confutazione in
sede di impugnazione (folio 29 della sentenza).
La motivazione, scevra da vizi logico-giuridici, va in questa
sede integralmente confermata, con conseguente declaratoria di
inammissibilità del motivo in esame, funzionale ad un non più
legittimo riesame del merito della decisione in parte qua.
Con il quinto motivo,

si denuncia violazione dell’art. 1282 c.c.

e del principio di decorrenza degli effetti della sentenza dalla
data della domanda in ordine alla non ritenuta decorrenza della
data di proposizione della domanda (28.10.1992) del diritto agli
interessi legali sulla somma riconosciuta dovuta.
La censura è fondata, risultando il suo contenuto del tutto
conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il
collegio, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi
sulla somma cui il ricorrente ha diritto alla stregua della
decisione oggi impugnata a far data dalla domanda giudiziale
(28.10.1992).

12

avendo il primo giudice ampiamente esposto le ragioni per cui

Le spese del giudizio di Cassazione possono essere interamente
compensate, attesa la natura, la vetustà e la complessità della
vicenda, e il definitivo esito della lite.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo e il quarto

impugnata in relazione al motivo accolto confermandola nel
resto, e, decidendo nel merito, dichiara dovuti a Paolo
Carabillò fu Domenico gli interessi sulla somma attribuitagli
con la sentenza di appello dal giorno della domanda
(28.10.1992).
Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di
Cassazione.
Così deciso in Roma, li 18.11.2014

motivo di ricorso, accoglie il quinto, cassa la sentenza

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