Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9546 del 25/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 25/05/2020), n.9546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5792-2019 proposto da:

L.O., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 4162/2017 R.G. 244/2017 della CORTE D’APPELLO

di BARI, depositato il 14/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipato dell’01/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Bari, con decreto n. 4162/2017, pur ritenendo l’ammissibilità dell’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, proposta dal medesimo originario ricorrente, L.O., nei confronti del Ministero della giustizia, in parziale accoglimento della stessa, respingeva l’istanza di indennizzo L. n. 89 del 2001, ex art. 3, per essere evidente che l’atto di intervento espletato nella procedura esecutiva, quale giudizio presupposto, era privo dei minimi elementi di validità enunciati dall’art. 499 c.p.c., e dunque irrituale e nullo, con la conseguenza che la resistenza del ricorrente nel giudizio di opposizione alla esecuzione, come pure il relativo ricorso per cassazione, dovevano ritenersi temerari.

Avverso il decreto della Corte di appello di Bari, il L. proponeva ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.

L’intimato Ministero della giustizia resisteva con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Diritto

ATTESO

che:

– il Ministero intimato ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività in ragione del mancato rispetto del termine decadenziale annuale previsto dall’art. 327 c.p.c..

L’eccezione di tardività del ricorso per cassazione è fondata.

Occorre premettere che il decreto gravato non è stato redatto in formato elettronico, ma in formato cartaceo e risulta depositato in cancelleria in data 14.11.2017, come da attestazione del funzionario apposta in calce al provvedimento.

In tal caso, ai fini della decorrenza del termine semestrale di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c., applicabile ratione temporis (ricorso introduttivo di primo grado depositato il 29.08.2016, sotto il vigore dell’art. 327 c.p.c., nel testo modificato dalla novella di cui alla L. n. 69 del 2009), deve considerarsi rilevante soltanto l’attestazione dell’avvenuto deposito (cfr. Cass., Sez. Un., n. 13794 del 2012; Cass., Sez. Un., n. 18569 del 2016; Cass. n. 12986 del 2016; Cass. n. 9029 del 2019, in motivazione).

Nella specie, infatti, non trova applicazione la disciplina dettata per le sentenze redatte in formato elettronico, in cui è dal momento della trasmissione del provvedimento per via telematica mediante PEC che il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l’ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327 c.p.c., (Cass. n. 17278 del 2016). Questa Corte ha precisato che, nel caso di redazione della sentenza in formato elettronico, la relativa data di pubblicazione, ai fini del decorso del termine c.d. “lungo” di impugnazione, coincide non già con quella della sua trasmissione alla cancelleria da parte del giudice, bensì con quella dell’attestazione del cancelliere, giacchè è solo da tale momento che la sentenza diviene ostensibile agli interessati (Cass. n. 24891 del 2018).

E’ sempre con riguardo all’ipotesi che alla redazione integrale della sentenza provveda direttamente il giudice estensore in formato elettronico che questa Corte, a Sezioni Unite, si è pronunciata precisando che: “dal momento in cui il documento, conforme al modello normativo (art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c.), è consegnato ufficialmente in cancelleria – ovvero è trasmesso in formato elettronico per via telematica mediante PEC (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48), – il procedimento della decisione si completa e si esterna e dalla relativa data la sentenza diviene irretrattabile dal giudice che l’ha pronunziata, è legalmente nota a tutti; inizia a decorrere il termine lungo di decadenza per le impugnazioni di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, produce tutti i suoi effetti giuridici” (cfr. Cass., Sez. Un., 10 agosto 2012 n. 13794).

Al di fuori di tale ambito, trova applicazione la regola secondo cui il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità non può infatti trovare applicazione la disciplina dettata per le sentenze redatte in formato elettronico, in cui è dal momento della trasmissione del provvedimento per via telematica mediante PEC che il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l’ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327 c.p.c., (cfr. Cass. n. 24891 del 2018; Cass. n. 2362 del 2019).

Come precisato più volte da questa Corte, al di fuori dell’ambito appena descritto, trova applicazione la regola secondo cui il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione (Cass., Sez. Un., n. 13794 del 2012 cit.).

Nella specie non risulta neppure prospettato da parte ricorrente che nel caso in esame l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico si fosse perfezionato in data successiva a quella del deposito, sicchè non è applicabile il principio sancito da Sezioni Unite n. 18569 del 2016 secondo cui, in caso di apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice deve accertare – attraverso istruttoria documentale ovvero ricorrendo a presunzioni semplici, o, infine, alla regola di cui all’art. 2697 c.c., – il momento in cui la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.

Il ricorso è, pertanto, inammissibile perchè proposto con ricorso notificato il 31.01.2019, a fronte di decreto depositato il 14.11.2017, e dunque oltre la scadenza del termine semestrale ex art. 327 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009, a nulla rilevando neanche che il giudizio presupposto sia stato instaurato prima dell’entrata in vigore di detta legge.

Infatti, in base alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6, l’impugnazione per cassazione contro il provvedimento emesso dalla Corte d’appello sulla domanda di equa riparazione deve essere intesa come ricorso ordinario, con conseguente rinvio alle relative regole ed applicazione, pertanto, anche della decadenza per il decorso del termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza, in base all’art. 327 c.p.c., comma 1, (cfr. Cass. n. 26272 del 2005). Del resto il procedimento ex lege c.d. Pinto costituisce non una prosecuzione del processo presupposto, ma un giudizio autonomo rispetto a questo e che s’instaura mediante il deposito del ricorso presso la cancelleria della Corte d’appello.

Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 900,00 per compensi professionali, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione Civile, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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